— Salta in acqua, quando te lo ordino — disse Rocannon, rivolto a Yahan. Lentamente, si alzò in piedi. Aprì il colletto della tuta, che ormai indossava da vari giorni, ruppe con uno strattone la striscia di cuoio che portava al collo, gettò sul fondo della barca il sacchetto contenente collana e gemma, richiuse la tuta, e nello stesso istante si tuffò nell'acqua.
Un paio di minuti più tardi era fermo con Yahan tra le rocce della spiaggia; la barca, una macchia scura sul riflesso dell'acqua, diventava sempre più piccola.
— Oh, che possano marcire, che gli vengano i vermi nella pancia, che le loro ossa diventino fango — disse Yahan, e cominciò a piangere. Si era spaventato a morte, ma c'era stato anche qualcosa d'altro che gli aveva fatto perdere il controllo. Vedere che un «Signore» rinunciava a un gioiello prezioso come il riscatto di un regno per salvare la vita a un plebeo, a lui, equivaleva a sovvertire ogni ordine, a richiamare su di sé una responsabilità insopportabile. — Avete fatto male, Signore — piagnucolò. — Avete fatto male.
— Riscattare la tua vita con una pietra? Su, Yahan, controllati. Congelerai, se non accenderemo un fuoco. Hai con te l'acciarino? Da questa parte c'è un mucchio di sterpi. Datti da fare!
Riuscirono ad accendere un fuoco sulla sabbia, e aggiunsero legna finché non fu abbastanza grande da allontanare la notte e il freddo penetrante. Rocannon diede a Yahan il mantello regalatogli dal cacciatore, e il giovane si raggomitolò in esso per dormire. Rocannon rimase a sedere accanto al fuoco, attizzandolo di tanto in tanto. Era inquieto e non aveva voglia di addormentarsi. Era rattristato dalla perdita della collana: non per il suo valore, ma perché un tempo l'aveva data a Semley, che con il ricordo della sua bellezza l'aveva portato su quel pianeta, molti anni più tardi; e perché Haldre l'aveva data a lui, sperando in tal modo, come egli sapeva, di riscattare l'ombra, la morte da lei temuta per il figlio. Forse era un bene che la collana fosse scomparsa: con essa era scomparso anche il peso, il pericolo rappresentato dalla sua bellezza. Forse, se le cose si fossero volte al peggio, Mogien non avrebbe mai saputo della sua perdita; perché Mogien non l'avrebbe trovato, o perché Mogien era già morto… Cercò di non pensarci. Mogien stava cercando lui e Yahan: questo doveva essere il suo punto di partenza. L'Angya li avrebbe cercati lungo le strade che andavano a sud. Infatti, l'unico loro piano consisteva nel dirigersi verso sud per trovare laggiù il nemico (oppure, se i suoi calcoli erano sbagliati, per non trovarlo affatto). Con Mogien o senza Mogien, Rocannon si sarebbe diretto a sud.
Partirono all'alba, e alla prima luce del mattino cominciarono a risalire le colline più vicine alla costa; raggiunsero la prima cresta verso la metà della mattina, e il sole rilevò un altipiano vuoto, che si stendeva fino all'orizzonte: rade macchie di boscaglia lasciavano lunghe ombre dietro di sé. A quanto pareva, Piai aveva detto la verità, affermando che a sud dello Stretto non abitava nessuno. Sull'altipiano, Mogien sarebbe stato in grado di scorgerli da una lunga distanza. Si avviarono verso sud.
Faceva freddo, ma per la maggior parte del tempo il ciclo rimase sereno. Yahan indossava tutti gli abiti che possedevano, Rocannon portava solo la tuta. Di tanto in tanto incontravano qualche ruscello che scendeva in direzione dello Stretto; quanto bastava per dissetarli. Continuarono per un paio di giorni, cibandosi delle radici di una pianta chiamata peya e di un paio di animali simili a conigli, dalle ali corte, che volavano a balzi sul terreno: Yahan li abbatté con il suo bastone, e li fece cuocere su un fuoco di sterpi, acceso con il suo acciarino. Non videro altre creature. La savana si stendeva da ogni lato fino al cielo, piatta, senza alberi, senza sentieri tracciati, muta.
