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Di questo Gibson dubitava, poiché sapeva benissimo quanto poco Hadfield badasse ai regolamenti terrestri se questi intralciavano i suoi piani. Ma si limitò a chiedere: «E se la Terra acconsente, allora la decisione spetta a voi?»

«Sì. E da quel momento comincerò a riflettere sulla risposta da darvi.»

Più soddisfacente di quanto aveva sperato, pensò Gibson. Ora che aveva tratto il dado si sentiva molto più sollevato: aveva la sensazione di essere ormai scaricato di qualsiasi responsabilità. Adesso doveva semplicemente abbandonarsi alla corrente, e aspettare gli eventi.

La porta del compartimento stagno si aprì davanti a loro e la pulce entrò cigolando in città.

Anche se la sua decisione si fosse rivelata un errore, non sarebbe stato poi un gran danno. Poteva sempre tornare sulla Terra con la prima astronave in partenza… o con la successiva…

Ma non c’era dubbio che Marte l’aveva trasformato. Indovinava già quello che molti suoi amici avrebbero detto appena saputa la notizia: "Avete sentito di Martin? A quanto pare Marte ne ha fatto un uomo. Chi l’avrebbe mai detto?".

Si rigirò a disagio sul sedile. Non aveva nessuna intenzione di posare a modello di perfezione per nessuno. Anche nei suoi momenti più sdolcinati era sempre rifuggito dal servirsi di quelle comode parabole vittoriane in cui si parla di uomini pigri ed egocentrici che si trasformano a un tratto in campioni di virtù e in esseri utilissimi, anzi indispensabili alla società. Ma aveva una paura tremenda che qualcosa di molto simile stesse succedendo a lui!

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«Su, parla, Jimmy! Che cosa ti passa per la testa? Mi sembra che tu abbia poco appetito, stamattina!»

Jimmy infatti stava giocherellando nervosamente con la frittata sintetica che aveva nel piatto, e l’aveva già ridotta in frammenti minuti.

«Stavo pensando a Irene. È un vero peccato che non abbia ancora avuto l’occasione di vedere la Terra!»

«Sei proprio sicuro che voglia vederla? Io qui non ho mai sentito nessuno esprimere questo desiderio.»

«Ma a lei piacerebbe, eccome! Gliel’ho chiesto io.»

«Smettila di menare il can per l’aia! Che cosa state complottando voi due? Volete fuggire con l’Ares

Jimmy fece un sorriso triste.

«Sarebbe un’ottima idea, ma un po’ difficile da attuare. Sinceramente, non credete che Irene dovrebbe andare sulla Terra a completare la propria educazione? Se resta qui finirà… ecco…»

«Vuoi dire che diventerà una specie di semplice ragazza di campagna… una misera coloniale? È questo che pensi?»

«Ecco, in un certo senso sì, per quanto io avrei voluto esprimermi meno brutalmente.»

«Scusa, se ho usato espressioni un po’ forti. Per essere schietto sono abbastanza d’accordo con te. Avevo fatto anch’io un ragionamento simile. Qualcuno dovrebbe parlarne con Hadfield.»

«È proprio quello che…» cominciò Jimmy.

«Che tu e Irene volete che faccia io, vero?»

Jimmy ebbe un gesto di finta disperazione.

«A voi non ve la si può proprio fare!»

«Se tu me ne avessi parlato sin dal principio, pensa quanto tempo avremmo risparmiato. Ma dimmi francamente, fino a che punto sono serie le tue intenzioni nei confronti di Irene?»

Jimmy gli diede un’occhiata gelida che fu più eloquente di qualsiasi risposta.

«Sono serissime, e voi dovreste saperlo. Intendo sposarla non appena sarà maggiorenne… e non appena io guadagnerò abbastanza da mantenere me e lei.»

Seguì un lungo silenzio, poi Gibson disse: «In fondo hai ragione. Irene è una cara ragazza, e personalmente sono convinto che un anno o più di soggiorno sulla Terra le farebbe bene. Tuttavia preferirei non parlare di questo ad Hadfield per il momento. Capisci… è molto occupato e poi… gli ho già chiesto un favore personale proprio in questi giorni.»

«Davvero?» disse Jimmy fissando con interesse il suo interlocutore.

Gibson si schiarì la voce.

