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Poi Edmund fece balenare la spada così velocemente che nessuno (a parte Peter, che sapeva) parve rendersene conto, e disarmò il nano. Briscola si trovò a stringere la mano vuota, come succede spesso ai giocatori di cricket dopo un colpo di quelli che ti fanno perdere la mazza.

— Non ti ho fatto male, piccolo amico? — chiese Edmund, con il fiatone, riponendo la spada nel fodero.

— Mmm, ho capito. Ti sei servito di un trucco che non conosco — rispose Briscola, risentito.

— Hai ragione. Il miglior spadaccino del mondo può essere disarmato da un trucco nuovo per lui. Secondo me dovremmo offrire a Briscola un’altra possibilità, magari in un’altra disciplina: che ne diresti di cimentarti con mia sorella nel tiro con l’arco? Lì non ci sono trucchi, Briscola.

— Ah, bricconi, vi prendete gioco di me! Come se non avessi visto come tira la ragazza, dopo quello che è successo stamattina. E va bene, proviamo. — Il tono di voce era burbero, ma in compenso gli brillavano gli occhi, perché il nano era ritenuto un mago dell’arco, fra la sua gente.

Raggiunsero il cortile tutti e cinque.

— Qual è il bersaglio? — chiese Peter.

— La mela su quel ramo laggiù. Potrebbe andar bene quella che pende sul muro — propose Susan.

— Ottima idea — rispose Briscola. — Vuoi dire quella gialla vicina al centro dell’arco?

— No — ribatté Susan. — Intendo la mela rossa sopra il bastione.

Il nano scosse la testa.

— Sembra piuttosto una ciliegia — borbottò, ma non aggiunse altro.

Fecero testa o croce per decidere a chi spettava il primo tiro (con grande curiosità di Briscola, che non aveva mai visto lanciare una moneta in aria prima di allora) e Susan perse. Avrebbero dovuto tirare dalla cima delle scale che portavano dalla sala d’ingresso al cortile; dalla posizione che il nano aveva assunto, e da come impugnava l’arco, capirono tutti che sapeva il fatto suo.

Twang! Ecco il primo tiro, indubbiamente ottimo. La piccola mela tremò, appena sfiorata dalla freccia, e una foglia cadde al suolo, svolazzando. Poi fu la volta di Susan, che raggiunse la cima della scala e tese l’arco. Se Edmund si era mostrato entusiasta di duellare con Briscola, Susan non era contenta di gareggiare con lui: e non perché temesse di non colpire la mela, ma perché era così buona e generosa che le dispiaceva affrontare qualcuno che poteva considerarsi sconfitto in partenza. Il nano la guardò attentamente prendere la mira, con la freccia accostata all’orecchio; un attimo dopo, con un tonfo lieve e soffocato che tutti poterono sentire nella quiete del luogo, la mela cadde sul manto erboso, trafitta dalla freccia di Susan.

— Sei stata grande! — gridarono in coro i fratelli.

— Pressappoco come lui — esclamò Susan, rivolgendosi al nano. — Sai, credo ci fosse un leggero alito di vento, quando hai tirato tu.

— No, no, l’aria era ferma — rispose Briscola. — Non aggiungere altro, so riconoscere la sconfitta. E non è una giustificazione il fatto che, quando il braccio è tornato indietro, la cicatrice della mia ultima ferita abbia rallentato il tiro.

— Davvero, sei ferito? — chiese Lucy. — Fammi vedere.

— No, non è un bello spettacolo per una ragazzina — replicò Briscola. Poi fece una pausa. — Ecco, ricomincio a dire stupidaggini. Sarai certo un medico portentoso, come tuo fratello è un mago della spada e tua sorella non ha rivali nel tiro con l’arco. — Briscola sedette sui gradini, si tolse la corazza e fece scivolare la cotta di maglia, mostrando un braccio muscoloso e coperto di peluria come quello di un marinaio, ma delle dimensioni di quello di un bambino. Sulla spalla c’era una benda di fortuna che Lucy srotolò immediatamente. Sotto la fasciatura comparve un taglio abbastanza profondo, gonfio e infetto.

— Oh, povero Briscola — esclamò Lucy. — Che cosa orribile. — Con delicatezza versò sulla ferita una goccia del liquido magico che teneva nella fiaschetta.

