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— Vieni, cara — disse Aslan alla maestra.

La ragazza saltò dalla finestra e si unì alla comitiva.

Alla Diga dei Castori guadarono di nuovo il fiume, procedettero per un po’ lungo l’argine sud e piegarono a est. Arrivati davanti a una modesta casetta, videro una bambina che piangeva disperata sulla porta.

— Perché piangi, tesoro? — chiese Aslan.

La bambina non aveva mai visto un leone in vita sua, neanche dipinto, ma non ebbe paura.

— Mia zia è molto malata — sospirò — e fra poco morirà.

Aslan si avvicinò alla porta della casetta, ma era troppo grosso e non poté entrare. Allora, dopo aver infilato la testa nella porta, diede uno spintone con le spalle (Lucy e Susan erano scese dalla groppa) e sollevò la casa scuotendola qua e là, fino a che le pareti crollarono. Nel letto, ormai esposto all’aria aperta, c’era una vecchina che sembrava aver sangue di nano nelle vene. Era arrivata alla fine della vita, ma quando aprì gli occhi e vide il volto splendente e peloso di Aslan che la guardava, non gridò e non svenne neppure.

— Aslan! — esclamò. — Per tutta la vita ho aspettato questo momento. Sei venuto a portarmi via?

— Sì, cara amica — rispose Aslan. — Ma non è ancora il tuo ultimo viaggio.

E mentre il leone parlava il pallore abbandonò le guance della vecchina, che si tinsero di rosso come nuvole al tramonto. Gli occhi brillarono e riuscì perfino a sedersi: — Mi sento molto meglio. Mangerei qualcosina, oggi.

— Eccoti servita, madre — rispose Bacco. Calò un secchio nel pozzo del cortile e lo porse alla donna.

Nel secchio non c’era acqua ma vino, il più buono e dolce che si possa trovare, rosso come gelatina di lamponi, liscio come l’olio, corposo come una bella bistecca, tiepido come il tè e fresco come rugiada.

— Ehi, cosa avete fatto al pozzo? Avete fatto bene, avete fatto bene — ridacchiò la vecchina, e balzò giù dal letto.

— Avanti, salimi in groppa — disse Aslan, e poi, rivolto a Susan e a Lucy: — Adesso voi due regine dovete andare a piedi.

— È tanto bello lo stesso — esclamò Susan, e si incamminarono con gli altri.

Così, saltando e cantando, scherzando e ridendo, fra un coro di ruggiti, nitriti, abbaiare di cani e musica ovunque diffusa, l’allegra compagnia raggiunse il luogo dove l’esercito di Miraz aveva appena deposto le armi e si era arreso agli uomini di Peter. I vinti tenevano le mani alzate; i vincitori, con le spade sguainate e il respiro affannoso, avevano circondato il nemico. Erano felici e glielo si poteva leggere in faccia.

La vecchina scivolò dalla groppa di Aslan, corse da Caspian e lo abbracciò a lungo. Perché dovete sapere che quella era la sua vecchia nutrice.

15

Aslan traccia una porta nell’aria

Alla vista di Aslan, gli uomini di Miraz sbiancarono in volto. Poveretti, avevano le gambe che tremavano e molti si gettarono a terra con il volto nascosto fra le mani.

Il fatto è che non avevano mai creduto nei leoni, e questo non faceva che accrescere la loro paura. Perfino i Nani Rossi, convinti che Aslan venisse in amicizia, rimasero a bocca aperta e non riuscirono a dire una parola. Dei Nani Neri, la fazione di Nikabrik, alcuni fuggirono, ma gli animali parlanti si fecero intorno al leone: squittivano e facevano le fusa, nitrivano di gioia e scodinzolavano, si strusciavano su di lui e lo sfioravano delicatamente con il naso, passando sotto il suo ventre enorme e tra le zampe. Per immaginare la scena, pensate a un gattino in adorazione di un cane grande e grosso che conosce e di cui si fida. Intanto Peter, in compagnia di Caspian che gli stava davanti, cercava di farsi largo fra la folla degli animali.

— Sire, questi è Caspian — disse Peter. Caspian si inginocchiò e baciò la zampa del leone.

— Bentrovato, principe. Sei pronto a governare il regno di Narnia? — chiese Aslan.

— Io non credo, signore — balbettò Caspian. — Sono solo un ragazzo.

