— Io mi rido della tua storia — gridò il compratore imbestialito. - Io so che ho speso venti soldi per comprarti, e rivoglio i miei quattrini. Sai che cosa farò? Ti porterò daccapo al mercato, e ti rivenderò a peso di legno stagionato per accendere il fuoco nel caminetto.
— Rivendetemi pure: io sono contento — disse Pinocchio.
Ma nel dir così, fece un bel salto e schizzò in mezzo all'acqua. E nuotando allegramente e allontanandosi dalla spiaggia, gridava al povero compratore:
— Addio, padrone; se avete bisogno di una pelle per fare un tamburo, ricordatevi di me. -
E poi rideva e seguitava a nuotare: e dopo un poco, rivoltandosi indietro, urlava più forte:
— Addio, padrone; se avete bisogno di un po' di legno stagionato per accendere il caminetto, ricordatevi di me. -
Fatto sta che in un batter d'occhio si era tanto allontanato, che non si vedeva quasi più; ossia, si vedeva solamente sulla superficie del mare un puntolino nero, che di tanto in tanto rizzava le gambe fuori dell'acqua e faceva capriòle e salti, come un delfino in vena di buon umore.
Intanto che Pinocchio nuotava alla ventura, vide in mezzo al mare uno scoglio che pareva di marmo bianco, e su in cima allo scoglio, una bella caprettina che belava amorosamente e gli faceva segno di avvicinarsi.
La cosa più singolare era questa: che la lana della caprettina, invece di esser bianca, o nera, o pallata di più colori, come quella delle altre capre, era invece tutta turchina, ma d'un turchino così sfolgorante, che rammentava moltissimo i capelli della bella Bambina.
Lascio pensare a voi se il cuore del povero Pinocchio cominciò a battere più forte! Raddoppiando di forza e di energia si diè a nuotare verso lo scoglio bianco: ed era già a mezza strada, quand'ecco uscir fuori dell'acqua e venirgli incontro un'orribile testa di mostro marino, con la bocca spalancata come una voragine, e tre filari di zanne, che avrebbero fatto paura anche a vederle dipinte.
E sapete chi era quel mostro marino?
Quel mostro marino era né più né meno quel gigantesco Pesce-cane ricordato più volte in questa storia, e che per le sue stragi e per la sua insaziabile voracità, veniva soprannominato «l'Attila dei pesci e dei pescatori».
Immaginatevi lo spavento del povero Pinocchio, alla vista del mostro. Cercò di scansarlo, di cambiare strada: cercò di fuggire: ma quella immensa bocca spalancata gli veniva sempre incontro con la velocità di una saetta.
— Affrettati, Pinocchio, per carità! - gridava belando la bella caprettina.
E Pinocchio nuotava disperatamente con le braccia, col petto, con le gambe e coi piedi.
— Corri, Pinocchio, perché il mostro si avvicina!… -
E Pinocchio, raccogliendo tutte le sue forze, raddoppiava di lena nella corsa.
— Bada, Pinocchio!… il mostro ti raggiunge!… Eccolo!… Eccolo!… Affrettati per carità, o sei perduto!… -
E Pinocchio a nuotare più lesto che mai, e via, e via, e via, come anderebbe una palla di fucile. E già si accostava allo scoglio, e già la caprettina, spenzolandosi tutta sul mare, gli porgeva le sue zampine davanti per aiutarlo a uscir fuori dell'acqua… Ma!…
Ma oramai era tardi! Il mostro lo aveva raggiunto. Il mostro, tirando il fiato a sé, si bevve il povero burattino, come avrebbe bevuto un uovo di gallina, e lo inghiottì con tanta violenza e con tanta avidità, che Pinocchio, cascando giù in corpo al Pesce-cane, batté un colpo così screanzato da restarne sbalordito per un quarto d'ora.
Quando ritornò in sé da quello sbigottimento, non sapeva raccapezzarsi, nemmeno lui, in che mondo si fosse. Intorno a sé c'era da ogni parte un gran buio: ma un buio così nero e profondo, che gli pareva di essere entrato col capo in un calamaio pieno d'inchiostro.
Stette in ascolto e non sentì nessun rumore: solamente di tanto in tanto sentiva battersi nel viso alcune grandi buffate di vento. Da principio non sapeva intendere da dove quel vento uscisse: ma poi capì che usciva dai polmoni del mostro. Perché bisogna sapere che il Pesce-cane soffriva moltissimo d'asma, e quando respirava, pareva proprio che soffiasse la tramontana.
