— Dov'è Mogien? A che popolo appartenete? Parlate…
Non ci fu risposta neanche adesso, e le figure cominciarono ad avvicinarsi lentamente. Raho incoccò una freccia. Sempre tacendo, tutte insieme, all'improvviso le figure parvero gonfiarsi in modo strano, i mantelli si spalancarono da entrambe le parti: attaccarono subito da tutte le direzioni, con lenti, agili balzi.
Combattendo contro quegli esseri, Rocannon combatteva anche per liberarsi dal sogno… doveva essere un sogno; la loro lentezza, il loro silenzio, tutto di loro sembrava irreale, ed egli non sentiva i loro colpi. Ma questo perché indossava la tuta. Udì Raho gridare disperatamente: — Mogien! — Gli assalitori avevano buttato a terra Rocannon grazie, semplicemente, al peso e al numero; poi, prima che potesse liberarsi, egli si sentì sollevare per i piedi, con un movimento largo, da capogiro. Mentre si contorceva, cercando di liberarsi dalle numerose mani che lo stringevano, scorse colline e boschi illuminati dalla luce delle stelle roteare sotto di lui., molto al di sotto di lui. Si sentì girare la testa, e istintivamente si aggrappò con entrambe le mani alle membra sottili delle creature che lo sollevavano. Gli stavano tutt'intorno, lo stringevano con le loro mani, e l'aria era piena di ali nere che battevano.
Continuò così per lungo tempo, e a tratti dovette lottare per svegliarsi da quella monotonia di paura, di voci sottili che sibilavano intorno a lui, di molteplici battiti d'ali che faticosamente lo trasportavano sempre in avanti, sobbalzando.
Poi, all'improvviso, il volo si trasformò in una lunga discesa. L'oriente che andava illuminandosi scivolò orribilmente al suo fianco, la terra si alzò davanti a lui. le numerose mani, forti e morbide, che lo stringevano si aprirono, ed egli cadde. Illeso, ma troppo sofferente e stordito per rizzarsi a sedere, giacque al suolo e si guardò intorno. Sotto di lui c'era un pavimento di lastre lisce come se fossero state tagliate nell'acciaio. Dietro di lui sorgeva la vasta cupola di un edificio, e davanti, al di là di una porta senza architrave, vide una strada fiancheggiata da case argentee senza finestre, perfettamente allineate, tutte identiche: una pura prospettiva geometrica illuminata dal chiarore dell'alba senza nubi. Era una vera città, non un villaggio dell'Età del Bronzo, ma una grande città, severa e grandiosa, possente e precisa, prodotta da una grande tecnologia. Rocannon si rizzò a sedere, con la testa che gli girava.
Quando la luce aumentò, Rocannon riuscì a distinguere alcune forme nella semioscurità del cortile, fagotti o qualcosa di simile; l'estremità di uno di essi era gialla lucente. Con una scossa che ruppe il suo stato di sogno ad occhi aperti vide la faccia bruna sotto la macchia di capelli gialli. Era Mogien, con gli occhi spalancati che fissavano il ciclo, senza battere le palpebre.
Tutt'e quattro i suoi compagni giacevano a terra come Mogien: rigidi e con gli occhi aperti. La faccia di Raho era orrendamente distorta. Perfino Kyo, che nella sua fragilità era parso inattaccabile, giaceva immobile e i suoi grandi occhi riflettevano il chiarore del ciclo.
Eppure respiravano, con respiri lunghi e tranquilli, molto distanziati tra loro; Rocannon accostò l'orecchio al petto di Mogien e udì il battito fioco e lento del cuore, come se lo udisse da una grande distanza.
Un sibilo improvviso proveniente dall'alto lo fece istintivamente acquattare al suolo, dove cercò di rimanere immobile come i corpi paralizzati che lo circondavano. Si sentì afferrare alle braccia e alle gambe. Lo fecero girare su se stesso, vide una faccia china su di lui: una faccia grande, allungata, bruna e bellissima. Sulla pelle scura della testa non spuntava un solo capello, mancavano anche le sopracciglia. Occhi color d'oro chiaro fissavano da palpebre prive di ciglia. La bocca, piccola e delicatamente modellata, era chiusa. Le mani morbide e robuste gli strinsero le mascelle, costringendolo ad aprire la bocca. Un'altra di quelle alte forme si chinò su di lui, ed egli tossì, semisoffocato dal liquido che gli venne versato in bocca: acqua tiepida, puzzolente e stantia.
