Perché l’Uomo non sapeva molto di quello che avveniva fuori. Sapeva solo quello che gli dicevano gli strumenti; e i campioni di ciò che avveniva su Giove, campioni forniti da quegli strumenti e da molti meccanismi che avevano sondato Giove, non erano altro che campioni, dati indicativi ma senza un valore probante, perché Giove era grande, troppo grande, incredibilmente grande, e le cupole erano piccole, al suo confronto, e lontane, e poche.
Lo stesso lavoro dei biologi per la raccolta di elementi sui Rimbalzanti, con ogni verosimiglianza la più alta forma di vita gioviana, aveva comportato più di tre anni di studi intensi e assidui, e, in seguito, altri due anni di controlli e di riprove per avere una certa sicurezza nelle conclusioni. E si trattava di un lavoro che avrebbe potuto essere svolto, sulla Terra, in una settimana o al massimo due. Ma era un lavoro che, in questo caso, non poteva essere svolto sulla Terra, perché era impossibile portare sulla Terra una forma di vita gioviana. La pressione esistente su Giove non poteva essere riprodotta in nessun altro luogo all’infuori di Giove, e nella pressione e nella temperatura della Terra i Rimbalzanti sarebbero semplicemente scomparrsi in uno sbuffo di gas.
Eppure era un lavoro che bisognava svolgere, se l’Uomo voleva sperare di riuscire, un giorno, a vivere su Giove nella forma dei Rimbalzanti. Perché prima che il convertitore potesse cambiare un uomo in un’altra forma di vita, dovevano essere noti i particolari più sottili delle caratteristiche fisiche di quest’altra forma di vita… tutti i particolari, con sicurezza totale e assoluta, senza alcuna possibilità di errore.
Allen non tornò indietro.
I trattori, perlustrando il terreno della zona in cui avrebbe dovuto svolgersi la missione, non trascurarono nulla, ma non trovarono alcuna traccia di Allen, a meno che la creatura lenta e furtiva che uno dei piloti riferì di avere visto passare non fosse stata il terrestre scomparso nella sua nuova forma di Rimbalzante.
I biologi sogghignarono con i loro più elaborati sogghigni di superiorità accademica quando Fowler suggerì che le coordinate da loro stabilite per il convertitore potessero essere sbagliate. Gli spiegarono, con studiata superiorità, che le coordinate erano quelle esatte, perché avevano dimostrato la loro giustezza in più occasioni. Quando un uomo entrava nel convertitore, e l’interruttore veniva abbassato, l’uomo diventava un Rimbalzante. In quella forma usciva dalla macchina e si allontanava, scompariva alla vista, nell’atmosfera densa e sciropposa del pianeta.
Qualche impercettibile deviazione, aveva suggerito Fowler; qualche errore infinitesimale, qualche sottilissimo mutamento da ciò che avrebbe dovuto essere un Rimbalzante, qualche difetto tanto trascurabile da essere ignorato. Se era questo il caso, gli risposero i biologi, ci sarebbero voluti degli anni per scoprirlo.
E Fowler sapeva che i biologi avevano ragione.
Così adesso gli uomini scomparsi erano cinque invece che quattro, e Harold Allen era uscito sulla nuda superficie di Giove per niente, assolutamente per niente. Per quello che riguardava la missione, era come se il giovane non fosse mai uscito.
Fowler cercò tra i documenti che ingombravano la sua scrivania, e prese in mano l’elenco del personale, un sottile fascio di fogli uniti da un punto metallico, un sottile fascio di fogli che conteneva le vite degli uomini della Cupola Gioviana Numero 3. Era una cosa che odiava più della morte, quella, una cosa che gli faceva orrore e gli stringeva il cuore in una morsa di gelo; ma era anche una cosa che lui doveva fare. In un modo e nell’altro il motivo di quelle strane scomparse doveva essere scoperto. E c’era un solo mezzo per scoprirlo, e quel mezzo era l’invio di altri uomini.
Rimase immobile per un istante, ad ascoltare l’ululato del vento che rugghiava sulla cupola, quell’ululato eterno e immutabile che era la voce di Giove, la voce delle feroci tempeste e degli spaventosi uragani che spazzavano dall’inizio del tempo le superficie di quel pianeta, in un’esplosione di collera ribollente e feroce.
