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«Adesso corri a casa» le disse con dolcezza. «Io e il maggiore Whittaker andiamo a fare due passi. Rientreremo tra mezz’ora.»

Rimasti soli i due uomini attesero ancora per un po’, rispondendo ai saluti che venivano loro rivolti dai passanti. Infine la minuscola piazza restò deserta. Il maggiore che aveva intuito di che cosa Hadfield voleva parlargli, aspettava con un po’ di apprensione.

«Ricordami di congratularmi con George per lo spettàcolo di stasera» cominciò Hadfield.

«Già» disse Whittaker. «Niente male la botta rivolta al nostro comune rompiscatole, Gibson. Immagino che aprirai subito un’inchiesta sulla sua ultima prodezza.»

A un’allusione talmente diretta il Presidente rimase alquanto sconcertato.

«Veramente è un po’ troppo tardi… e in fondo non ci sono prove che ne sia venuto un gran guaio. Però sto pensando a quello che bisogna fare per impedire che in futuro succedano altri incidenti del genere.»

«Non si può neppure farne una colpa al conducente. Era completamente all’oscuro del Progetto ed è stato per pura e sfortunata combinazione che è andato a ficcare il naso dove non doveva.»

«Credi che Gibson sospetti qualcosa?»

«Francamente non lo so. È un tipo piuttosto astuto, che sa dissimulare con molta abilità.»

«Guarda un po’ se mi doveva capitare tra i piedi un giornalista proprio adesso. E lo sa il cielo quello che ho fatto per tenermelo alla larga!»

«È probabile che non ci metta molto ad accorgersi che qui sta maturando qualcosa. Secondo me c’è un’unica soluzione.»

«Quale?»

«Parlargli schiettamente. Non dirgli tutto, magari, ma qualcosa sì. L’essenziale, almeno.»

Proseguirono in silenzio per alcuni metri. Poi Hadfield disse: «Mi sembra una decisione drastica. Questo presuppone una fiducia completa in Gibson.»

«L’ho seguito parecchio in queste ultime settimane. Sostanzialmente è dalla nostra parte. Noi stiamo facendo proprio quello di cui Gibson ha scritto per tutta la vita, anche se non ne è del tutto convinto. Sarebbe invece deleterio lasciarlo tornare sulla Terra con un sospetto. Molto meglio dirgli almeno in parte di che cosa si tratta.»

«Ci penserò» disse Hadfield tornando sui propri passi. «Naturalmente molto può dipendere dalla rapidità con cui si attuerà il progetto.»

«Non si sa ancora niente di preciso?»

«No, maledetti loro! Questo è il guaio con gli uomini di scienza, non si riesce mai a cavargli di bocca una data precisa.»

Passarono due innamorati, stretti l’uno all’altro, completamente ignari della loro presenza. Whittaker fece un risolino.

«A proposito» disse, «ho l’impressione che quel giovanotto abbia fatto colpo su Irene. Come si chiama… ah, sì, Spencer.»

«Può darsi. Certo fa piacere vedersi intorno una faccia nuova. E poi i viaggi interspaziali sono molto più romantici del mestiere noioso che siamo costretti a fare noi quassù.»

«A tutte le belle ragazze piacciono i marziani, vero? Be’, non dirmi poi che non ti avevo avvertito!»

Che qualcosa d’insolito fosse accaduto a Jimmy, Gibson lo capì quasi subito, e gli ci volle poco per arrivare alla spiegazione del brusco cambiamento avvenuto nel ragazzo. Approvò in pieno la scelta di Jimmy. Dal poco che aveva potuto capire, Irene doveva essere una gran brava ragazza, molto semplice, il che non guastava, ma soprattutto con un carattere allegro, anche se Gibson l’aveva sorpresa un paio di volte con espressione malinconica. Ma anche questo poteva essere motivo di fascino. Inoltre Irene era estremamente graziosa. Gibson aveva ormai raggiunta l’età in cui si capisce che la bellezza non è sempre essenziale, ma era giusto che a questo proposito Jimmy avesse opinioni diverse.

A tutta prima decise di non parlare della cosa e aspettare che fosse Jimmy a intavolare il discorso. Molto probabilmente il ragazzo s’illudeva ancora che nessuno si fosse accorto di niente. Ma la sua decisione venne meno quando Jimmy gli annunciò che aveva intenzione di cercarsi un’occupazione temporanea a Porto Lowell. In fondo era una cosa abbastanza normale. Gli equipaggi spaziali lo facevano spesso. Tra un viaggio e l’altro gli astronauti si stancavano presto di non avere niente da fare. Mackay, per esempio, aveva già avviato un corso serale di matematica, mentre il povero dottor Scott non aveva più avuto un minuto di respiro dal momento in cui aveva messo piede a Porto Lowell perché l’ospedale locale l’aveva requisito immediatamente per suo uso e consumo.

