– Asino!
– Polendina!
– Somaro!
– Polendina!
A sentirsi chiamar Polendina, Geppetto si è avventato sul falegname.
A battaglia finita, mastr’Antonio si è trovato due graffi di più sul naso, e quell’altro due bottoni di meno al giubbetto. Hanno pareggiato in questo modo i loro conti, si sono stretti la mano e hanno giurato di rimanere buoni amici per tutta la vita.
Intanto Geppetto ha preso con sé il suo bravo pezzo di legno, ha ringraziato mastr’Antonio, è ritornato zoppicando a casa.
3
Geppetto, tornato a casa, ha cominciato subito a fabbricarsi il burattino e gli ha messo il nome di Pinocchio. Prime monellerie del burattino
La casa di Geppetto era una stanzina terrena. La mobilia non poteva essere più semplice: una seggiola cattiva, un letto poco buono e un tavolino tutto rovinato. Nella parete di fondo si vedeva un caminetto col fuoco acceso; ma il fuoco era dipinto, e accanto al fuoco c’era dipinta una pentola che bolliva allegramente e mandava fuori una nuvola di fumo.
Appena entrato in casa, Geppetto ha preso subito gli arnesi e si è posto a fabbricare il suo burattino.
– Che nome gli metterò? – ha detto fra sé e sé[13]. – Lo voglio chiamare Pinocchio. Questo nome gli porterà fortuna.
Quando ha trovato il nome al suo burattino, allora ha cominciato a lavorare, e ha fatto subito i capelli, poi la fronte, poi gli occhi.
Figuratevi la sua meraviglia quando si è accorto che gli occhi si movevano e che lo guardavano.
Geppetto ha detto con accento risentito:
– Occhiacci di legno, perché mi guardate?
Nessuno ha risposto.
Allora, dopo gli occhi, ha fatto il naso; ma il naso, appena fatto, è cominciato a crescere: e cresci, cresci, cresci, è diventato in pochi minuti un nasone.
Il povero Geppetto si affaticava a ritagliarlo; ma più lo ritagliava e lo scorciava, e più quel naso diventava lungo.
Dopo il naso ha fatto la bocca.
La bocca non era ancora finita di fare, che ha cominciato subito a ridere.
– Smetti di ridere! – ha detto Geppetto impermalito; ma era come dire al muro.
– Smetti di ridere, ti ripeto! – ha urlato con voce minacciosa.
Allora la bocca ha smesso di ridere, ma ha cacciato fuori[14] tutta la lingua.
Geppetto, per non guastare i fatti suoi, ha finto di non avvedersene, e ha continuato a lavorare.
Dopo la bocca, ha fatto il mento, poi il collo, poi le spalle, lo stomaco, le braccia e le mani.
Appena finite le mani, Geppetto ha sentito portarsi via la parrucca dal capo. Si è voltato in su e che cosa ha visto? Ha visto la sua parrucca gialla in mano del burattino.
– Pinocchio!.. rendimi subito la mia parrucca!
E Pinocchio, invece di rendergli la parrucca, l’ha messa in capo per sé.
A quel garbo insolente e derisorio, Geppetto ha detto a Pinocchio:
– Non sei ancora finito di fare, e già cominci a mancare di rispetto a tuo padre! Male, ragazzo mio, male!
E si è rasciugato una lacrima.
Quando Geppetto ha finito di fare i piedi, ha sentito arrivarsi un calcio sulla punta del naso.
– Me lo merito! – ha detto allora fra sé. – Dovevo pensarci prima! Oramai è tardi!
Poi ha preso il burattino sotto le braccia e l’ha posato in terra, per farlo camminare.
Pinocchio aveva le gambe aggranchite e non sapeva muoversi, e Geppetto lo conduceva per la mano per insegnargli a mettere un passo dietro l’altro.
Quando le gambe erano sgranchite, Pinocchio ha cominciato a camminare da e a correre per la stanza; finché è saltato nella strada e è scappato.
E il povero Geppetto a corrergli dietro senza poterlo raggiungere, perché quel birichino di Pinocchio andava a salti.
