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— Signor Chambers — chiesi — la MasterCard potrebbe incassare per me? Non voglio farlo di persona.

Il signor Chambers è un caro uomo, ma un po’ lento. Dovette confrontare i numeri sul mio biglietto coi numeri che lampeggiavano ancora sullo schermo tre volte prima di convincersi. Poi Georges dovette fermarlo quando schizzò via in tutte le direzioni per chiamare un fotografo, telefonare alla direzione della Lotteria Nazionale, convocare una squadra dell’olovisione; ed è un bene che sia stato Georges a fermarlo, perché io avrei anche potuto usare le maniere forti. I signori uomini che non danno retta alle mie obiezioni mi irritano.

— Signor Chambers! — disse Georges. — Non l’avete sentita? Non vuole farlo di persona. Non vuole pubblicità.

— Cosa? Ma i vincitori finiscono sempre nei notiziari. È routine! Non ci metteranno più di un momento ad arrivare, se è questo che vi preoccupa. Ricordate la ragazza che ha vinto prima? In questo istante la stanno fotografando con J.B. e la sua torta. Andiamo nell’ufficio del vecchio J.B. e…

— Georges — dissi io. — American Express.

Georges non è lento; e non mi spiacerebbe sposarlo, se mai Janet dovesse lasciarlo libero. — Signor Chambers — disse subito lui — qual è l’indirizzo della sede centrale dell’American Express a San José?

Il volo planante di Chambers si interruppe di colpo. — Cosa avete detto?

— Potete darci l’indirizzo dell’American Express? La signorina Baldwin porterà là il suo biglietto vincente per l’incasso. Li chiamerò prima e mi assicurerò che ci garantiscano nel modo più assoluto il segreto bancario.

— Ma non potete. Ha vinto qui.

— Possiamo, e lo faremo. La signorina non ha vinto qui. Semplicemente si trovava qui mentre l’estrazione si svolgeva da un’altra parte. Levatevi di torno. Ce ne andiamo.

Poi dovemmo ripetere tutto da capo per J.B., che era un vecchio papero pieno di dignità, con un sigaro a un lato della bocca e uno strato di glassa bianca sul labbro superiore. Non era né lento né stupido, però era abituato a veder esauditi i propri desideri, e Georges dovette fare un accenno piuttosto sonoro all’American Express prima che lui si ficcasse in testa che non avrei tollerato la minima pubblicità (Boss sarebbe svenuto!) e che eravamo pronti a trattare coi cambiavalute di Rialto, piuttosto che affidarci a lui.

— Ma la signorina Bulgrin è una cliente della Master-Card.

— No — ribattei. — Credevo di essere una cliente della MasterCard ma il signor Chambers si è rifiutato di onorare il mio credito. Quindi aprirò un conto con l’American Express. Senza fotografi.

Chambers spiegò che la mia carta di credito era stata emessa dalla Banca Imperiale di St. Louis.

— Un istituto di ottima reputazione — commentò J.B. — Chambers. Fornitele un’altra carta di credito. Nostra. Immediatamente. E incassate per lei il biglietto vincente. — Mi guardò, si tolse il sigaro di bocca. — Senza pubblicità. Gli affari dei clienti della MasterCard sono sempre confidenziali. Soddisfatta, signorina Walgreen?

— Molto, signore.

— Chambers. Eseguite.

— Sì, signore. Che limite di credito, signore?

— Che entità di credito desiderate, signorina Belgium? Forse dovrei chiedervelo in corone. A quanto ammonta il vostro deposito presso i miei colleghi di St. Louis?

— Sono una cliente in oro, signore. I miei rendiconti sono in lingotti e non in corone, in base al loro metro di conversione fra oro e valuta. È lo stesso se facciamo i conti in oro? Il fatto è che non sono abituata a pensare in denaro. Viaggio così tanto che mi è più facile pensare in grammi d’oro. — (È quasi ingiusto parlare di oro a un banchiere di un paese con la moneta debole; gli obnubila il cervello.)

— Volete pagare in oro?

— Se è possibile. In lingottini a diciotto carati che vi verranno versati dalla Ceres & South Africa Acceptance, ufficio di Luna City. Lo trovate accettabile? Di solito pago trimestralmente, appunto perché viaggio tanto, ma posso dare istruzioni alla C. & S.A.A. di pagarvi mensilmente, se un trimestre è troppo per voi.

