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— Su, non chiamarli «trog» — disse Rocannon, coscienziosamente (nella sua qualità di etnologo specializzato in forme di vita a intelligenza elevata, era tenuto a scoraggiare certi nomignoli). — Non sono belli, ma sono alleati di grado C… Mi domando perché la Commissione abbia scelto proprio loro per farli progredire, prima ancora di entrare in contatto con le altre specie intelligenti. Scommetto che la missione esplorativa veniva dal Centauro: i centauriani danno sempre la preferenza alle specie notturne e cavernicole. Fosse dipeso da me, avrei scelto la specie numero 2, laggiù.

— Sembra che i trogloditi abbiano una profonda soggezione di quella donna.

— Perché, tu no?

Ketho guardò nuovamente la donna alta, poi arrossì e rise.

— Be', in un certo senso, sì. Non ho mai visto un tipo alieno così affascinante, nei diciotto anni che ho passato qui sulla Nuova Georgia del Sud. Anzi, confesso di non avere mai visto una donna così incantevole, su nessun pianeta. Sembra una dea. — Il rossore era dilagato fino alla sommità della sua testa calva: Ketho era timido, poco portato alle esagerazioni. Rocannon gli rivolse un breve cenno d'assenso, con la testa.

— Vorrei parlarle senza trog… senza Gdemiar come interpreti. Ma è impossibile. — Rocannon si diresse verso la visitatrice, e quando lei girò nella sua direzione lo splendido viso, egli si inchinò profondamente, fino ad appoggiare al pavimento un ginocchio, con la testa piegata e gli occhi bassi. Era il suo «Inchino Inter-culturale Tuttofare», ed egli lo eseguiva con una certa eleganza. Quando si raddrizzò, la bellissima donna sorrise e parlò.

— Lei dice: «Salve, Signore delle Stelle» — borbottò in un Galattico approssimativo uno degli Gdemiar che la scortavano.

— Salve, Signora degli Angyar — rispose Rocannon. — In che cosa possiamo servire la Signora, noi del museo?

In mezzo ai borbottii dei trogloditi, la voce della donna fu come una breve ventata argentina.

— Lei dice: «Prego ridare collana che tesoro di antenati di suo clan tanto tanto tempo fa.»

— Quale collana? — domandò Rocannon, e la donna, che aveva compreso il senso delle sue parole, indicò il pezzo principale esposto nella vetrina accanto a loro: un oggetto magnifico, una catena d'oro giallo, massiccia, ma lavorata con grande delicatezza, in cui era incastonato un grande zaffiro di un caldo colore azzurro. Rocannon inarcò le sopracciglia per la sorpresa, e Ketho, dietro di lui, mormorò: — Ha buon gusto, la nostra amica. È la Collana di Fomalhaut, un famoso capolavoro.

Lei sorrise ai due uomini, e di nuovo parlò loro direttamente, senza rivolgersi ai trogloditi.

— Lei dice: «Signori delle Stelle, Vecchio e Giovane Abitanti della Casa dei Tesori, questo tesoro è suo. Tanto tanto tempo. Grazie.»

— Come ci è pervenuta la collana, Ketho?

— Aspetta un momento, guardo sul catalogo. Ce l'ho qui. Ecco. Ce l'hanno data questi trog… questi nani… questi quel-che-sono: Gdemiar. Hanno il culto degli scambi, dice qui: hanno voluto, a tutti i costi, pagare l'astronave usata per venire qui, una PA-4. La collana faceva parte del pagamento. È opera loro.

— E scommetto che non sono più in grado di fare lavori analoghi, da quando li abbiamo portati al livello industriale.

— Comunque, sembrano convinti che la collana sia della donna, e non nostra, o loro. Deve trattarsi di qualcosa d'importante, Rocannon, altrimenti non avrebbero sacrificato tanto tempo-oggettivo per accontentarla. Il divario tra qui e Fomalhaut deve essere piuttosto notevole!

— Vari anni, senza dubbio — disse l'etnologo, che era abituato ai viaggi tra le stelle. — Ma, tutto sommato, non molto distante. Comunque, né il Manuale né la Guida mi forniscono dati sufficienti per formulare un'ipotesi attendibile. È chiara una cosa: che queste specie non sono state studiate a sufficienza. Forse i piccoletti si limitano a farle un favore. O quel maledetto zaffiro potrebbe far scoppiare una guerra tra le due specie. Forse i desideri della donna sono legge per loro, perche si considerano totalmente inferiori a lei. Oppure, nonostante le apparenze, lei è loro prigioniera, una sorta di specchio per le allodole. Come saperlo?… Tu potresti cedere la collana, Ketho?

