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— Psepha! — urlò K!sdra.

Il dragone ruggì in tono di sfida, ma si astenne dal completare la picchiata che avrebbe portato via la testa di Scuotivento e, battendo le ali poderose, tornò al suo albero.

— Parla! — gridò Scuotivento.

K!sdra lo guardò seguendo con gli occhi il filo della spada. — Cosa vorresti che dicessi? — chiese.

— Cosa?

— Ho detto cosa vorresti che ti dicessi?

— Dove sono i miei amici? Intendo il barbaro e l’ometto.

— Credo che li abbiano riportati al Wyrmberg.

Con strattoni frenetici Scuotivento cercava di frenare l’irruenza della spada e di non prestare attenzione al suo ronzio assetato di sangue.

— Che cos’è un Wyrmberg?

— Il Wyrmberg. Ce n’è uno solo. È la casa dei Dragoni.

— E suppongo che voi aspettavate per condurmici, eh?

K!sdra se ne uscì in un gridolino involontario quando la punta della spada gli fece uscire una goccia di sangue dal pomo d’Adamo.

— Non volete che la gente sappia che qui ci sono i dragoni, eh? — ringhiò il mago. Il cavaliere annuì senza pensarci e fu a un centimetro dal tagliarsi la gola.

Scuotivento lo guardò con un sorrisetto. O piuttosto con una smorfia che non aveva nulla di allegro, un vero e proprio rictus. Del genere normalmente accompagnato da uccellini rivieraschi che svolazzano dentro e fuori e becchettano i rimasugli dai denti.

— Vivo andrà bene — disse. — Se parliamo di qualcuno che è morto, ricordati di chi è questa spada e in mano di chi.

— Se mi uccidi nulla impedirà a Psepha di ammazzarti — urlò il cavaliere.

— Allora ecco che farò, ti taglierà a pezzetti. — Il mago provò di nuovo l’effetto della smorfia.

— Oh, va bene — esclamò K!sdra imbronciato. — Pensi che io non abbia immaginazione?

Si contorse fino a togliersi da sotto la spada e fece cenno al drago, che volò giù verso di loro. Scuotivento deglutì.

— Vuoi dire che dobbiamo andare su quel coso?

L’altro lo guardò sprezzante, con la punta di Kring sempre diretta al suo collo. — Come altro si arriverebbe al Wyrmberg?

— Non lo so. Come?

— Voglio dire, non c’è altro modo. O si vola o niente.

Scuotivento dette un’ultima occhiata al dragone che gli stava davanti. Distingueva chiaramente attraverso il corpo dell’animale l’erba calpestata sulla quale giaceva, ma quando gli toccò con precauzione una squama che appariva un semplice bagliore dorato, la sentì abbastanza solida. Pensò: "O i draghi dovrebbero esistere compiutamente o non dovrebbero esistere affatto. Un drago che esiste soltanto a metà è ancor peggio dei due estremi".

— Non sapevo si potesse vedere attraverso i draghi — osservò.

Klsdra alzò le spalle. — Non lo sapevi? — Si issò in groppa al dragone un po’ goffamente, perché Scuotivento si teneva aggrappato alla sua cintura. Una volta sistemato piuttosto scomodamente, il mago si afferrò a un pezzo della bardatura per reggersi meglio e punzecchiò leggermente K!sdra con la spada.

— Hai mai volato prima? — gli chiese il cavaliere senza voltarsi.

— Così, no.

— Vuoi qualcosa da succhiare?

Scuotivento guardò il sacchetto di dolci rossi e gialli che l’altro gli offriva. — È necessario?

— È una tradizione. Serviti pure.

Il drago si drizzò, si mosse pesantemente attraverso la radura e si levò in aria.

Scuotivento aveva un incubo ricorrente: si trovava barcollante su un luogo intangibile ma tremendamente alto e vedeva scorrergli sotto un paesaggio punteggiato da nuvole, reso cilestrino dalla distanza. (Di solito si svegliava dal sogno con le caviglie sudate; quanto si sarebbe maggiormente preoccupato se avesse saputo che l’incubo non era causato dalla solita vertigine del mondo-disco. Invece era il ricordo di un evento del suo futuro così terrificante da generare ipertoni di paura lungo tutta la linea della sua vita.)

L’attuale non era quell’evento, ma ne costituiva una buona preparazione.

