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Mi sentii invadere da un’ira fredda. — Vickie, non riesco a credere alle mie orecchie. Che razza di vermi senza spina dorsale siete, per permettere che Ellen venga trattata in questo modo? — Inspirai a fondo, cercai di controllare la mia furia. — Non vi capisco. Non capisco nessuno di voi. Ma proverò a dare il buon esempio. Quando torneremo a casa farò due cose. In primo luogo mi metterò al terminale con tutti i presenti e chiamerò Ellen e inviterò lei e il marito a venirci a trovare. Per il prossimo weekend, perché devo riprendere il lavoro e non voglio perdere l’occasione di incontrare il mio nuovo genero.

— Anita avrà un collasso circolatorio.

— Vedremo. Poi convocherò una riunione di famiglia e proporrò che a Ellen venga pagata la sua quota con tutta la fretta possibile, naturalmente senza dover andare in rovina. — Aggiunsi: — Immagino che Anita si infurierà di nuovo.

— Probabilmente. E senza scopo, perché la tua proposta sarà respinta. Marj, perché devi farlo? Le cose vanno già abbastanza male.

— Può darsi. Ma è possibile che qualcuno di voi stia aspettando che qualcun altro prenda l’iniziativa per rovesciare la tirannia di Anita. Se non altro vedrò come andranno le votazioni. Vick, io ho firmato un contratto e ho già pagato più di settantamila dollari ennezeta alla famiglia, e mi è stato detto che il motivo per cui devo comperarmi il diritto al matrimonio è che a ognuno dei nostri figli verrà pagata la sua quota quando se ne andrà di casa. Non ho protestato: ho firmato. Ma in tutto questo è implicito un accordo, qualunque cosa ne dica Anita. Se è impossibile pagare Ellen oggi, insisterò perché i miei versamenti mensili vadano a Ellen finché Anita non troverà i fondi per il saldo definitivo. Questa proposta ti sembra equa?

Lei prese tempo per rispondere. — Marj, non so. Non ho avuto tempo di pensarci.

— Be’, allora trovalo. Perché, diciamo entro mercoledì, dovrai decidere se stare al gioco o ritirarti. Non permetterò che Ellen continui a subire queste ingiustizie. — Sorrisi e aggiunsi: — Ridi! Andiamo all’ufficio postale e cerchiamo di essere allegre per Ellen.

Ma non andammo in posta; in quel viaggio non chiamammo mai Ellen. Continuammo invece a cenare e a discutere. Non so di preciso come sia saltato fuori l’argomento delle persone artificiali. Credo sia stato l’ennesima volta che Vickie cercò di «dimostrare» di essere perfettamente libera da pregiudizi razziali, mentre non faceva altro che esibire lo stesso atteggiamento irrazionale appena apriva bocca. I maori andavano benissimo e ovviamente anche gli indiani d’America, e come no anche gli indiani d’India, e senza dubbio i cinesi avevano prodotto il loro buon numero di geni; questo lo sapevano tutti, ma bisognava pur tracciare una linea di confine da qualche parte…

Eravamo andate a letto e stavo cercando di escludere il suo cicaleccio quando qualcosa mi colpì. Mi misi a sedere.

— Come faresti a saperlo?

— Come farei a sapere cosa?

— Hai detto: «È ovvio che nessuno sposerebbe una creatura sintetica». Come faresti a sapere che una persona è sintetica? Non tutte hanno i numeri di serie.

— Eh? Andiamo, Marjie, non fare la stupida. Non si può scambiare una persona artificiale per un essere umano. Se tu ne avessi mai visto uno…

— Ne ho visto uno. Ne ho visti molti!

— Allora lo sai.

— So cosa?

— Che basta guardare uno di quei mostri per capire cos’è.

— In che modo? Quali sono le stimmate che differenziano una persona artificiale da un’altra? Citamene una!

— Marjorie, stai facendo un sacco di problemi solo per il gusto di irritarmi! Non è da te, tesoro. Stai trasformando la nostra vacanza in qualcosa di sgradevole.

— Non io, Vick. Tu. Dici cose stupide, idiote e antipatiche senza il minimo argomento per sostenerle. — (E questa mia risposta dimostra che una persona super non è un superuomo, perché è esattamente il tipo di frase troppo vera e troppo crudele per usarla in una discussione familiare.)

— Oh! Sei orribile! È completamente falso!

