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— Altezza Reale — insisté Miraz, lasciando la mano di Caspian che aveva tenuto fino ad allora — esigo una risposta. Avanti, guardatemi bene. Chi vi ha raccontato questo cumulo di bugie?

— La… la mia nutrice — balbettò Caspian, scoppiando in lacrime.

— Basta piangere — ordinò lo zio, afferrando Caspian per le spalle e dandogli una scrollata. — Smettila! Non voglio più sentirti parlare di queste stupide fantasticherie. Non devi neppure pensarci, capito? Mai. Quei re e regine non sono mai esistiti. Come avrebbero potuto esserci due coppie regnanti contemporaneamente? E non è esistito nessun Aslan, né i leoni. Quanto agli animali, da noi non hanno mai parlato, sono stato chiaro?

— Sì, zio — piagnucolò Caspian.

— Allora basta con queste stupidaggini, una volta per tutte — concluse il re. Poi chiamò uno dei dignitari di corte che aspettavano in fondo alla terrazza e in tono gelido disse: — Conducete Sua Altezza Reale nei suoi appartamenti e portate al mio cospetto la nutrice di Sua Altezza. Immediatamente.

Solo il giorno successivo Caspian si rese conto del terribile incidente che aveva provocato. La nutrice fu allontanata da corte senza che le venisse concesso di dire addio al principe e Caspian fu informato che di lì a poco avrebbe avuto un tutore.

Il ragazzo sentiva molto la mancanza della nutrice e pianse lacrime amare. Essendo così triste e sconsolato, non faceva che pensare e ripensare alle storie dell’antica Narnia, ora più che mai. Ogni notte vedeva in sogno nani e driadi e cercava di far parlare i cani e i gatti del castello. Ma i cani si limitavano a scodinzolare, i gatti a fare le fusa.

In cuor suo Caspian sapeva che avrebbe odiato il nuovo tutore, ma quando arrivò a corte, circa una settimana più tardi, capì di essersi sbagliato. Era un uomo per il quale era impossibile non provare una simpatia immediata, il più basso e grasso essere umano che Caspian avesse mai visto. Aveva una bella barba color argento che gli arrivava fino alla vita; il viso, coperto quasi interamente di rughe e un po’ deforme, gli conferiva un aspetto saggio, sicuramente molto dolce. Aveva una voce profonda, ma l’espressione degli occhi era così gentile che, per lo meno fino a quando Caspian non ebbe modo di conoscerlo meglio, non sarebbe stato facile capire quando scherzava e quando invece faceva sul serio. Si chiamava dottor Cornelius.

Di tutte le materie che insegnava il dottor Cornelius, quella che a Caspian piaceva di più era la storia. Fino a quel momento, a parte le leggende che gli aveva raccontato la nutrice, Caspian conosceva ben poco della storia narniana e fu per lui una grossa sorpresa scoprire che la famiglia reale, vale a dire i suoi predecessori, non era originaria del paese ma gente venuta da fuori.

— Fu Caspian Primo, un antenato di Vostra Altezza — spiegò il dottor Cornelius — che per primo conquistò il territorio e fondò il suo regno. Fu lui a unire questa terra agli altri paesi assoggettati. Vedete, Altezza, nessuno di voi è nativo di Narnia. Voi e i vostri predecessori siete Telmarini, una stirpe originaria della terra di Telmar, al di là delle Montagne Occidentali. Per questo Caspian Primo fu soprannominato Caspian il Conquistatore.

— Per favore, dottore — lo implorò un giorno il principe — ditemi, chi viveva a Narnia prima che lasciassimo Telmar per stabilirci qui?

— Ma nessuno… Be’, diciamo che ci viveva poca gente prima che gli abitanti di Telmar la conquistassero — spiegò il dottor Cornelius.

— Allora i miei antenati chi assoggettarono? — chiese Caspian.

— Adesso è tardi. È tempo di passare alla grammatica, Vostra Altezza — suggerì il tutore.

— Oh, per favore, dottore — continuò Caspian. — Non ci fu una battaglia? Perché lo chiamano Caspian il Conquistatore se a Narnia non c’era nessuno contro cui combattere?

— Poco fa vi ho detto che a Narnia c’erano poche persone - aggiunse il dottore, guardando il piccolo principe con una strana espressione.