Psepha avanzava con una serie di balzi da sconquassare le vertebre. All’apice dell’ultimo balzo, le bianche ali si aprirono con uno scatto e si spiegarono con un tonfo che fece tremare gli alberi.

Adesso si erano alzati da terra e Psepha saliva con un movimento pieno di grazia; i raggi del sole pomeridiano brillavano sulle sue ali, tuttora simili a un velo dorato. Scuotivento fece lo sbaglio di guardare in giù e scorse attraverso il corpo del dragone le cime degli alberi in basso. Molto in basso. Lo stomaco gli si contrasse alla vista.

Né era molto meglio chiudere gii occhi, perché così la sua immaginazione si metteva a galoppare. Giunse a un compromesso: tenere lo sguardo fisso a media distanza, dove brughiera e foresta scorrevano via ed era possibile contemplarle di quando in quando.

Si sentì ghermire dal vento. K!sdra si girò a metà e gli urlò nell’orecchio: — Guarda il Wyrmberg!

Scuotivento voltò piano la testa, badando a tenere Kring leggermente poggiata sulla schiena del drago. Con gli occhi che il vento faceva lagrimare, vide la montagna capovolta in modo impossibile levarsi dalla vallata ricoperta di foreste, come una tromba da un tino pieno di muschio. Perfino da quella distanza scorgeva nell’aria il tenue bagliore dell’ottarino che stava a indicare un’aura magica stabile di almeno (gli mancò il respiro) diversi milliPrimi? Almeno!

— Oh no! — esclamò.

Guardare giù alla terra era sempre meglio di quello. Distolse in fretta lo sguardo e si accorse di non potere più vedere attraverso il drago. Mentre compivano un largo giro verso il Wyrmberg, la creatura stava decisamente assumendo una forma più solida, come se il suo corpo si riempisse di nebbia dorata. Nel momento in cui si trovarono di fronte il Wyrmberg. svettante nel cielo, il drago era diventato reale come una roccia.

Parve a Scuotivento di vedere nell’aria una sottile striscia, come se la montagna si fosse protesa a toccare la bestia. Gli sembrò, stranamente, che così il drago diventasse più autentico.

Di fronte a loro, il Wyrmberg si trasformò da giocattolo distante diversi miliardi di tonnellate di roccia in equilibrio tra cielo e terra. Sì scorgevano piccoli campi, boschi e, verso la cima, un lago e dal lago sgorgava un fiume che precipitava oltre il bordo…

Scuotivento fece l’errore di seguire con l’occhio la traccia d’acqua spumeggiante e si ritirò indietro di scatto, giusto in tempo.

La cima svasata della montagna capovolta veniva loro incontro. Il drago nemmeno rallentò.

Via via che la montagna incombeva su di lui, simile al più grosso scacciamosche dell’universo, Scuotivento scorse l’imboccatura di una caverna, verso la quale si diresse Psepha.

Avvolto a un tratto dall’oscurità, il mago diede un grido. Una rapida visione di rocce trascorrenti, resa confusa dalla velocità, poi il drago fu di nuovo all’aperto.

Si trovavano dentro una caverna, più grande di quanto sarebbe lecito aspettarsi da qualsiasi caverna. Il drago, che scivolava attraverso quell’enorme vuoto, era una semplice mosca dorata in una sala dei banchetti. Nell’aria illuminata dai raggi del sole altri draghi, dorati, argentei, neri, bianchi volteggiavano per i loro propri scopi o erano appollaiati su spunzoni di roccia. In alto nel tetto a cupola della caverna decine di altri pendevano da grossi anelli. Lassù c’erano anche degli uomini. Vedendoli, Scuotivento fu allibito perché quelli camminavano sulla vasta superficie del soffitto come mosche. Poi scorse le migliaia di piccoli anelli che lo costellavano. Alcuni uomini a testa in giù osservavano interessati il volo di Psepha. Scuotivento fu ancora più esterrefatto. Non riusciva a pensare a cosa doveva fare, ne fosse andato della sua vita.

— Allora? — bisbigliò. — Qualche suggerimento?

— Naturalmente tu attacchi — rispose sprezzante Kring.

— Come mai non ci ho pensato? Forse perché sono tutti muniti di balestra.

— Sei un disfattista.

— Disfattista! Questo perché sto per essere sconfitto!

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