— Il trimestre va benissimo. — (Certo che va benissimo; gli interessi passivi si accumulano.)

— Ora, per il limite di credito… A essere sincera, signore, non mi va di investire una parte troppo grossa delle mie attività finanziarie in una sola banca o in un solo paese. Vogliamo limitarci a trenta chili?

— Se è questo che desiderate, signorina Bedlam. Se un domani voleste alzare il limite, fatecelo sapere. — J.B. aggiunse: — Chambers. Eseguite.

Così tornammo nello stesso ufficio dove ero stata informata che la mia carta di credito valeva zero. Il signor Chambers mi offrì un modulo. — Permettetemi di aiutarvi a compilarlo, signorina.

Diedi un’occhiata. Nome dei genitori. Nome dei nonni. Luogo e data di nascita. Indirizzi, tutti quelli degli ultimi quindici anni. Attuale datore di lavoro. Datore di lavoro immediatamente precedente. Motivi per cui si è lasciato il lavoro precedente. Stipendio attuale. Situazione finanziaria. Tre referenze di persone che vi conoscono almeno da dieci anni. Siete mai andato soggetto a bancarotta o una vostra azienda è stata messa in regime di amministrazione controllata o siete stato direttore o dirigente di ditte, società o enti che abbiano fatto inchiesta di riorganizzazione in base al paragrafo tredici della Legge Novantasette del Codice Civile della Confederazione Californiana? Siete mai stato giudicato colpevole di…

— Friday. No.

— Stavo per dirlo io. — Mi alzai.

Georges disse: — Addio, signor Chambers.

— Qualcosa non va?

— Ma certo. Il vostro direttore vi ha detto di intestare alla signorina Baldwin una carta di credito per pagamenti in oro a diciotto carati con un limite di trenta chilogrammi. Non vi ha detto di sottoporla a un quiz impertinente.

— Ma è una procedura sta…

— Lasciamo perdere. Spiegate a J.B. che avete fallito un’altra volta.

Il nostro signor Chambers diventò di un verde chiaro: — Sedetevi, per favore.

Dieci minuti dopo ce ne andammo, e io avevo una nuova carta di credito color oro, buona dappertutto (speravo). In cambio avevo dato il mio numero di casella postale a St. Louis, l’indirizzo del mio parente più prossimo (Janet), e il mio numero di conto corrente a Luna City; e avevo firmato l’autorizzazione ad addebitare le mie spese, ogni trimestre alla C. & S.A.A. Possedevo inoltre un tranquillizzante gruzzolo di orsi e un altro più o meno identico di corone, e la ricevuta per il biglietto della lotteria.

Lasciammo l’edificio, girammo l’angolo, raggiungemmo National Plaza, trovammo una panchina e sedemmo. Erano le diciotto; faceva un fresco piacevole, ma il sole era ancora alto sopra le montagne di Santa Cruz.

Georges si informò: — Cara Friday, quali sono i tuoi desideri?

— Restare seduta qui un attimo e rimettere in ordine le idee. Poi dovrei offrirti da bere. Ho vinto la lotteria, devo offrire. È il minimo.

— Il minimo — convenne lui. — Hai vinto duecentomila orsi con… venti orsi?

— Un dollaro. Le ho lasciato il resto.

— Più o meno. Hai vinto quasi ottomila dollari.

— Settemilaquattrocento e sette dollari, più qualche cent.

— Non è una fortuna, ma una somma rispettabile.

— Piuttosto rispettabile — convenni. — Per una donna che ha iniziato la giornata affidandosi al buon cuore degli amici. A meno che non fossi in credito di qualcosa per la mia performance «sufficiente» della notte scorsa.

— Mio fratello Ian esigerebbe un labbro gonfio, per una frase del genere. Volevo aggiungere che per quanto settemilaquattrocento dollari siano una somma rispettabile mi ha colpito molto di più il fatto che col solo ausilio di un biglietto della lotteria tu abbia convinto una banca tanto conservatrice ad aprirti un credito di un milione di dollari circa, calcolati in oro. Come ci sei riuscita, tesoro? Non hai battuto ciglio. Non hai messo nemmeno un pizzico di veleno nella voce.

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