— Bene. Se avessi detto il contrario, sarebbe stata una bugia. Ma ora, sottomesso a noi e al Re supremo, tu sarai re di Narnia, lord di Cair Paravel e imperatore delle Isole Solitarie. Tu e i tuoi eredi garantirete la durata della stirpe. L’incoronazione… ma cosa abbiamo qui? — si interruppe Aslan.

Proprio in quel momento si era avvicinata una piccola e insolita processione. Erano undici topi, sei dei quali trasportavano una piccolissima lettiga di rami intrecciati. Nessuno aveva mai visto topi tanto tristi! Erano coperti di fango, alcuni feriti e sanguinanti, avevano le orecchie abbassate, i baffi curvi e la coda che strisciava nell’erba. Il topo che guidava il mesto corteo suonava una nenia triste e malinconica con il flauto. Sulla lettiga riposava una cosa che somigliava a un ammasso di pelliccia bagnata: quello che rimaneva del povero Ricipì. Respirava ancora ma era più morto che vivo; straziato da innumerevoli ferite, aveva una zampa rotta e un moncone fasciato al posto della coda.

— Ora tocca a Lucy — disse Aslan.

Lucy prese la bottiglietta di diamante. Fu sufficiente bagnare le ferite con una goccia ognuna, ma il corpo era così straziato che gli spettatori rimasero in silenzio finché Lucy non ebbe finito e il topo schizzò dalla lettiga. Messa una mano sul fodero della spada, con l’altra si arrotolò i baffetti e fece un inchino.

— Salute a te, Aslan. — Si sentì una vocetta stridula. — Ho l’onore di… — ma si interruppe bruscamente.

Il fatto è che Ripicì era ancora senza coda. Chissà, forse Lucy se ne era dimenticata o la sua potente medicina, che aveva il potere di guarire le ferite, non faceva ricrescere quello che ormai non c’era più. Ripicì se ne rese conto quando si inchinò davanti ad Aslan, probabilmente perché rischiò di perdere l’equilibrio. Si voltò, guardò in basso a destra e, non vedendo la coda, allungò il collo per guardarsi meglio. Ma non c’era niente da fare: spinto a voltarsi ancora, fece un giro completo su se stesso. Anche così non riuscì a vedersi il posteriore e allungò il collo all’inverosimile, ma senza risultato. La drammatica verità si impose dopo tre giri completi.

— Sono confuso — disse ad Aslan. — Mi scuso per il mio contegno. Chiedo perdono per comparire alla vostra presenza in questo deplorevole stato.

— Sei molto elegante, piccola creatura — rispose Aslan.

— Vi ringrazio, ma se fosse possibile fare qualcosa… Forse la regina potrebbe…? — e così dicendo si inchinò davanti a Lucy.

— A cosa ti serve la coda? — chiese Aslan.

— Sire, posso mangiare, dormire e anche morire per Vostra Maestà, senza coda. Ma essa è l’onore e la gloria di un topo!

— Caro amico, mi sono chiesto più volte se tu non stia esagerando, con questa storia dell’onore.

— Re dei re — rispose Ripicì — permettetemi di ricordarvi che a noi topi sono toccate dimensioni tanto piccole che se non difendessimo la nostra dignità, qualcuno potrebbe permettersi atteggiamenti poco piacevoli nei nostri confronti. E ne pagheremmo le conseguenze. Per questo cerco di far capire che, se qualcuno non vuole assaggiare la punta della mia spada, non deve essere offensivo, chiamarmi soldo di cacio e così via. Nessuno può permetterselo, neanche la creatura più grande e più grossa di Narnia. — A questo punto Ripicì lanciò un’occhiataccia al gigante, ma quello, che stava sempre dietro agli altri, non aveva capito di cosa parlassero e perse la battuta.

— E voi, topi, perché avete sguainato le spade? — chiese Aslan.

— Vedete, Maestà — spiegò il topo in seconda, Ripicì — se il nostro capo sarà condannato a vivere senza coda, anche noi ce la taglieremo. Non potremmo sopportare di avere un onore che è negato a chi ci guida.

— Ah! — ruggì Aslan — mi avete convinto. Avete grandi cuori, piccoli amici. Ripicì, bada bene, non per la tua vanità, ma per l’affetto sconfinato che ti lega al tuo popolo e per la devozione che la tua gente mi ha mostrato tempo addietro, quando rosicchiaste le corde che mi tenevano legato alla Tavola di Pietra (se ben ricordate, fu in quel momento che diventaste topi parlanti), ebbene, in nome di questo ti farò dono di una nuova coda.

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