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Dietro a lui Hrun urlò, ma sembrò più un ululato di rabbia che un grido di dolore. Con un volteggio il barbaro era atterrato tra l’erica e aveva sfoderato la spada nera, Kring. La brandì e urlò: — Nessuna dannata lucertola può farmi una cosa simile! — Intanto uno dei draghi si era girato per sferrare un altro attacco.

Scuotivento si sporse ad afferrare le redini di Duefiori. — Vieni via! — sibilò.

— Ma i draghi… — protestò Duefiori, incantato.

— Al diavolo i… — cominciò il mago e s’interruppe di botto. Un altro drago, staccatosi dai piccoli punti volteggianti in alto, stava planando verso di loro. Scuotivento lasciò andare il cavallo di Duefiori, imprecò con violenza, e spronò la sua cavalcatura dirigendosi, solo, verso gli alberi. Non si guardò alle spalle all’udire un improvviso tumulto e quando un’ombra lo sorvolò, si limitò a gemere piano, cercando di nascondersi nella criniera del cavallo.

Poi, invece del dolore lacerante che si era aspettato, ci fu una serie di colpi pungenti mentre l’animale terrorizzato passava sotto la volta del bosco. Il mago cercò di reggersi ma un ramo basso, più robusto degli altri, lo sbalzò di sella. L’ultima cosa che udì prima di essere ingoiato dalle luci azzurre e perdere i sensi fu un acuto grido di frustrazione del rettile e lo sferzare dei suoi talloni sulle cime degli alberi.

Quando rinvenne, un drago lo stava fissando. O almeno guardava nella sua direzione. Con un gemito, Scuotivento cercò di infilarsi nel folto tappeto di muschio facendo forza sulle scapole, ma trattenne il respiro dal dolore acuto.

Girò la testa a guardare il drago, in mezzo alla nebbia provocata dal dolore e dalla paura.

La creatura penzolava da un ramo di una grossa quercia morta, diversi metri più in là. Le sue ali di bronzo dorato gli aderivano strettamente al corpo, ma la lunga testa equina si voltava di qua e di là all’estremità di un collo straordinariamente prensile, per scrutare la foresta.

Era anche semitrasparente. Sebbene il sole brillasse sulle sue squame, Scuotivento scorgeva chiaramente la sagoma attraverso il contorno dei rami.

Su uno di essi sedeva un uomo, rimpicciolito dal confronto con il rettile. Era nudo a eccezione di un paio di alti stivali, un piccolo perizoma di pelle che gli copriva i genitali e un elmo dall’alto cimiero. Faceva dondolare oziosamente una corta spada e fissava in alto le cime degli alberi con l’aria di uno che assolve un incarico tedioso e senza gloria.

Un coleottero cominciò ad arrampicarsi faticosamente sulla gamba di Scuotivento.

Il mago si chiese quanto potesse essere pericoloso un drago ridotto a metà della sua potenza. Lo avrebbe ammazzato soltanto a meta? Decise di non restare a scoprirlo.

Aiutandosi con i calcagni, le punte delle dita e i muscoli delle spalle, si contorse spostandosi di lato fino a che il fogliame mascherò la quercia e i suoi occupanti. Quindi si rimise in piedi e se la dette a gambe tra gli alberi.

Non aveva in mente una meta, non disponeva di provviste né di un cavallo. Ma finché aveva ancora le gambe poteva correre. Felci e rami lo sferzavano, ma lui non li sentiva.

Quando ebbe messo circa due chilometri tra lui e il drago, si fermò e si appoggiò esausto a un albero, che gli rivolse la parola.

— Psst — lo chiamò.

Terrorizzato da ciò che avrebbe potuto vedere, Scuotivento alzò lo sguardo. I suoi occhi cercarono di fissarsi sulle foglie e su innocui pezzetti di corteccia, ma la curiosità li costrinse a staccarsene. Finalmente si posarono su una nera spada infilzata proprio nel ramo sopra la sua testa.

— Non stare lì impalato — disse la spada (con voce simile al suono di un dito passato sull’orlo di un largo bicchiere di vino vuoto). — Tirami fuori.

— Cosa? — chiese Scuotivento, ancora con il respiro affannoso.