Caspian tacque, perplesso, poi il suo cuore cominciò a battere forte.

— Volete dire che c’erano altre creature? Volete dire che le storie che si raccontano sono vere? Erano… — si affannò a chiedere.

— Ssst, tacete, tacete, per carità — gli ordinò il dottor Cornelius, avvicinando la testa a quella di Caspian. — Non dite una parola di più. Ma non sapete che la vostra nutrice è stata cacciata da corte perché parlava della vecchia Narnia? Al re questo argomento non piace. Se viene a sapere che vi racconto i segreti del passato, vi farà frustare e a me farà tagliare la testa.

— Ma perché? — lo implorò Caspian.

— È tempo di passare alla grammatica. — Il dottor Cornelius parlò ad alta voce. — Per favore, Altezza, aprite il tomo di Pulverulento Sicco, la Grammatica essenziale dei Giardini ovvero dell’Amore e Sentimento per gli Alberi…, a pagina quattro.

Fino all’ora di pranzo fu tutto un susseguirsi di verbi e sostantivi, ma secondo me Caspian non seguì molto la lezione. Era troppo eccitato, e in cuor suo sentiva che il dottor Cornelius non si sarebbe sbilanciato se prima o poi non avesse pensato di raccontargli qualcosa di più sull’antica Narnia. Per questo non era arrabbiato.

Qualche giorno dopo il tutore disse: — Altezza, stanotte vi darò una lezione di astronomia. Poco prima dell’alba i nobili pianeti di Tarva e Alambil saranno a pochi gradi di distanza. Da duecento anni non avveniva una simile congiunzione e Vostra Altezza non potrà sperare di vivere tanto da assistere di nuovo a questo spettacolo. La cosa migliore è che andiate a letto prima del solito; sarò io a svegliarvi, quando la congiunzione si farà prossima.

Apparentemente tutto questo non aveva niente a che vedere con l’antica Narnia, che era poi quello di cui Caspian voleva sentir parlare, ma l’idea di svegliarsi nel cuore della notte lo divertiva e alla fine fu quasi contento. Quella sera, mentre si infilava sotto le coperte, pensò che non sarebbe mai riuscito ad addormentarsi. Invece cadde in un sonno profondo e gli sembrava di dormire da pochi minuti quando qualcuno venne a scuoterlo delicatamente per la spalla.

Scattò subito e vide che la stanza era inondata dalla luce della luna. Il dottor Cornelius, avvolto in un mantello enorme e con un piccolo lume fra le mani, sedeva vicino al letto. Caspian ricordò la missione che avrebbero compiuto di lì a poco, balzò dal letto e si vestì. Anche se era una notte d’estate, faceva freddo e fu contento quando il dottore lo avvolse in un mantello simile al suo, offrendogli un paio di pantofole calde per i piedi. Un attimo più tardi, così imbacuccati che difficilmente avrebbero potuto essere scoperti nei corridoi del castello, attenti a non fare il benché minimo rumore, il maestro e il suo allievo lasciarono la stanza del principe.

Caspian seguì il dottore attraverso numerosi passaggi e rampe di scale, e finalmente, dopo aver oltrepassato una porticina collocata in una torretta, sbucarono nel luogo delle osservazioni. Da un lato c’erano i bastioni, dall’altro un tetto ripido e scosceso. Sotto di loro i giardini del castello brillavano al chiarore lunare; sopra, il firmamento con le stelle e la luna. Caspian e il dottor Cornelius raggiunsero una porta che conduceva alla torre centrale del castello. Il dottore l’apri e insieme salirono la scala a chiocciola buia e ripida che li avrebbe condotti alla meta.

Caspian era eccitato: per la prima volta in vita sua gli era permesso di salire quella scala!

Fu un cammino lungo e difficile, ma una volta raggiunto il tetto della torre e recuperato il respiro, Caspian pensò che ne era valsa la pena.

Lontano, verso destra, si scorgevano le Montagne Occidentali. A sinistra splendeva il letto del Grande Fiume e tutto intorno regnava una quiete così profonda che si poteva sentire lo scroscio della cascata alla Diga dei Castori, oltre un chilometro e mezzo dal palazzo. La notte era così tersa che i due nobili pianeti furono avvistati senza difficoltà: occupavano una posizione bassa nel cielo meridionale, uno accanto all’altro, e splendevano come due piccole lune.

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