Ma Jimmy, a quanto sembrava, aveva voglia di cambiare completamente mestiere. Nella sezione contabile erano a corto di personale, spiegò, e lui riteneva che con le sue cognizioni di matematica avrebbe potuto essere d’aiuto. In appoggio alla sua tesi portò un’argomentazione talmente convincente che Gibson lo stette ad ascoltare con vero piacere.

«Mio caro Jimmy» disse, quando il ragazzo ebbe concluso, «perché dici tutto questo proprio a me? Non c’è niente che te lo può impedire, se tu lo desideri veramente.»

«Lo so» rispose Jimmy, «ma voi vedete spesso il maggiore Whittaker, e se gli parlaste questo faciliterebbe molto la cosa.»

«Se proprio ci tieni posso parlarne col Presidente.»

«Oh, no… preferirei…» Jimmy s’interruppe. Poi, cercando di rimediare a quello scatto d’impulsività proseguì: «Non mi sembra il caso di disturbarlo per simili sciocchezze.»

«Senti un po’, Jimmy» disse Gibson, decidendo di andare al punto. «Perché non parli schietto? L’idea è tua, o è stata Irene a mettertela in testa?»

La faccia di Jimmy assunse un’espressione talmente singolare da rivelare in pieno la sua sorpresa.

«Oh» balbettò infine, «non sapevo che sapeste. Ma non lo direte a nessuno, vero?»

Gibson stava per fargli notare che una simile precauzione era assolutamente inutile quando qualcosa nello sguardo del ragazzo lo fece desistere da qualsiasi commento ironico. La ruota aveva finalmente compiuto il suo giro: lui era tornato a quella sua lontana ventunesima primavera. Comprendeva pienamente ciò che Jimmy sentiva in quel momento, e sapeva inoltre che qualsiasi cosa gli avesse riserbato l’avvenire, niente avrebbe uguagliato le emozioni che il ragazzo stava scoprendo ora, e che erano per lui nuove e fresche come lo erano state per il primo uomo nel primo mattino del mondo.

«Te lo prometto» rispose quasi con commozione.

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La luce ambrata si accese, Gibson bevve un ultimo sorso d’acqua, si schiarì discretamente la voce, e controllò che le cartelle del dattiloscritto fossero disposte nel giusto ordine. Nella cabina di regia il tecnico fece un cenno col pollice e la luce ambrata diventò di colpo rossa.

«Salute, Terra. Qui, Martin Gibson che vi parla da Porto Lowell, Marte. Per noi oggi è un grande giorno. Questa mattina è stata gonfiata la nuova cupola, e adesso la città è cresciuta quasi della metà rispetto alle prime proporzioni. Non so se riuscirò a comunicarvi la sensazione di trionfo che questa nuova conquista suscita in noi, tutta la gioia per la vittoria nella lotta che stiamo combattendo contro Marte. Ma farò del mio meglio.

«Voi tutti sapete che è impossibile per l’uomo terrestre respirare l’atmosfera marziana troppo rarefatta e praticamente priva di ossigeno. Porto Lowell, la nostra città principale, è costruita sotto sei cupole di materiale plastico trasparente, sostenute dalla pressione dell’aria interna, aria che ci permette di respirare perfettamente, benché sia molto più leggera della vostra.

«Nel corso di quest’ultimo anno si è proceduto alla costruzione di una settima cupola, grande il doppio delle altre. Ve la descriverò come l’ho vista ieri quando ci sono entrato prima che iniziasse l’operazione di gonfiamento.

«Immaginate un grande spazio circolare del diametro di quasi mezzo chilometro, circondato da uno spesso muro di vetrocemento alto quanto un uomo. In questo muro si aprono i passaggi alle altre cupole, le cui uscite conducono al verdissimo paesaggio marziano che ci circonda. Questi passaggi sono semplici tubi di metallo muniti di grandi porte che si chiudono automaticamente qualora si verifichi una fuga d’aria da una delle cupole. Come vedete, qui su Marte non ci fidiamo a mettere tutte le nostre ricchezze in un’unica cassaforte!

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