— Ehi, cosa mi hai fatto? — chiese Briscola. Ma sebbene strabuzzasse gli occhi e allungasse la testa per guardare meglio, e avesse scostato la barba, non riuscì a vedersi le spalle. Allora cominciò a toccarsi, allungando mani e braccia per arrivare dove poteva, come quando cerchiamo di grattarci in un punto che non riusciamo a raggiungere. Infine cominciò a muovere il braccio avanti e indietro, lo sollevò e fece il muscolo, dopodiché balzò in piedi gridando: — Per tutti i giganti e i ginepri, la ferita si è rimarginata. Sembro nuovo! — Cominciò a ridere e aggiunse: — Be’, nessun nano si è mai comportato in modo tanto stupido. Non siete offesi, vero? lo non sono che l’umilissimo servo delle Vostre Maestà. Sì, il vostro umilissimo servo. E grazie ancora per avermi salvato la vita, per avermi curato, avermi offerto la colazione e… per la lezione che mi avete dato.

I ragazzi dissero che tutto era a posto e che non dovevano parlarne più.

— E adesso — suggerì Peter — se ti sei finalmente deciso a credere in noi…

— Sì, ci credo — interruppe il nano.

— Bene, mi pare chiaro che dobbiamo raggiungere re Caspian immediatamente.

— Prima arriveremo da lui, meglio sarà — disse Briscola. — La mia stupidità ci ha già fatto perdere almeno un’ora.

— Ripercorrendo la strada che hai fatto tu, impiegheremo un paio di giorni: noi non possiamo camminare giorno e notte come i nani. — Peter si voltò verso gli altri. — Quella che Briscola chiama la Casa di Aslan altro non è che la Tavola di Pietra, ricordate? Ci vuole circa mezza giornata di marcia, da laggiù al guado di Beruna.

— Il ponte di Beruna, vuoi dire — ribatté il nano.

— Ai nostri tempi il ponte non c’era — chiarì Peter. — E comunque, da Beruna fino a qui c’è un altro giorno, se tutto va bene. Camminando velocemente, potremmo raggiungere Caspian in un giorno e mezzo.

— Non dimenticare che adesso comincia la foresta — chiarì Briscola. — Dovremo tenere a bada i nemici.

— Ragazzi, chi ci obbliga a fare la stessa strada del nostro piccolo e caro amico? — chiese Edmund.

— Se mi volete bene davvero, non chiamatemi più così, Maestà — pregò il nano.

— Molto bene — fece Edmund. — P.C.A. ti suona meglio?

— Oh, Edmund — intervenne Susan — non tormentarlo così, ti prego.

— Non c’è problema, ragazzina… Voglio dire, Vostra Maestà — fece Briscola con un sorrisetto. — Gli scherzi non fanno mai male. — Da quella volta lo chiamarono spesso P.C.A., finché quasi dimenticarono il significato della sigla.

— Come dicevo, non dobbiamo rifare necessariamente quella strada. Perché non navighiamo verso sud, fino al fiumicello di Acquacorrente, e cominciamo a risalirlo? Arriveremo dietro la collina della Tavola di Pietra e fino a che saremo in mare potremo considerarci al sicuro. Se ci mettiamo subito in marcia, prima che cali la notte toccheremo il Capo di Acquacorrente. Possiamo dormire qualche ora e poi, domani mattina di buon’ora, raggiungere Caspian.

— Il problema è la costa. Nessuno di noi sa niente di Acquacorrente.

— E cosa mangeremo? — chiese Susan.

— Abbiamo tante mele — intervenne Lucy. — Avanti, è ora di andare. Siamo qui da quasi tre giorni e non abbiamo ancora concluso niente.

— Sia chiara una cosa — disse Edmund. — Nessuno userà più il mio cappello per trasportare il pesce.

Uno degli impermeabili venne usato come sporta e vi misero una bella quantità di mele, poi si dissetarono al pozzo perché sapevano che non avrebbero trovato acqua fresca finché non avessero raggiunto la punta dell’insenatura, e infine si diressero verso la barca. Ai ragazzi dispiaceva lasciare Cair Paravel perché, anche in mezzo alle rovine, si sentivano a casa.

— È meglio che P.C.A governi la barca — disse Peter. — Edmund e io prenderemo un remo ciascuno. Un momento, ragazzi: togliamoci la cotta di maglia, perché fra poco sentiremo un gran caldo. Le ragazze staranno a prua e indicheranno la direzione a P.C.A., visto che non conosce la strada. Nano, a te il compito di portarci al largo e farci allontanare dall’isola.

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