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— Pare che funzioni — osservò Duefiori, colmo di ammirazione.

— Certo — disse Scuotivento. — Ciò che piace più di tutto agli eroi sono loro stessi.

— Sapete, state diventando proprio bravo a usare la scatola.

— Già.

— Allora forse vi piacerebbe avere questa. — Duefiori gli tese una immagine.

— Che cos’è?

— Oh, solo l’immagine che avete ritratta nel tempio.

Scuotivento la guardò inorridito. Era l’immagine confusa di un grosso pollice calloso e macchiato di pozioni, incorniciato da pochi brandelli di tentacoli.

— Quella è la storia della mia vita — disse stancamente.

— Hai vinto — disse il Fato, spingendo il mucchio di anime sul tavolo da gioco. Gli dei riuniti lì intorno si rilassarono. — Ci saranno altre partite — aggiunse.

La Signora sorrise guardando negli occhi che erano come due buchi nell’universo.

E poi non vi fu altro che una nuvola di polvere all’orizzonte, trascinata via dalla brezza e le rovine delle foreste. E, seduta su una pietra miliare corrosa e ricoperta di muschio, una figura nera e lacera. Aveva l’aria di una che è ingiustamente maltrattata, paventata e temuta, e che pure è l’unica amica del povero e il miglior dottore per colui che è mortalmente ferito.

Sebbene naturalmente priva di occhi, la Morte osservava scomparire Scuotivento con quello che sarebbe stato un cipiglio, se il suo volto avesse posseduto una qualche mobilità. Benché fosse sempre straordinariamente affaccendata, la Morte decise che ora aveva un hobby. C’era qualcosa nel mago che la irritava oltre misura. Tanto per cominciare, lui non rispettava gli appuntamenti.

— Eppure ti avrò, amico — disse la Morte con voce simile al tonfo del coperchio di una bara di piombo. — Vedrai che ci riuscirò.

La lusinga del Wyrm

Era chiamato il Wyrmberg e si ergeva a un’altezza di quasi mille metri al di sopra della verde vallata: un monte imponente, grigio e capovolto.

Alla base misurava soltanto una ventina di metri, poi s’innalzava attraverso una coltre di nubi, si curvava graziosamente come una tromba volta verso l’aito finché era troncato da un altopiano largo una quarantina di metri. Lassù c’era una piccola foresta che sporgeva i suoi rami verdi oltre il bordo. C’erano delle case e c’era perfino un torrente che formava una cascata spumeggiante che il vento sferzava così da farla ricadere a terra sotto forma di pioggia.

Pochi metri sotto l’altopiano si aprivano a intervalli regolari delle caverne che parevano rozzamente scolpite, così che in quel fresco mattino autunnale il Wyrmberg svettava sopra le nubi come una gigantesca colombaia.

In questo caso le "colombe" avrebbero avuto un’apertura alare di un po’ più di quaranta metri.

— Lo sapevo — esclamò Scuotivento. — Ci troviamo in un forte campo magico.

Duefiori e Hrun diedero un’occhiata alla piccola conca dove avevano fatto una sosta per mezzogiorno, poi si guardarono.

I cavalli brucavano l’erba rigogliosa sulle rive del torrente. Farfalle gialle svolazzavano tra i folti cespugli. C’era odore di timo e un ronzio di api. I cinghiali allo spiedo mandavano uno sfrigolio leggero.

Hrun alzò le spalle e si rimise a oliarsi i bicipiti. Che brillavano. — A me sembra normale — disse.

— Prova a gettare in aria una moneta — gli consigliò Scuotivento.

— Cosa?

— Forza, getta una moneta.

— Va bene. Se ti fa piacere. — Hrun estrasse dalla borsa una manciata di monete rapinate da decine di reami. Scelse con cura uno Zchloty di piombo da un quarto e lo soppesò sull’unghia.

— Scegli tu — disse. — Testa o… — Esaminò il rovescio con aria d’intensa concentrazione. — Una specie di pesce con le zampe.

— Quando è in aria — disse Scuotivento. Hrun sogghignò e diede una schicchera col pollice.

La moneta roteò in alto.

— Di taglio — affermò Scuotivento senza guardarla.