— Tirami fuori — ripeté Kring. — Oppure dovrò trascorrere il prossimo milione di anni in uno strato di carbone. Ti ho mai raccontato di quella volta che mi buttarono in un lago lassù nel…

— Che è successo agli altri? — chiese Scuotivento, sempre aggrappato al tronco dell’albero.

— Oh, i draghi li hanno presi. E i cavalli. E quella buffa cassa. Anche me, solo che Hrun mi ha lasciato cadere. Che colpo di fortuna hai avuto.

— Be’… — cominciò Scuotivento. ma Kring lo ignorò.

— Sono certo che avrai fretta di salvarli — aggiunse.

— Sì, be’…

— Quindi, se mi tiri fuori, possiamo muoverci.

Scuotivento lanciò un’occhiata in tralice alla spada. Se certe speculazioni avanzate sulla natura e la forma della molteplicità multidimensionaie dell’universo erano esatte, un tentativo di recupero, fino allora relegato in un angolo remoto della sua mente, era invece in cima ai suoi pensieri. E una spada magica era un ausilio prezioso…

E lungo sarebbe stato il cammino per tornare a casa, ovunque essa fosse…

Si arrampicò sull’albero e cominciò a strisciare lungo il ramo. Kring era saldamente piantata nel legno. Lui afferrò il pomo e tirò fino a farsi venire dei lampi luminosi davanti agli occhi.

— Riprova — lo incoraggiò la spada.

Scuotivento gemette e strinse i denti.

— Potrebbe essere peggio — disse Kring. — Sarebbe potuta essere un’incudine.

— Yaargh — sibilò il mago, che temeva il futuro del suo inguine.

— Io ho un’esistenza multidimensionale — affermò la spada.

— Ungh?

— Ho avuto molti nomi, sai.

— Incredibile — disse Scuotivento, che barcollò all’indietro mentre la lama scivolava fuori.

Di nuovo a terra, decise che era venuto il momento di dare la notizia. — In realtà, non credo che andare a liberarli sia una buona idea. Penso che faremmo meglio a tornare in una città. Sai, per organizzare una squadra di ricerca.

— I draghi erano diretti verso il centro — disse Kring. — Comunque, suggerisco di cominciare con quello lassù negli alberi.

— Spiacente, ma…

— Non puoi abbandonarli al loro fato!

— Non posso? — disse Scuotivento sorpreso.

— No. non puoi. Senti, sarò franca. Ho lavorato con materiale migliore di quanto sei tu, ma o mi contento o… hai mai trascorso un milione di anni in uno strato di carbone?

— Senti, io…

— Perciò se non la pianti di discutere, ti taglio la testa.

Scuotivento vide il proprio braccio sollevarsi finché la lama lucente gli sibilò a un centimetro dalla gola. Cercò di costringere le sue dita ad aprirsi. Niente da fare.

— Io non so fare l’eroe! — gridò.

— Mi offro di insegnarti.

Il bronzeo Psepha emise un profondo brontolio.

K!sdra, il suo cavaliere, si chinò in avanti a scrutare la radura. — Lo vedo — esclamò. Si calò agilmente dai rami, atterrò leggero sui ciuffi d’erba e sfoderò la spada.

Dette una buona occhiata all’uomo che si avvicinava, chiaramente riluttante ad abbandonare il riparo degli alberi. Era armato ma il suo modo di reggere la spada, a braccio teso di fronte a sé, era curioso, come se lo imbarazzasse essere visto in sua compagnia.

K!sdra sollevò la propria spada, con un largo sorriso sarcastico alla vista del mago che avanzava goffo. Poi balzò in avanti.

Più tardi ricordò soltanto due cose del combattimento. Ricordò il modo inquietante in cui la spada del mago si curvava all’insù e si abbatteva sulla sua con tanta violenza da fargliela schizzare via di mano. L’altra cosa che, si giustificava, aveva causato la sua sconfitta, era che il mago gli copriva gli occhi con una mano.

K!sdra fece un salto indietro per evitare un altro colpo e finì lungo disteso a terra. Con un ringhio Psepha spiegò le sue grandi ali e si lanciò giù dall’albero.

Un momento più tardi il mago, in piedi sopra di lui, gridava: — Digli che se soltanto mi sfiora, do via libera alla spada. Lo farò! Così diglielo! — La punta della spada nera minacciava la gola di K!sdra. Lo strano era che il mago lottava con lei, mentre quella pareva canticchiare tra sé e sé.

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