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I Fiia di quel villaggio parlavano male la Lingua Comune, e non erano abituati a usare la voce. Tuttavia ai viaggiatori sembrò di essere ritornati a casa, quando entrarono nelle ariose casette, quando mangiarono in piatti di legno levigato, lontano dalla solitudine e dall'inclemenza del tempo per una sera, accolti dall'allegria e dall'ospitalità. Era uno strano minuscolo popolo, sfuggente, mutevole, aggraziato: Kyo stesso l'aveva chiamato il Mezzo Popolo.

Eppure lo stesso Kyo era ormai diventato leggermente diverso da loro. Sebbene, nell'abito che gli avevano dato, sembrasse identico, e si muovesse e gesticolasse come loro, quando era insieme con gli altri lo si riconosceva subito. Forse perché, essendo un forestiero, non poteva parlare liberamente con il pensiero con gli abitanti del villaggio, forse perché l'amicizia di Rocannon l'aveva cambiato, l'aveva fatto diventare un altro tipo di essere, più solitario, più triste, più completo.

I Fiia conoscevano la configurazione del paese. La zona al di là della grande catena posta a occidente era deserta; per continuare il viaggio verso sud, i viaggiatori avrebbero dovuto seguire la valle, tenendosi a est delle montagne, finché la catena stessa non si fosse volta a est.

— Ci sono dei passi che permettono di oltrepassarla? — domandò Mogien, e i piccoli Fiia dissero: — Certo, certo.

— E sapete cosa giace al di là di quei passi?

— Quei passi sono molto alti, molto freddi — risposero i Fiia, educatamente.

I viaggiatori si trattennero per due notti nel villaggio a riposare, e ripartirono con i bagagli pieni di pane e di carne secca regalata loro dai Fiia, popolo che provava grande piacere nel donare.

Dopo due giorni di volo giunsero a un altro villaggio del piccolo popolo, dove furono nuovamente ricevuti in grande amicizia, tanto che il loro, più che l'arrivo di persone estranee, si sarebbe detto il ritorno di amici lungamente attesi. Quando i destrieri presero terra, un gruppo di Fiia, uomini e donne, venne ad accogliere i viaggiatori, salutando Rocannon, che era stato il primo a smontare di sella, con le parole: — Salve, Olhor!

Rocannon rimase assai sorpreso, e la sorpresa non cessò neppure dopo che si fu detto che quella parola, naturalmente, significava «viaggiatore, errante» e così via, tutti appellativi che corrispondevano al vero. Eppure, a dargli quel soprannome era stato proprio Kyo, il Fian.

In seguito, mentre erano accampati più a valle, dopo un'altra lunga, tranquilla giornata di volo, Rocannon disse a Kyo: — Tra la tua gente, Kyo, avevi un tuo nome proprio?

— Mi chiamavano «pastore», o «fratello giovane», o «corridore». Ero sempre il primo della corsa.

— Ma questi sono soprannomi, descrizioni; come Olhor o Kiemhrir. Siete dei grandi inventori di appellativi, voi Fiia. Salutate ogni visitatore con un soprannome diverso: Signore delle Stelle, Portatore di Spade, Capelli di Sole, Signore delle Parole. Credo che gli Angyar abbiano preso da voi l'amore dei soprannomi. Eppure voi non avete nomi propri.

— Signore delle Stelle, Venuto da Lontano, Capelli di Cenere, Portatore del Gioiello — disse Kyo, sorridendo. — Che cos'è, un nome proprio?

— Capelli di Cenere? Mi sono venuti i capelli grigi? Non sono certo di sapere che cosa sia un nome proprio. Il mio nome, quello che mi è stato dato alla nascita, è Gaveral Rocannon. Una volta detto questo, non ho descritto niente, ma mi sono dato un nome. E quando vedo un nuovo tipo di albero chiedo a te (o a Yahan o a Mogien, perché tu rispondi raramente) quale sia il suo nome. Mi sembra che mi manchi qualcosa, finché non so il suo nome.

