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Quando emersero all’aperto, Anna fece un respiro. Ah! Aria fresca! C’era vento e il cielo era punteggiato di piccole nuvole. Attorno a lei, le colline erano di un giallo acceso. Sotto di lei, un laghetto azzurro al centro di una piccola valle. Ai margini dell’acqua crescevano degli alberi, tutti (per quello che riusciva a vedere) della stessa varietà: arancione cupo con tronchi corti e robusti e rami tozzi. E senza foglie.

L’alieno le si fermò accanto e fece un gesto. A destra c’era uno spazio livellato. Vi si trovavano due aerei: hwarhath, di quelli con le ali a pale di ventilatori per il decollo e l’atterraggio verticale.

— Dove siamo? — domandò Anna.

— Ho ancora dei problemi con le distanze umane — rispose l’alieno. — Anche se ho finalmente imparato come misurate il tempo. Siamo a due ore a sudovest della stazione umana di ricerca. Sanders Nicholas è già sull’aereo. Per favore, prosegua, signora.

Lei camminò sulla vegetazione di similmuschio giallo… era fitta, morbida ed elastica, e l’aria profumava del suo leggero aroma secco… poi salì per una scala di gradini metallici, entrando infine in una cabina che assomigliava a quella di un aereo umano. C’era un corridoio al centro, tra due file di sedili. Ma quanti modi c’erano per trasportare tanti umanoidi?

I sedili erano più larghi di quelli di qualsiasi aereo umano: ampi e bassissimi, con larghi braccioli e molto spazio per le gambe. Strano, tenuto conto che gli alieni erano… come gruppo… più piccoli degli umani. Non c’erano finestrini. Curioso. Quella gente non voleva sapere dove andava?

L’alieno le indicò la parte anteriore dell’aereo. Anna proseguì in quella direzione. A metà del corridoio si imbatté in Nicholas. Era seduto vicino alla parete della cabina, accasciato, con la testa reclinata da un lato. Era avvolto in una coperta. Il viso era bianco come un lenzuolo e gli occhi erano chiusi. Al suo fianco sedeva un hwarhath.

— Nick. — Anna si fermò.

L’alieno accanto a lui sollevò brevemente lo sguardo, poi l’abbassò di nuovo.

— Nicholas.

Lui alzò la testa e aprì gli occhi. Anna ebbe l’impressione che non riuscisse a vederla. Dopo un momento, Nick parlò in una lingua incomprensibile. La voce era stanca.

L’alieno che accompagnava Anna spiegò: — Non credo che l’abbia riconosciuta, signora. Parla nella nostra lingua.

— Che cos’ha detto?

— Che non sa nulla. Credo che dovremmo proseguire.

Anna si sedette qualche sedile più avanti. Il suo alieno… come si chiamava? Vai qualcosa?… prese posto al suo fianco e le spiegò come allacciarsi la cintura.

Un paio di minuti dopo, i motori si accesero. L’aereo decollò. Anna tirò fuori il computer che si era portata dalla cella, lo accese e finì di leggere il capitolo sulla bianchezza della balena.

L’alieno sedeva tranquillamente, le mani intrecciate, senza fare assolutamente nulla.

Due ore dopo, secondo l’orologio del computer, l’aereo cominciò a scendere. Anna spense Moby Dick. Il velivolo rallentò. Il rumore dei motori cambiò mentre si fermavano a mezz’aria e poi atterravano. Un atterraggio dolcissimo; Anna lo avvertì appena. Quella gente sembrava essere brava in tutto quello che faceva. Un lato non umano.

I motori tacquero. Anna si slacciò la cintura.

— La prego di restare dove si trova, signora. Sanders Nicholas verrà portato fuori per primo. Posso chiederle che cosa stava leggendo?

— La storia di un uomo che si era lasciato ossessionare dal pensiero di dare la caccia e uccidere un grosso animale marino.

— Ci è riuscito?

— L’animale lo ha ucciso.

Lei sentì la portiera che si apriva e una corrente d’aria umida e che sapeva d’oceano che entrava. Alle sue spalle, ci fu del movimento. Qualcuno parlò nella lingua degli alieni.

— È una storia famosa — aggiunse Anna.

— È una buona storia? — domandò il hwarhath.

— Credo di sì. In realtà non so cosa intendiate voi per buona.