— Oh, certo. Tutti gli «oggetti esotici» sono formalmente in prestito, e non ci appartengono, poiché di tanto in tanto riceviamo qualche richiesta di restituzione. Di solito non abbiamo obiezioni. La pace va mantenuta a tutti i costi, finché non verrà la Guerra…

— Allora, direi di dargliela.

Ketho sorrise. — È un onore — disse. Aprì con la chiave la vetrinetta e prese in mano la pesante catena d'oro; poi, timidamente, la porse a Rocannon, dicendo: — Dagliela tu.

E fu così che la gemma azzurra, all'inizio di tutto, rimase per qualche istante in mano a Rocannon.

Ma egli non pensava al gioiello. Si rivolse alla bellissima donna di un altro pianeta, stringendo nella mano quella manciata di fuoco azzurro e d'oro. Lei non tese la mano per prenderla, ma piegò la testa, e Rocannon gliela fece scivolare sopra i capelli. Il monile le cinse la gola bruna e dorata, come una miccia accesa. La donna alzò lo sguardo con tanto orgoglio, con tanta gioia e gratitudine, che Rocannon rimase senza parole, e il piccolo curatore mormorò nella propria lingua: — Prego, prego… — Lei chinò la testa clorata verso Ketho e verso Rocannon. Poi, voltandosi, rivolse un cenno alle tozze guardie (o erano carcerieri?) e stringendosi nel mantello azzurro e liso, si avviò per la lunga sala e subito scomparve. Ketho e Rocannon la seguirono con lo sguardo.

— Ho l'impressione… — cominciò Rocannon.

— Sì? — fece Ketho, con la voce spessa, dopo una lunga pausa.

— Ho l'impressione, talvolta, che io… incontrando persone di pianeti che conosciamo così male… ho l'impressione di entrare, per così dire, in qualche leggenda, o in qualche tragedia, forse, che non capisco.

— Già — disse il curatore, schiarendosi la gola. — Mi piacerebbe sapere il suo nome.

Semley la Bella, Semley la Dorata, Semley dalla Collana. Il Popolo d'Argilla si era piegato al suo volere, e così si erano piegati gli stessi Signori delle Stelle, nel luogo terribile dove l'avevano condotta gli Uomini d'Argilla, nella città al confine della notte. Si erano inchinati davanti a lei, le avevano dato lietamente il suo tesoro, che già era loro.

Ma non riusciva ancora a liberarsi dalle sensazioni che aveva provato nelle caverne dove la roccia pendeva sulla sua testa, dove non si capiva chi parlasse, o cosa facessero tutti quanti, dove le voci rimbombavano e le grige mani si tendevano… Basta. Aveva pagato, per avere la collana; benissimo. Adesso la collana era sua. Il prezzo era stato corrisposto, il passato era morto.

Il suo destriero del vento era uscito faticosamente da una sorta di cassa, con gli occhi velati e il pelo bordato di ghiaccio, e dapprima, dopo che ebbero lasciato le grotte degli Gdemiar, si rifiutò di volare. Ormai però sembrava che si fosse ripreso del tutto, e volava trasportato da un dolce vento che spirava dal sud, nel ciclo luminoso, in direzione di Hallan. — Presto, presto! — lo incitava, riprendendo a ridere, ora che il vento le aveva spazzato via dalla mente il ricordo dell'oscurità. — Voglio rivedere Durhal presto, presto…

E volarono veloci, giungendo a Hallan la sera del secondo giorno. Ormai le grotte del Popolo d'Argilla sembravano soltanto un brutto sogno, mentre il destriero veleggiava sui mille gradini di Hallan e sul Ponte sull'Abisso, dove la foresta scendeva a precipizio per trecento braccia. Nella luce dorata della sera, nella corte del volo, Semley smontò di sella e salì a piedi gli ultimi gradini, passando in mezzo alle rigide figure scolpite degli eroi del passato. I due guardiani della porta si inchinarono davanti a lei, fissando a occhi aperti la bellissima gemma lucente che portava al collo.

Nella Prima Sala fermò una ragazza che passava: una giovane molto graziosa, che dall'aspetto sembrava una parente di Durhal, anche se Semley non l'aveva mai vista. — Mi riconosci, ragazza? Sono Semley, moglie di Durhal. Puoi andare dalla nobile Durossa, avvertendola del mio ritorno?

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