«Dovevo pur dirtelo un momento o l’altro, ma per ora non farne parola con nessuno. Ho chiesto di restare su Marte.»

«Gran Dio!» esclamò Jimmy. «Ma è… è un’idea magnifica.»

«Lo credi?»

«Certamente! Piacerebbe anche a me restare qui.»

«Anche se Irene andasse sulla Terra e ti lasciasse qui solo?» chiese Gibson in tono serio.

«Che domanda! Ma quanto pensate di trattenervi?»

«Francamente non lo so. Dipende da troppe cose. Prima di tutto dovrò trovarmi un’occupazione.»

«Che genere di occupazione?»

«Ma… un’occupazione che mi si confaccia, e soprattutto che sia produttiva. Hai niente da suggerirmi?»

Jimmy tacque per un momento, concentrandosi in uno sforzo di riflessione che gli increspò la fronte. Gibson si chiese a che diavolo stesse pensando. Era forse dispiaciuto dell’idea che tra breve si sarebbero dovuti separare? In quelle ultime settimane il particolare stato d’animo fatto di incertezza e di angoscia che all’inizio li aveva a un tempo uniti e divisi si era dissolto, e loro avevano raggiunto uno stato di equilibrio affettivo, piacevole ma non del tutto soddisfacente come Gibson avrebbe sperato. Forse la colpa era sua. Forse aveva avuto troppo timore di mostrare i suoi veri sentimenti e li aveva dissimulati dietro un velo di ironia accentuata a volte di una punta di sarcasmo. E così forse era riuscito anche troppo bene nel suo intento. C’era stato un momento in cui aveva sperato di guadagnarsi la fiducia e l’affetto di Jimmy, e invece, a quanto pareva, Jimmy veniva da lui solo quando aveva bisogno di qualcosa. No… questo non era giusto. Jimmy gli era indubbiamente affezionato, forse allo stesso modo in cui molti figli sono affezionati ai loro genitori. E questa era una vittoria di cui doveva essere fiero. E poteva anche essere orgoglioso del fatto che, molto per merito suo, il carattere di Jimmy si era mutato positivamente da quando erano partiti dalla Terra. Non era più scontroso e timido come allora, e anche se era sempre un po’ chiuso, non era mai triste o imbronciato. Di questo, pensava Gibson, il merito andava in buona parte a lui. Ma ormai lui non poteva più fare molto per il ragazzo: Jimmy si stava creando un suo mondo, e adesso gli importava soltanto di Irene.

«Temo proprio di non avere nessuna idea» disse infine Jimmy. «In ogni caso potreste prendere il mio posto. Oh, a proposito. Questo mi fa venire in mente qualcosa che ho colta al volo l’altro giorno all’Amministrativo.» Abbassò la voce e con gesto da cospiratore si protese in avanti. «Avete mai inteso parlare del Progetto Aurora?» chiese.

«No. Che cos’è?»

«È appunto quello che sto cercando di scoprire. Pare che si tratti di un piano segretissimo, e molto importante, per giunta.»

«Oh!» fece Gibson, improvvisamente attento. «Ma forse io ne so qualcosa. Prova un po’ a dirmi quello che sai tu.»

«Ecco, una sera sono rimasto a lavorare fino a tardi. Mi trovavo nell’archivio ed ero seduto a terra tra uno scaffale e l’altro a cercare alcune carte, quando sono entrati il Presidente e il maggiore Whittaker. Non potevano sapere che io ero lì, e perciò parlavano tra loro come se fossero soli. A un certo punto il maggiore Whittaker ha detto qualcosa che mi ha fatto drizzare immediatamente le orecchie. Mi ricordo ancora le sue parole. Ha detto testualmente così: "Qualunque cosa succeda, si scatenerà un putiferio non appena la Terra sarà informata del Progetto Aurora… anche ammesso che abbia successo". A questo punto il Presidente ha fatto una risata strana e ha risposto che il successo giustifica tutto, o una frase del genere. Non ho potuto sentire altro perché subito dopo sono usciti. Che cosa ne pensate?»

Il Progetto Aurora. Quelle due parole ebbero su Gibson l’effetto di una formula magica, e il suo cuore prese a battere con ritmo accelerato. Dovevano certamente avere qualche rapporto con le ricerche che si stavano compiendo sulle colline intorno alla città… ma questo non bastava a spiegare l’osservazione di Whittaker. O invece si?

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