— Storie su uomini o donne. Ma non storie su uomini e donne. Abbiamo scoperto che è difficile studiare la vostra cultura. Sembrate ossessionati dalle attività che sono contrarie al volere della Divinità.

Per una qualche ragione, la sua voce cauta le ricordò quella della guardia di Nicholas, il giovane alieno che si chiamava Hattin.

— Uno dei vostri faceva da guardia a Nicholas. Che fine ha fatto? Sta bene?

— Abbiamo trovato il suo corpo. Le sue ceneri verranno mandate a casa. È importante. A noi piace… alla fine… tornare a casa.

L’alieno si girò a guardare verso il fondo dell’aereo. — Possiamo scendere, ora, signora.

Lei lo seguì fuori, sotto una pioggerella fredda, velata di nebbia. Non appena si guardò attorno, disse: — Questa non è la stazione.

— La vostra stazione? No.

Le costruzioni erano squadrate, grigie e anonime. Non c’erano finestre né particolari architettonici, solo muri piatti. Dovevano esserci delle porte ma lei non le vedeva.

— Perché mi trovo qui?

— Il primo difensore vuole parlarle.

— Perché?

— Io non sono una persona importante, signora. Il primo difensore non mi dice cosa ha in mente.

Anna si fermò ancora un momento a guardare le costruzioni grigie e squadrate, poi scrollò le spalle. — Mi dica dove andare.

— Da quella parte. — L’alieno indicò la direzione.

Quando furono vicini alla costruzione, Anna scorse una porta, a filo di muro e difficilmente visibile. Entrarono in un corridoio con le pareti di metallo grigio. Il pavimento era ricoperto da moquette: una tonalità di grigio leggermente più scura. Ragazzi, agli alieni piaceva quel colore. L’aria aveva uno strano odore. Di cosa? Di un qualche animale sconosciuto. Due alieni armati di fucili erano fermi ai lati della porta. Uno parlò al compagno di Anna. L’altro rispose. Il primo che aveva parlato mosse leggermente la testa. Aveva annuito?

— Signora? — fece l’alieno di Anna.

Proseguirono per il corridoio. C’era grande attività. Alieni che passavano, muovendosi velocemente e con una grazia atletica che sembrava caratteristica della specie. Non c’erano persone goffe tra i hwarhath? Nessuno la guardava direttamente, ma lei aveva la sensazione d’essere osservata, e di traverso, anche. Metà degli alieni erano armati, tutti di fucili, ma Anna vide anche quelle che dovevano essere delle pistole infilate nelle fondine.

Raggiunsero un altro posto di guardia. Il suo compagno parlò a un altro alieno armato. Questo era grande e ben piazzato, con una peluria grigio chiaro che tendeva all’azzurro. I suoi occhi… li sollevò solo per un istante… erano dello stesso colore della peluria. Alla fine annuì e Anna e il suo alieno proseguirono.

La guardia era un fenomeno oppure esistevano hwar di colori diversi? Apparivano perlopiù in tutte le sfumature del grigio medio ma il suo compagno era quasi nero e lei aveva visto un altro individuo con una peluria di due tonalità: scura in punta e argentea sotto.

Un terzo posto di guardia. Un’altra conversazione e un altro cenno con la testa. Di nuovo andarono avanti e arrivarono alla fine del corridoio. C’era una porta con sopra un simbolo: una fiamma all’interno di uno strano anello di spine.

La guida toccò la porta e l’aprì. — Entri, signora. È attesa.

Anna entrò. La porta si chiuse alle sue spalle. Davanti a lei c’era un tavolo dietro al quale sedeva un alieno, grosso e dall’aspetto solido; Anna ebbe l’impressione che fosse più piccolo della media della sua gente. La peluria era ispida, d’un grigio quasi metallico. Sollevò la testa. Gli occhi erano azzurri e la guardavano direttamente.

— Perez Anna. — La voce era profonda e morbida. — È difficile per me guardare qualcuno negli occhi a meno che, naturalmente, non sia un parente o un amico. Ma Nicky mi dice che tra la vostra gente uno sguardo diretto indica onestà e spirito onorevole. Perciò, proverò. Si accomodi, la prego. — Mosse la testa per indicarle una sedia libera di fronte alla scrivania.

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