Ciò che feci allora non può essere attribuito a un senso di solidarietà per le altre persone artificiali, perché le Pa non sentono la solidarietà di gruppo. Non esistono le basi. Ho sentito dire che i francesi sono pronti a morire per la belle France; ma potete immaginarvi qualcuno che combatte e muore per la Homunculi Unlimited, filiale Jersey sud? Immagino di averlo fatto esclusivamente per me, come tante delle decisioni più critiche della mia vita. Non sono mai riuscita ad analizzare il perché di quel gesto. Boss dice che io elaboro tutti i miei pensieri più importanti a livello inconscio. Forse ha ragione.

Scesi dal letto, mi tolsi la camicia da notte, mi misi davanti a lei. — Guardami — ordinai. — Sono una persona artificiale? O no? In un caso o nell’altro, da cosa lo capisci?

— Marjie, piantala di dare spettacolo! Lo sanno tutti che in famiglia hai il corpo più bello. Non hai bisogno di dimostrarlo.

— Rispondimi! Dimmi cosa sono e dimmi come lo sai. Usa i test che preferisci. Prendi campioni per analisi di laboratorio. Ma dimmi cosa sono e quali segni lo indicano.

— Sei una ragazza cattiva, ecco cosa sei.

— Forse. Probabile. Ma di che tipo? Naturale? O artificiale?

— Gesù! Naturale, è ovvio.

— Sbagliato. Sono artificiale.

— Oh, piantala di fare la cretina! Rimettiti la camicia da notte e torna a letto.

Invece continuai a incalzarla. Le raccontai quale laboratorio mi aveva progettata, la data in cui mi avevano tolta dall’utero sintetico (il giorno della mia «nascita», anche se noi Pa veniamo lasciate in «cottura» un po’ più a lungo per accelerare la maturazione); la costrinsi ad ascoltare la descrizione della vita nell’asilo di un laboratorio di produzione. (Mi correggo: la vita nell’asilo dove sono cresciuta io; altri asili di laboratorio potrebbero essere diversi.)

Le diedi un riassunto della mia vita dopo aver lasciato il laboratorio; quasi tutte bugie, perché non potevo compromettere i segreti di Boss. Ripetei semplicemente ciò che avevo detto tanto tempo prima alla famiglia, che ero una specie di commessa viaggiatrice confidenziale. Non c’era bisogno di accennare a Boss perché Anita aveva deciso, anni addietro, che io lavoravo per una multinazionale, che ero una diplomatica che viaggia sempre in incognito; un errore comprensibile che ero stata lieta di incoraggiare badando bene a non negare.

Vickie disse: — Marjie, preferirei che non lo facessi. Una sfilza di bugie come questa potrebbe mettere in pericolo la tua anima.

— Io non ho anima. È questo che ti sto dicendo.

— Oh, smettila! Tu sei nata a Seattle. Tuo padre era un ingegnere elettronico, tua madre una pediatra. Li hai persi nel terremoto. Ci hai raccontato tutto di loro. Ci hai fatto vedere le foto.

— Mia madre era una provetta; mio padre un bisturi. Vickie, potrebbero esistere un milione o più di persone artificiali i cui certificati di nascita sono andati distrutti nella distruzione di Seattle. Impossibile contarli. Nessuno mette mai in un unico mazzo le loro bugie. Dopo quello che è successo questo mese, cominceranno a esserci un’infinità di persone come me nate ad Acapulco. Dobbiamo trovare appigli del genere per non essere perseguitati da gente ignorante e piena di pregiudizi.

— Il che significa che io sono ignorante e piena di pregiudizi!

— Significa che sei una dolce ragazza che è stata drogata di menzogne dai suoi genitori. Sto cercando di correggere l’errore. Ma se trovi che queste scarpe ti vanno comode, continua a portarle.

Chiusi il becco. Vickie non mi diede il bacio della buonanotte. Il sonno fu lento ad arrivare, per tutt’e due.

Il giorno dopo, facemmo finta che la discussione non ci fosse mai stata. Vickie non parlò di Ellen; io non parlai di persone artificiali. Ma quella che era iniziata come un’allegra spedizione si guastò. Finimmo le compere e ripartimmo verso casa con lo shuttle della sera. Non feci ciò che avevo minacciato; non chiamai Ellen appena arrivata a casa. Non mi ero scordata di Ellen; speravo semplicemente che aspettare un po’ avrebbe migliorato la situazione. Un gesto vigliacco, immagino.

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