Poi, una notte, la situazione sembrò precipitare. Era piovuto incessantemente per tutto il giorno, e ora, al posto della pioggia, era venuto un freddo tremendo. Al mattino Caspian aveva deciso la tattica di quella che si annunciava come la battaglia decisiva e i suoi nutrivano grandi speranze. Secondo i piani, allo spuntar del giorno Caspian, insieme a un nutrito contingente di nani, avrebbe dovuto sfondare l’ala sinistra dell’esercito reale; una volta fatto questo, il gigante Tempesta, affiancato dai centauri e dagli animali più forti, avrebbe dovuto sfondare da un altro lato, per fare in modo che l’ala destra delle truppe di Miraz rimanesse isolata dal resto dell’esercito. Ma anche quell’ennesimo tentativo fallì.
Nessuno aveva detto a Caspian, perché nessuno a Narnia se lo ricordava, che i giganti non sono… molto abili e astuti. Tempesta, poveretto, era forte come un leone, un gigante in tutto e per tutto, ma intervenne al momento sbagliato. Caspian e i suoi passarono un brutto quarto d’ora, mentre il nemico riportò danni trascurabili. Il più valoroso degli orsi si fece male, un centauro riportò orribili ferite e fra le truppe di Caspian il sangue fu versato in abbondanza. La compagnia, triste e sconsolata, si sdraiò sotto gli alberi gocciolanti per consumare una magra cena.
Il più triste di tutti era il gigante Tempesta, il quale sapeva che era colpa sua. Sedeva in silenzio, versando lacrimoni che si raccoglievano sulla punta del naso e ricadevano con un poderoso splash! sull’accampamento dei topi. Che disdetta! Le bestiole avevano appena finito di asciugarsi e se ne stavano al caldo. Saltarono su, scrollandosi l’acqua dalle orecchie e scuotendo le lenzuola inzuppate, e chiesero al gigante, con la loro vocina sottile ma decisa, se non pensasse che erano già abbastanza fradici per meritare altra acqua.
A quel punto si svegliarono anche gli altri e protestarono, dicendo ai topi che erano stati arruolati come guide, non per combattere, e che per piacere stessero tranquilli.
Tempesta, in punta di piedi, si avviò alla ricerca di un luogo tranquillo dove piangere in pace, ma inciampò nella coda di qualcuno e qualcun altro gli diede una botta. E così tutti si arrabbiarono.
Intanto, nella sala magica e segreta nel cuore della Casa di Aslan, re Caspian, Cornelius, il tasso, Nikabrik e Briscola tenevano consiglio. Robusti pilastri, creati un tempo da mani abili e capaci, sostenevano il tetto; al centro della stanza c’era la Tavola di Pietra, una lastra crepata nel mezzo e coperta da quelle che dovevano essere scritte, ma il cui significato era diventato incomprensibile. Senza contare che secoli e secoli di pioggia, vento e neve le avevano consumate, cancellando buona parte di quello che si leggeva nei tempi antichi, quando la Tavola era in cima alla collina e il tumulo non era stato eretto su di essa. Caspian e compagni non sedevano intorno alla Tavola: era magica, non si poteva usarla normalmente. Si erano sistemati, piuttosto, su dei ceppi vicini, e fra un ceppo e l’altro c’era un rozzo tavolo di legno sul quale troneggiava una specie di lampada di argilla. La lampada, di fattura molto primitiva, illuminava i volti pallidi dei presenti, proiettando grandi ombre sulle pareti.
— Vostra Maestà, se non avete fatto ancora uso del corno, credo sia arrivato il momento — disse Tartufello. Alcuni giorni prima Caspian aveva parlato del prezioso tesoro che portava con sé.
— In effetti ci troviamo in grande difficoltà — rispose Caspian — ma è difficile stabilire se incontreremo ostacoli ancora più grandi. Se dovessimo affrontare una situazione davvero critica e avessimo già suonato il corno?
— L’amportante è non suonarlo quando ormai è troppo tardi — intervenne Nikabrik.
— Sono d’accordo — aggiunse il dottor Cornelius.
— E tu, Briscola, che ne pensi? — chiese Caspian.