– Piglialo! piglialo! – urlava Geppetto; ma la gente che era per la via, vedendo questo burattino di legno, si fermava incantata a guardarlo, e rideva, rideva e rideva.
Alla fine è capitato un carabiniere il quale, si è piantato coraggiosamente a gambe larghe in mezzo alla strada, coll’animo risoluto[15] di fermarlo e d’impedire il caso di maggiori disgrazie.
Ma Pinocchio, quando si è avveduto da lontano del carabiniere, che barricava tutta la strada, si è ingegnato di passargli, per sorpresa, framezzo alle gambe, e invece era fiasco.
Il carabiniere l’ha acciuffato per il naso e l’ha riconsegnato nelle proprie mani di Geppetto; il quale voleva dargli subito una buona tiratina d’orecchi. Ma figuratevi come è rimasto quando non è riuscito di poterli trovare: e sapete perché? Perché si è dimenticato di farglieli.
Allora l’ha preso per la collottola[16], e gli ha detto:
– Andiamo subito a casa. Quando saremo a casa, non dubitare che faremo i nostri conti[17]!
Pinocchio si è buttato per terra, e non voleva più camminare. Intanto i curiosi e i bighelloni principiavano a fermarsi lì dintorno e a far capannello[18].
Chi ne diceva una, chi un’altra[19].
– Povero burattino! – dicevano alcuni, – ha ragione a non voler tornare a casa! Chi lo sa come lo piccherebbe quell’omaccio di Geppetto!..
E gli altri soggiungevano:
– Quel Geppetto pare un galantuomo! ma è un vero tiranno con i ragazzi!
Insomma, il carabiniere ha rimesso in libertà Pinocchio, e ha condotto in prigione Geppetto. Il quale, non avendo parole lì per lì[20] per difendersi, piangeva come un vitellino, e balbettava:
– Sciagurato figliolo! E pensare che ho penato tanto a farlo un burattino per bene! Ma mi sta il dovere! Dovevo pensarci prima!..
Quello che è accaduto dopo, è una storia così strana da non potersi quasi credere, e la racconterò in questi altri capitoli.
4
La storia di Pinocchio con il Grillo-parlante, dove si vede come i ragazzi cattivi hanno a noia di sentirsi correggere da chi ne sa più di loro
Vi dirò dunque, ragazzi, che mentre il povero Geppetto era condotto senza sua colpa in prigione, quel monello di Pinocchio attraversava i campi, per far più presto a tornarsi a casa; e nella gran furia del correre saltava greppi altissimi, siepi di pruni e fossi pieni d’acqua.
E’ giunto dinanzi a casa, ha trovato l’uscio di strada socchiuso. L’ha spinto, è entrato dentro, si è gettato a sedere per terra, lasciando andare un gran sospirone di contentezza.
Ma quella contentezza è durato poco, perché ha sentito nella stanza qualcuno che faceva:
– Crì-crì-crì!
– Chi è che mi chiama? – ha detto Pinocchio tutto impaurito.
– Sono io!
Pinocchio si è volto, e ha visto un grosso grillo che saliva lentamente per il muro.
– Dimmi, Grillo, e tu chi sei?
– Io sono il Grillo-parlante, e abito in questa stanza da più di cento anni.
– Oggi però questa stanza è mia, – ha detto il burattino – e se vuoi farmi un vero piacere, vai via subito.
– Io non me ne anderò di qui, – ha risposto il Grillo – se prima non ti dirò una gran verità.
– Dimmela e spicciati.
– Guai a quei ragazzi che si ribellano ai loro genitori, e che abbandonano capricciosamente la casa paterna. Non avranno mai bene in questo mondo; e prima o poi dovranno pentirsene amaramente.
– Canta pure, Grillo mio, come ti pare e piace: ma io so che domani, all’alba, voglio andarmene di qui, perché se rimango qui, avverrà a me quel che avviene a tutti gli altri ragazzi, vale a dire[21] mi manderanno a scuola, e per amore o per forza mi toccherà a studiare; e io non ho voglia di studiare.