I due grandi esseri lo lasciarono. Egli balzò in piedi, sputando l'acqua, e disse: — Sto benissimo, lasciatemi stare! — Ma le creature gli avevano già voltato le spalle. Erano chini su Yahan: uno gli apriva a forza le labbra, l'altro gli versava nella bocca una piccola quantità d'acqua, servendosi di un vaso lungo e argenteo.
Erano molto alti, molto snelli. Semi-umanoidi; robusti e delicati, si muovevano con una certa goffaggine e con una certa lentezza sul terreno, che non era il loro elemento naturale. Il petto relativamente stretto si sporgeva in avanti, tra i muscoli delle spalle che muovevano le ali lunghe e morbide. Le ali, con una dolce curva, scendevano dalle spalle come cappe grige. Le gambe erano sottili e corte, e la nobile testa scura sembrava china in avanti perché le ali sporgevano al di sopra di essa.
Il Manuale di Rocannon giaceva sotto le acque nebbiose del canale, ma ora gli tornò alla memoria: «Forme di vita a intelligenza elevata; specie non confermata N. 4; grandi umanoidi, abitanti in città estese.» E proprio a lui toccava la fortuna di confermarne l'esistenza, di vedere per primo una nuova specie, una nuova grande cultura, un possibile membro della Lega. La pura, precisa bellezza degli edifici, la carità impersonale delle due grandi figure angeliche che portavano acqua, il loro regale silenzio, tutto questo lo metteva in profonda soggezione. Non aveva mai visto una razza come quella, in nessun mondo.
Si avvicinò alla coppia di creature, che in quel momento dava l'acqua a Kyo, e domandò in tono cortese, con un po' di diffidenza: — Parlate la Lingua Comune, alati Signori?
Le due figure non gli diedero retta. Si accostarono tranquillamente a Raho, con il loro passo leggero e un poco claudicante, e versarono a forza un po' d'acqua fra le sue labbra contorte. L'acqua colò fuori, scivolando sulle sue guance.
Passarono a occuparsi di Mogien, e Rocannon le seguì. — Ascoltatemi! — disse, ponendosi davanti a loro, ma subito si fermò, colpito da un pensiero sconvolgente. Forse i grandi occhi dorati di quelle creature non vedevano: forse erano cieche e sorde. Infatti non gli risposero, non lo degnarono di uno sguardo, non fecero altro che allontanarsi, alte, aeree, avvolte da capo a piedi nelle ali simili a soffici mantelli. E la porta si chiuse lentamente alle loro spalle.
Riprendendosi da tutte quelle emozioni, Rocannon si recò da ciascuno dei suoi compagni, sperando che le creature alate avessero somministrato qualche antidoto contro la paralisi. Ma non riscontrò alcun cambiamento. Come prima, respiravano lentamente e avevano un battito lentissimo: tutti i suoi compagni meno uno. Il petto di Raho era immobile, e la sua faccia penosamente contorta era fredda. L'acqua che gli avevano dato gli umidiva ancora le guance.
Lo stupore reverenziale di Rocannon lasciò il posto a una fredda collera. Perché gli Uomini Angelo trattavano lui e i suoi compagni come animali selvaggi catturati?
Si allontanò dai compagni e attraversò il cortile, dirigendosi verso la porta senza architrave e poi nelle strade di quella città incredibile.
Niente si muoveva. Tutte le porte erano chiuse. Alte e prive di finestre, una dopo l'altra, le facciate argentee si ergevano silenziose, illuminate dalla prima luce del mattino.
Rocannon contò sei incroci prima di giungere alla fine della strada, costituita da un muro. Era alto cinque metri e si stendeva da entrambi i lati senza interruzioni. Rocannon pensò per un momento di seguire la strada di circonvallazione, ai piedi di quell'altra parete, per cercare una porta d'ingresso alla città, ma poi scartò quella ipotesi, perché era poco probabile che ci fosse una porta. Le creature alate non hanno bisogno di porte d'accesso alle loro città.
Ripercorrendo la strada radiale da cui era giunto, ritornò verso l'edificio centrale: l'unica costruzione della città che differisse, sia come forma, sia come altezza, dalle alte case argentee disposte in file geometriche. Rientrò nel cortile. Ogni casa era chiusa, le strade erano pulite e deserte, il cielo era vuoto, non c'era altro rumore che quello dei suoi passi.