La magia non muore mai. Svanisce soltanto.

In nessun luogo ciò era più evidente, nella vasta distesa azzurra del mondo-disco, come nelle zone che erano state la scena delle grandi battaglie delle Guerre dei Magi, poco dopo la Creazione. In quei giorni la magia, allo stato naturale era stata largamente accessibile e se ne erano avvalsi i Primi Uomini nella loro guerra contro gli Dei.

Le esatte origini delle Guerre dei Magi si sono perse nelle nebbie del Tempo, ma i filosofi del disco si trovano d’accordo nel giudicare che i Primi Uomini, poco dopo la loro creazione, a ragione andarono in collera. E grandi e pirotecniche furono le battaglie che ne seguirono: il sole veleggiò nel cielo, i mari ribollirono, uragani spaventosi devastarono la terra, piccoli bianchi piccioni apparvero misteriosamente negli indumenti della gente e fu minacciata la stabilita stessa del disco (trasportato nello spazio sul dorso di quattro giganteschi elefanti a cavallo della tartaruga). Fu così che seri provvedimenti furono presi dai Grandi Vecchi ai quali perfino gli Dei devono rendere conto. Gli Dei furono esiliati in alti luoghi, gli uomini furono ricreati molto più piccoli e gran parte dell’antica libera magia venne risucchiata via dalla terra.

Tutto questo però non risolse il problema delle zone del disco le quali, durante le guerre, erano state direttamente colpite da un incantesimo. La magia svanì… lentamente, nel corso dei millenni e liberò durante il processo miriadi di particelle sub-astrali che stravolsero la realtà circostante…

Scuotivento, Duefiori e Hrun guardavano la moneta.

— È di taglio — disse Hrun. — Bene, sei un mago. E allora?

— Io non faccio… questo tipo d’incantesimo.

— Vuoi dire che non ci riesci.

Scuotivento ignorò la battuta, perché era la verità. — Riprovaci — suggerì.

Hrun tirò fuori una manciata di monete.

Le prime due ricaddero nella solita maniera. E così la quarta. La terza, invece, ricadde di taglio e lì rimase a ondeggiare. La quinta si trasformò in un piccolo bruco giallo e strisciò via. La sesta, raggiunto il suo zenit, svanì con un acuto "spang"! Un momento più tardi risuonò un breve scoppio di tuono.

— Ehi, quella d’argento — esclamò Hrun, saltando in piedi e guardando in su. — Riportala qui!

— Non so dove è andata — disse stancamente Scuotivento. — Probabilmente sta ancora aumentando di velocità. Comunque, quelle con cui ho provato stamane non sono tornate giù.

Hrun continuava a fissare il cielo.

— Cosa? — chiese Duefiori.

Scuotivento sospirò. Ecco il momento che aveva temuto. — Ci siamo persi in una zona con alto quoziente magico. Non chiedetemi come. Qui una volta deve avere avuto origine un campo magico veramente potente, e noi ne risentiamo gli effetti.

— Esatto — confermò un cespuglio che passava in quel momento.

Hrun abbassò di scatto la testa. — Vuoi dire che questo è uno di quei luoghi? Andiamocene!

— Giusto — disse Scuotivento. — Se torniamo sui nostri passi potremmo farcela. Possiamo fermarci pressappoco a ogni chilometro e gettare in aria una moneta.

Si alzò in fretta e prese a riporre le sue cose nelle sacche da sella.

— Cosa? — ripeté Duefiori.

Il mago si fermò. — Sentite — gli disse brusco. — Non discutete. Venite.

— A me questo posto mi sta bene — protestò Duefiori. — Giusto un po’ spopolato, ecco tutto…

— Già. Curioso, no? Andiamo!

In alto sulle loro teste si produsse un rumore simile a quello di una correggia sbattuta su una roccia bagnata, e una forma indistinta e trasparente passò sulla testa di Scuotivento, fece alzare una nuvola di ceneri dal fuoco e la carcassa del porco schizzò via dallo spiedo e sfrecciò su nel cielo. Virò per evitare un folto d’alberi, si raddrizzò, tracciò un cerchio angusto e si diresse verso il centro, lasciando dietro di sé una scia di goccioline di grasso di porco.

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