Pinocchio, sulle prime, s'ingegnò di farsi un po' di coraggio: ma quand'ebbe la prova e la riprova di trovarsi chiuso in corpo al mostro marino, allora cominciò a piangere e a strillare; e piangendo diceva:
— Aiuto! aiuto! Oh povero me! Non c'è nessuno che venga a salvarmi?
— Chi vuoi che ti salvi, disgraziato?… — disse in quel buio una vociaccia fessa di chitarra scordata.
— Chi è che parla così? - domandò Pinocchio, sentendosi gelare dallo spavento.
— Sono io! sono un povero Tonno, inghiottito dal Pesce-cane insieme con te. E tu che pesce sei?
— Io non ho che veder nulla coi pesci. Io sono un burattino.
— E allora, se non sei un pesce, perché ti sei fatto inghiottire dal mostro?
— Non son io, che mi son fatto inghiottire: gli è lui che mi ha inghiottito! Ed ora che cosa dobbiamo fare qui al buio?…
— Rassegnarsi e aspettare che il Pesce-cane ci abbia digeriti tutti e due!…
— Ma io non voglio esser digerito! — urlò Pinocchio, ricominciando a piangere.
— Neppure io vorrei esser digerito — soggiunse il Tonno — ma io sono abbastanza filosofo e mi consolo pensando che, quando si nasce Tonni, c'è più dignità a morir sott'acqua che sott'olio!…
— Scioccherie! — gridò Pinocchio.
— La mia è un'opinione — replicò il Tonno — e le opinioni, come dicono i Tonni politici, vanno rispettate!
— Insomma… io voglio andarmene di qui… io voglio fuggire…
— Fuggi, se ti riesce!…
- È molto grosso questo Pesce-cane che ci ha inghiottiti? — domandò il burattino.
— Figurati che il suo corpo è più lungo di un chilometro senza contare la coda. -
Nel tempo che facevano questa conversazione al buio, parve a Pinocchio di veder lontan lontano una specie di chiarore.
— Che cosa sarà mai quel lumicino lontano lontano? — disse Pinocchio.
— Sarà qualche nostro compagno di sventura, che aspetterà come noi il momento di esser digerito!…
— Voglio andare a trovarlo. Non potrebbe darsi il caso che fosse qualche vecchio pesce capace d'insegnarmi la strada per fuggire?
— Io te l'auguro di cuore, caro burattino.
— Addio, Tonno.
— Addio, burattino: e buona fortuna.
— Dove ci rivedremo?…
— Chi lo sa?… E meglio non pensarci neppure! -
Capitolo XXXV
Pinocchio ritrova in corpo al Pesce-cane… chi ritrova? Leggete questo capitolo e lo saprete.
Pinocchio, appena che ebbe detto addio al suo buon amico Tonno, si mosse brancolando in mezzo a quel bujo, e camminando a tastoni dentro il corpo del Pesce-cane, si avviò un passo dietro l'altro verso quel piccolo chiarore che vedeva baluginare lontano lontano.
E nel camminare sentì che i suoi piedi sguazzavano in una pozzanghera d'acqua grassa e sdrucciolona, e quell'acqua sapeva di un odore così acuto di pesce fritto, che gli pareva d'essere a mezza quaresima.
E più andava avanti, e più il chiarore si faceva rilucente e distinto: finché, cammina cammina, alla fine arrivò: e quando fu arrivato… che cosa trovò? Ve lo do a indovinare in mille: trovò una piccola tavola apparecchiata, con sopra una candela accesa infilata in una bottiglia di cristallo verde, e seduto a tavola un vecchiettino tutto bianco, come se fosse di neve o di panna montata, il quale se ne stava lì biascicando alcuni pesciolini vivi, ma tanto vivi, che alle volte mentre li mangiava, gli scappavano perfino di bocca.
A quella vista il povero Pinocchio ebbe un'allegrezza così grande e così inaspettata, che ci mancò un ette non cadesse in delirio. Voleva ridere, voleva piangere, voleva dire un monte di cose; e invece mugolava confusamente e balbettava delle parole tronche e sconclusionate. Finalmente gli riuscì di cacciar fuori un grido di gioja, e spalancando le braccia e gettandosi al collo del vecchietto, cominciò a urlare: