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La domanda non aveva risposta, naturalmente; anche solo un tentativo di risposta avrebbe soltanto peggiorato le cose. Ma certe volte Mirissa aveva cercato, per sua soddisfazione, di stabilire che cosa avesse attratto Loren e lei fin dal primo momento in cui s’erano visti.

Per la maggior parte si trattava della misteriosa chimica dell’amore, inafferrabile all’analisi razionale, inesplicabile per chiunque non condividesse la stessa illusione. C’erano però altre cose che invece si potevano chiarire e spiegare razionalmente. Era utile capire quali fossero questi elementi; un giorno (troppo presto!) questa conoscenza l’avrebbe aiutata ad affrontare il momento della separazione.

In primo luogo vi era l’alone di tragica grandezza che circondava tutti i Terrestri; Mirissa non lo sottovalutava, ma si rendeva anche conto che questa era una qualità comune a tutti i compagni di viaggio di Loren.

Cos’aveva Loren di tanto speciale che a Brant mancava?

Per quanto riguardava l’amore fisico, sarebbe stato imbarazzante scegliere tra i due; forse Loren aveva più immaginazione, e Brant più passione — però, a pensarci bene, non s’era fatto più freddo Brant nelle ultime settimane? Sotto questo punto di vista, entrambi la soddisfacevano appieno. No, non era questo…

Forse Mirissa stava cercando qualcosa di inesistente. Non si poteva parlare di singoli elementi, ma di un’intera costellazione di qualità.

Qualcosa dentro di lei, qualche istinto bene al disotto del pensiero conscio, aveva fatto i conti; e Loren era risultato con qualche punto in più rispetto a Brant. Forse era avvenuto semplicemente questo.

Comunque, c’era almeno un campo in cui Loren superava decisamente Brant. Loren aveva spinta e ambizione: le doti che su Thalassa erano così rare. Senza dubbio era stato scelto proprio per queste qualità di cui avrebbe avuto bisogno nei secoli che l’attendevano.

Brant invece non aveva ambizioni, sebbene non mancasse di spirito d’iniziativa; bastava pensare al suo progetto ancora incompleto, delle nasse elettriche. All’universo non chiedeva altro se non che gli fornisse delle macchine interessanti con cui giocare; e certe volte Mirissa aveva il sospetto che in qualche modo egli facesse rientrare anche lei in quella categoria.

Loren, al contrario, aveva la personalità del grande esploratore o del grande avventuriero. Era uno di quelli che fanno la Storia, non di coloro che si limitano a subirla. Eppure sapeva anche — non spesso, è vero, ma ora sempre meno di rado — essere tenero e umano. Mentre congelava i mari di Thalassa, il suo cuore aveva cominciato a riscaldarsi.

«E cosa hai intenzione di fare sull’Isola Settentrionale?» bisbigliò Mirissa. Già avevano entrambi accettato la decisione di Brant senza discutere.

«Mi hanno chiesto di dare una mano ad armare la Calypso. Laggiù non sono molto esperti di cose di mare.»

Mirissa ne fu sollevata; Brant non l’abbandonava, la lasciava solo per andare a fare un certo lavoro.

Il lavoro l’avrebbe aiutato a dimenticare — finché, forse, non sarebbe giunto il momento di ricordare.

27. Specchio del passato

Moses Kaldor alzò il modulo di memoria verso la luce guardandolo come se potesse vederne il contenuto a occhio nudo.

«Continua a sembrarmi un miracolo» disse. «Com’è possibile che riesca a tenere un milione di libri tra indice e pollice? Chissà cosa direbbero Caxton e Gutenberg.»

«Chi?» chiese Mirissa.

«Sono quelli che hanno cominciato a far leggere tutta quanta la razza umana. Ma c’è un prezzo da pagare per la nostra ingegnosità. Certe volte faccio un brutto sogno: m’immagino che uno di questi moduli contenga un’informazione assolutamente vitale — diciamo la cura per una terribile epidemia — ma che per qualche motivo non si sappia più dov’è. La cura esiste, è su una pagina tra questi miliardi di pagine, ma non sappiamo su quale. Come sarebbe spaventoso avere la risposta in mano, tra due dita, e non poterla trovare!»

«Non vedo il problema» disse la segretaria del capitano. Essendo un’esperta nel campo dell’immagazzinamento e del recupero dati, Joan LeRoy si occupava del trasferimento delle informazioni dall’astronave agli Archivi di Thalassa. «Almeno le parole chiave dell’informazione necessaria devono essere note. Non bisogna far altro che impostare un programma di ricerca. Si possono controllare un miliardo di pagine in pochi secondi.»

«Mi hai rovinato il mio incubo» disse Kaldor con un sospiro. Poi si illuminò. «Però molte volte non si conoscono nemmeno le parole chiave.

Quante volte mi è capitato di scoprire una cosa che non sapevo mi servisse! Solo dopo averla trovata mi sono reso conto che poteva essermi utile.»

«Questo significa che sei molto male organizzato» fece il tenente LeRoy.

I due apprezzavano molto questi battibecchi, e Mirissa non sapeva bene quando prenderli sul serio. Joan e Moses non cercavano deliberatamente di escluderla dalla conversazione, ma ciò di cui solitamente parlavano era così lontano dalla sua esperienza che certe volte aveva l’impressione di sentir parlare in una lingua sconosciuta.

«Comunque, ora l’Indice Generale è completato. Adesso sappiamo cosa abbiamo noi e cosa avete voi; resta solo — solo! — da decidere cosa vogliamo trasferire e cosa no. Sarebbe troppo scomodo, per non dire costoso, farlo quando saremo lontani settantacinque anni luce.»

«Il che mi fa venire in mente una cosa» intervenne Mirissa. «Forse faccio male a dirvelo, ma la settimana scorsa è venuta qui una delegazione dell’Isola Settentrionale. Erano il presidente dell’Accademia delle Scienze e due fisici.»

«Fammi indovinare. Il motore quantico.»

«Esatto.»

«Come hanno reagito?»

«Mi sono sembrati soddisfatti… e sorpresi, anche. Non si aspettavano di trovare che i dati c’erano davvero. Ne hanno fatto una copia, naturalmente.»

«Buona fortuna a loro; ne avranno bisogno. Puoi anche dir loro questo.

Non so più chi ha affermato che la reale funzione del motore quantico non è una cosa banale come il viaggio interstellare. Avremo bisogno dell’energia del motore quantico per impedire all’universo di collassare fino a riformare il buco nero primordiale… iniziando così un nuovo ciclo di esistenza.»

Cadde un riverente silenzio. Quindi Joan LeRoy ruppe l’incantesimo.

«Ciò non avverrà certo nel corso di questa amministrazione. Torniamo al lavoro. Abbiamo ancora parecchi megabyte da fare prima di andare a dormire.»

Ma non c’era il lavoro soltanto. Certe volte Kaldor si allontanava dalla biblioteca del Primo Atterraggio per svagarsi un po’. Faceva allora un giro per la galleria d’arte, oppure una visita guidata — dal computer — della Nave Madre (cambiando ogni volta itinerario per vedere quante più cose possibili), o andava a ritroso nel tempo visitando il museo.

C’era sempre una lunga fila davanti al padiglione della Terra. Moses Kaldor si sentiva a volte un po’ colpevole perché ricorreva alla sua posizione di privilegio per passare davanti a tutti. Si consolava dicendosi che i Thalassani avevano tutta la vita per ammirare i panorami di un mondo che non avevano mai conosciuto; lui invece disponeva di qualche mese soltanto in cui poter rivedere la patria perduta.

Incontrò molte difficoltà a convincere gli amici che lui, Moses Kaldor, non aveva mai visto i luoghi di cui talvolta ammiravano insieme le riproduzioni. Tutto ciò che si vedeva risaliva ad almeno ottocento anni prima della nascita di Kaldor, perché la Nave Madre aveva lasciato la Terra nel 2751, e Kaldor era nato nel 3541. Eppure certe volte sentiva un tuffo al cuore, e i ricordi l’assalivano con forza quasi insopportabile.

Tra le scene che maggiormente lo turbavano vi era quella intitolata «Caffè all’aperto». Ci si sedeva a un tavolino, sotto una pergola, bevendo vino o caffè mentre la vita della città scorreva proprio lì accanto. Fin quando restava seduto non c’era assolutamente modo di riconoscere la finzione dalla realtà.

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