Oppressi dall'immensità, i due uomini sedevano accanto al fuoco, minuscolo al confronto di quella infinita oscurità, e non sapevano cosa dire. Dall'alto, di tanto in tanto, giungeva un breve grido, simile a una pulsazione della notte: erano i barilor, grandi animali selvatici, cugini dei domestici herilor, che effettuavano la migrazione primaverile verso il nord. Per l'estensione di una mano, le stelle scomparivano dietro il grande stormo, ma il richiamo era sempre lanciato da una voce sola, rapida come un impulso nel vento.
— Da quale stella provieni, Olhor? — domandò a voce bassa Yahan. sollevando lo sguardo verso il cielo.
— Sono nato su un mondo chiamato Hain dal popolo di mia madre, e Davenant da quello di mio padre. Presso di voi, il suo sole è chiamato Corona dell'Inverno. Ma io l'ho lasciato molto tempo fa.
— Non siete una sola razza, voi Signori delle Stelle?
— Siamo molte centinaia di razze. Ma il mio sangue appartiene completamente al popolo di mia madre; mio padre, che era un terrestre, mi adottò. È la solita procedura seguita quando si sposano persone appartenenti a specie diverse, che quindi non possono avere figli. Come se uno dei vostri sposasse una donna Fian.
— Non è mai successo — disse Yahan, rigido.
— Lo so. Ma terrestri e davenantiani sono molto simili tra loro, come potremmo esserlo tu e io. Sono pochissimi i mondi che ospitano tante razze diverse come questo. Di solito c'è una sola razza, che assomiglia a noi, e il resto è costituito da animali privi di parola.
— Tu hai visto tanti mondi — disse il giovane, con voce sognante, cercando di immaginarli.
— Troppi — rispose Rocannon. — Io ho quaranta dei vostri anni, ma sono nato cento e quaranta anni fa. Cento anni li ho persi senza viverli, viaggiando tra i mondi. Se dovessi tornare su Davenant o sulla Terra, le persone che ho conosciuto sarebbero morte da un secolo. Io posso soltanto andare avanti; o fermarmi definitivamente in qualche posto… Che cos'è? — Il senso di una qualche presenza pareva far tacere anche il sibilo del vento attraverso l'erba.
C'era qualcosa che si muoveva, ai limiti della zona rischiarata dal fuoco: una sorta di grande ombra, di oscurità.
Rocannon si inginocchiò a terra, teso; Yahan si scostò dal fuoco.
Non si mosse nulla. Il vento continuò a sibilare tra l'erba, alla luce grigiastra delle stelle. Sull'orizzonte, le stelle avevano ripreso a brillare, chiare, senza ombre che le nascondessero.
I due fecero ritorno al falò. — Che cosa è stato? — domandò Rocannon.
Yahan scosse la testa: — Piai ha parlato di… qualcosa…
Dormirono a tratti, cercando di farsi coraggio l'un l'altro montando la guardia. Quando lentamente si alzò l'alba, entrambi erano molto stanchi. Cercarono qualche impronta o qualche segno nel punto dove avevano creduto di vedere l'ombra, ma l'erba era intatta. Spensero il fuoco e proseguirono, diretti verso sud guidati dal sole.
Contavano d'incontrare presto un ruscello, ma non ne trovarono alcuno. O il corso dei fiumi in quella zona si dirigeva da nord a sud. o semplicemente non ce n'erano più. La pianura o savana, che sembrava immutabile sotto i loro passi, da tempo era sempre un poco più secca, sempre un poco più grigia. Quella mattina non avevano visto piante di peya; solo la ruvida erba grigia che si stendeva fino all'orizzonte, in ogni direzione.
A mezzogiorno Rocannon si fermò.
— È inutile, Yahan — disse.
Yahan si strofinò il collo, si guardò intorno, poi voltò la faccia scarna e stanca verso Rocannon. — Se intendi proseguire, Signore, io proseguirò con te.
— Non possiamo continuare senza acqua e senza cibo. Torneremo sulla costa e ruberemo una barca per tornare a Hallan. Andare avanti non serve a niente. Seguimi.
Rocannon si voltò e s'incamminò verso nord. Yahan si mise al suo fianco. Il sole ardeva azzurrino, il vento sibilava interminabilmente sull'erba senza confine. Rocannon camminava deciso, con le spalle un poco curve, ed ogni suo passo ribadiva la sua sconfitta, l'irrimediabilità del suo esilio. Non si voltò quando Yahan si fermò.