— Be', un albero è un albero; come io sono un Fian, come tu sei… cosa?

— Ma ci sono delle differenze, Kyo! In ciascuno dei villaggi che abbiamo incontrato ho chiesto come si chiamano le montagne che sorgono a ponente, la catena che domina su di loro dal momento della nascita a quello della morte, e mi hanno detto: «Quelle sono montagne, Olhor.»

— E lo sono effettivamente — disse Kyo.

— Ma ci sono altre montagne: la catena più bassa che sorge a est, lungo questa stessa valle! Come puoi riconoscere una catena dall'altra, una creatura dall'altra, senza nomi propri?

Con i gomiti appoggiati sulle ginocchia, il Fian guardava le cime illuminate dal sole del tramonto. Dopo qualche tempo, Rocannon capì che la sua domanda non avrebbe ricevuto risposta.

I venti divennero più caldi e le giornate più lunghe con l'avanzare dell'annocaldo e con il loro procedere verso sud. Poiché i destrieri dovevano portare un carico doppio, le tappe non erano mai troppo lunghe, e spesso si fermavano per un giorno o due, per rifornirsi di selvaggina e per permettere ai destrieri di cacciare. Infine videro che la catena occidentale cominciava a curvarsi nella loro direzione, davanti a loro, per andarsi a congiungere con la catena costiera, a est. Le nuove montagne sbarravano loro la strada; il verde della valle giungeva fino ai piedi dei monti, e non saliva più in su. Molto più in alto si scorgeva qualche macchia di verde e di bruno, che testimoniava della presenza di vallate alpine; più in alto ancora, il grigio della roccia e delle pietraie, e infine, a mezza via tra la terra e il cielo, il bianco luminoso delle cime battute dalle tempeste.

A elevata altitudine, sulle prime montagne, giunsero a un villaggio dei Fiia. Il vento gelido proveniente dai picchi soffiava tra i fragili tetti, disperdendo il fumo azzurrino fra la lunga luce del tramonto e le ombre. Come sempre, vennero ricevuti con grazia e allegria, vennero loro offerte in ciotole di legno, nel tepore di una casa, acqua, carne fresca ed erbe, i loro abiti impolverati vennero ripuliti, e i loro destrieri vennero accuditi e nutriti da bambini vivaci come l'argento vivo.

Dopo il pasto, quattro ragazze del villaggio danzarono in loro onore, senza musica: con movimenti e con passi tanto rapidi e leggeri da sembrare prive di corpo, un gioco di luce e di ombre al chiarore del fuoco, elusive, sfuggenti. Rocannon rivolse a Kyo un sorriso compiaciuto, e il Fian, che sedeva accanto a lui, gli restituì con gravità lo sguardo e disse: — Io rimarrò qui, Olhor.

Rocannon, che stava già per rispondere qualcosa, preoccupato, invece tacque, e per qualche tempo si soffermò ancora a guardare le danzatrici, i giochi sempre cangianti di eteree figure in movimento, illuminate dalla tremula luce del fuoco. Intrecciavano una musica usando il silenzio come materia prima, e intrecciavano strane emozioni nella mente degli spettatori. Sulle pareti di legno, la luce del fuoco si curvava, guizzava e cambiava ad ogni istante.

— È stato predetto che l'Errante avrebbe scelto dei compagni. Per qualche tempo.

Rocannon non capì chi parlasse: se lui stesso, Kyo, oppure la voce dei suoi ricordi. Ma le parole si disegnarono nella sua mente e in quella di Kyo. Le danzatrici si separarono, le ombre guizzarono rapidamente sulle pareti, per un istante i capelli sciolti di una delle ragazze brillarono. La danza che non aveva musica era terminata, le danzatrici che avevano soltanto il nome della luce e dell'ombra adesso erano ferme. Allo stesso modo, tra lui e Kyo, un disegno era giunto al suo termine, lasciando al proprio posto la quiete.

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