— Per quanto mi riguarda — rispose il nano rosso, che fino a quel momento aveva ascoltato senza prendere alcuna posizione — Vostra Maestà sa bene cosa penso del corno. E anche di quel pezzo di pietra laggiù… e del vostro Peter, il Re supremo, o il leone Aslan… Sono tutte stupidaggini, baggianate. Per me, che suoniate o non suoniate quell’affare è lo stesso. L’unico punto su cui insisto è che l’esercito sia tenuto all’oscuro. Non è bello farli sperare in un aiuto magico che poi, ne sono convinto, deluderà le aspettative.
— Allora, nel nome di Aslan suoneremo il corno della regina Susan — annunciò solennemente Caspian.
— Sire — disse il dottor Cornelius — c’è ancora una cosa da fare prima di suonarlo. Non sappiamo come si manifesterà l’aiuto richiesto: voglio dire, non ne conosciamo la forma. Aslan in persona potrebbe venire dal mare, per esempio… Ma secondo me il corno riporterà dal passato il Re supremo Peter e i suoi compagni. In ogni caso, non credo che l’aiuto si materializzerà dove ci troviamo adesso.
— Come hai ragione — esclamò Briscola.
— Io penso — proseguì il saggio — che il leone o i sovrani compariranno in uno degli antichi luoghi di Narnia. È vero che noi ci troviamo nel più antico e più magico, quindi è il più probabile secondo le apparenze, ma ce ne sono altri due. Uno è Lanterna Perduta, sul fiume a ovest della Diga dei Castori: secondo la leggenda è là che i fanciulli reali comparvero a Narnia per la prima volta. L’altro luogo possibile è alla foce del fiume, dove una volta sorgeva il castello di Cair Paravel: il loro castello, la residenza reale. Se invece fosse Aslan a venirci in aiuto, lo incontreremmo certamente lì, perché in tutti i racconti si dice che sia figlio del grande imperatore d’Oltremare e dovrebbe arrivare dal mare. Maestà, vorrei inviare dei messaggeri in entrambi i luoghi, a Lanterna Perduta e alla foce del fiume, per riceverli o riceverlo… Bisogna dare il benvenuto a chiunque venga in nostro aiuto.
— Esattamente come pensavo — borbottò Briscola, indignato. — Questa grossa sciocchezza non solo non ci porta l’aiuto sperato, ma ci priva di due validi soldati.
— Dottor Cornelius, chi potremmo mandare secondo voi? — chiese Caspian.
— Gli scoiattoli sono i più indicati per penetrare nelle file nemiche senza essere catturati — consigliò Tartufello.
— Tutti i nostri scoiattoli, e non ne abbiamo molti, sono piuttosto… ehm, frivoli. L’unico di cui fidarsi per una missione del genere è Zampalesta.
— E allora mandiamo Zampalesta — acconsentì Caspian. — Manca ancora l’altro messaggero. Tartufello, so bene che acconsentiresti ad andare, ma tu non sei abbastanza svelto. E neppure voi, Cornelius.
— Io non ci vado — protestò Nikabrik. — Ci sono troppi umani e troppi animali, in giro. Ci vuole un nano che controlli la situazione, perché i nani vengano trattati bene.
— Fulmini e saette — gridò Briscola, rosso di rabbia. — È in questo modo che osi rivolgerti al tuo re? Mandate me, Sire, io voglio andarci.
— Ma pensavo che tu non credessi nel corno magico, Briscola — disse Caspian.
— Dite bene, Maestà, ma questo significa qualcosa? Posso sacrificare la vita in un’impresa disperata o morire qui, non ha nessuna importanza. Voi siete il mio re e io conosco la differenza fra dare un consiglio e prendere ordini. Avete ascoltato i miei consigli, Maestà, ora vi dico che è giunto il momento di obbedire agli ordini.
— Non lo dimenticherò mai, Briscola — lo ringraziò Caspian. — Uno di voi vada a chiamare Zampalesta. Quando dovrò suonare il corno?
— Credo che sia meglio aspettare l’alba — propose il dottor Cornelius. — L’alba che sorge ha sempre un certo effetto nei rituali di magia bianca.
Pochi minuti più tardi arrivò Zampalesta e gli fu spiegata la missione da compiere. Visto che, come tutti gli scoiattoli, era coraggioso, pieno di energia ed entusiasmo, birichino e, non per dire, un po’ vanitoso, non avevano ancora finito di parlargli che già fremeva per partire. Fu stabilito che lo scoiattolo andasse a Lanterna Perduta, mentre Briscola avrebbe affrontato il viaggio più breve per la foce del fiume. Dopo un pasto veloce partirono entrambi, con la benedizione del re, del tasso e di Cornelius.