C’era qualche minaccia ignota, là fuori? si chiese. Qualche pericolo del quale non sapevano nulla? Qualcosa che stava in agguato là fuori, per apparire d’un tratto in tutto il suo orrore e inghiottire i Rimbalzanti, senza fare distinzione tra i Rimbalzanti autentici e i Rimbalzanti che erano uomini? Per il nemico ignoto certamente la natura delle vittime non avrebbe fatto differenza. Uomini o Rimbalzanti, sarebbe stato uguale.
Oppure c’era stato un errore fondamentale nella scelta dei Rimbalzanti come forma di vita più adatta a esistere sulla superficie del pianeta? L’evidente intelligenza dei Rimbalzanti era stata il fattore decisivo di quella scelta. Perché se la creatura nella quale l’Uomo si trasformava non aveva capacità d’intelligenza, l’Uomo non avrebbe potuto conservare a lungo la propria intelligenza nel suo nuovo involucro.
Forse i biologi avevano dato un peso troppo grande a quel fattore, usandolo per spostare i piatti della bilancia a favore della scelta dei Rimbalzanti, e trascurando così qualche altro elemento che avrebbe potuto rivelarsi insoddisfacente, o perfino disastroso? Non sembrava probabile. Erano boriosi e presuntuosi e testardi, i biologi, e guardavano i comuni mortali dall’alto in basso, ma conoscevano il loro mestiere, di questo poteva esserne sicuro.
E allora? Forse l’intera impresa era impossibile, condannata fin dalla nascita? La conversione degli uomini in altre forme di vita aveva funzionato su altri pianeti, ma questo non significava necessariamente che la stessa soluzione si applicasse anche a Giove. Forse l’intelligenza umana non poteva funzionare normalmmente, attraverso l’apparato sensorio fornito dalle creature gioviane. Forse i Rimbalzanti erano così alieni che non esisteva un terreno comune sul quale la conoscenza umana e la concezione dell’esistenza gioviana potessero incontrarsi e iniziare un comune lavoro.
O forse il difetto era da cercarsi nell’Uomo, forse era un difetto congenito della razza. Qualche aberrazione mentale che, unita a ciò che gli uomini trovavano là fuori, nel mondo tempestoso e mortale, impediva agli esploratori di tornare indietro. Anche se, forse, non si trattava affatto di un’aberrazione, almeno nel senso umano della parola. Forse si trattava soltanto di una comune caratteristica umana, che sulla Terra era considerata scontata e perfino banale, ma che si scontrava a tal punto con l’esistenza gioviana da produrre un trauma irreparabile alla psicologia umana.
Si udì uno scalpiccio nel corridoio, e ascoltando quel suono Fowler sorrise involontariamente, e con un poco di amarezza. Era Towser che era stato in cucina e adesso tornava da lui, dopo avere fatto visita al suo amico, il cuoco.
Towser entrò nella stanza, con un osso stretto tra i denti. Agitò festosamente la coda, salutando Fowler, e si acquattò a terra, davanti alla scrivania, cominciando a giocherellare con l’osso. Per un lungo minuto i suoi occhi acquosi guardarono il padrone, e Fowler si chinò ad accarezzare l’orecchio spelacchiato del vecchio cane.
«Tu mi vuoi ancora bene, Towser?» domandò Fowler, e Towser dimenò la coda.
«Sei rimasto il solo,» disse allora Fowler.
Si rialzò, e tornò al suo lavoro. Raccolse di nuovo l’elenco del personale.
Bennett? Bennett aveva una ragazza che lo aspettava lassù, sulla Terra.
Andrews? Andrews intendeva ritornare all’istituto di Tecnologia di Marte, non appena avesse guadagnato il necessario per pagarsi gli studi per l’ultimo anno.
Olson? Olson era ormai vicino all’età della pensione. Non faceva altro che raccontare ai ragazzi più giovani le bellezze del posto in cui sarebbe andato a vivere, e delle rose che avrebbe coltivato.
Lentamente, Fowler posò l’elenco sulla scrivania, con precauzione, come se fosse stato un oggetto molto fragile e molto prezioso.