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In men di mezz'ora passarono altre venti persone: e a tutte Pinocchio chiese un po' d'elemosina, ma tutte gli risposero:

— Non ti vergogni? Invece di fare il bighellone per la strada, va' piuttosto a cercarti un po' di lavoro, e impara a guadagnarti il pane! -

Finalmente passò una buona donnina che portava due brocche d'acqua.

— Vi contentate, buona donna, che io beva una sorsata d'acqua alla vostra brocca? — disse Pinocchio, che bruciava dall'arsione della sete.

— Bevi pure, ragazzo mio! — disse la donnina, posando le due brocche in terra.

Quando Pinocchio ebbe bevuto come una spugna, borbottò a mezza voce, asciugandosi la bocca:

— La sete me la son levata! Così mi potessi levar la fame!… -

La buona donnina, sentendo queste parole, soggiunse subito:

— Se mi aiuti a portare a casa una di queste brocche d'acqua, ti darò un bel pezzo di pane. -

Pinocchio guardò la brocca e non rispose né sì né no.

— E insieme col pane ti darò un bel piatto di cavolfiore condito coll'olio e coll'aceto — soggiunse la buona donna.

Pinocchio dètte un'altra occhiata alla brocca, e non rispose né sì né no.

— E dopo il cavolfiore ti darò un bel confetto ripieno di rosolio. -

Alle seduzioni di quest'ultima ghiottoneria, Pinocchio non seppe più resistere, e fatto un animo risoluto, disse:

— Pazienza! vi porterò la brocca fino a casa! -

La brocca era molto pesa, e il burattino, non avendo forza da portarla colle mani, si rassegnò a portarla in capo.

Arrivati a casa, la buona donnina fece sedere Pinocchio a una piccola tavola apparecchiata, e gli pose davanti il pane, il cavolfiore condito e il confetto.

Pinocchio non mangiò, ma diluviò. Il suo stomaco pareva un quartiere rimasto vuoto e disabitato da cinque mesi.

Calmati a poco a poco i morsi rabbiosi della fame, allora alzò il capo per ringraziare la sua benefattrice: ma non aveva ancora finito di fissarla in volto, che cacciò un lunghissimo ohhh! di maraviglia, e rimase là incantato, cogli occhi spalancati, colla forchetta per aria e colla bocca piena di pane e di cavolfiore.

— Che cos'è mai tutta questa meraviglia? — disse ridendo la buona donna.

— Egli è… - rispose balbettando Pinocchio — egli è… egli è…, che voi mi somigliate… voi mi rammentate… sì, sì, sì, la stessa voce… gli stessi occhi… gli stessi capelli… sì, sì, sì… anche voi avete i capelli turchini… come lei!… O Fatina mia!… o Fatina mia!… ditemi che siete voi, proprio voi!… Non mi fate più piangere! Se sapeste! Ho pianto tanto, ho patito tanto!… -

E nel dir così, Pinocchio piangeva dirottamente, e gettatosi ginocchioni per terra, abbracciava i ginocchi di quella donnina misteriosa.

Capitolo XXV

Pinocchio promette alla Fata di esser buono e di studiare, perché è stufo di fare il burattino e vuol diventare un bravo ragazzo.

In sulle prime, la buona donnina cominciò col dire che lei non era la piccola Fata dai capelli turchini: ma poi, vedendosi oramai scoperta e non volendo mandare più in lungo la commedia, finì per farsi riconoscere, e disse a Pinocchio:

— Birba d'un burattino! Come mai ti sei accorto che ero io?

— Gli è il gran bene che vi voglio, quello che me l'ha detto.

— Ti ricordi, eh? Mi lasciasti bambina, e ora mi ritrovi donna; tanto donna, che potrei quasi farti da mamma.

— E io l'ho caro dimolto, perché così, invece di sorellina, vi chiamerò la mia mamma. Gli è tanto tempo che mi struggo di avere una mamma come tutti gli altri ragazzi!… Ma come avete fatto a crescere così presto?

- È un segreto.

— Insegnatemelo: vorrei crescere un poco anch'io. Non lo vedete? Sono sempre rimasto alto come un soldo di cacio.

— Ma tu non puoi crescere — replicò la Fata.

— Perché?

— Perché i burattini non crescono mai. Nascono burattini, vivono burattini e muoiono burattini.

— Oh! sono stufo di far sempre il burattino! — gridò Pinocchio, dandosi uno scappellotto. - Sarebbe ora che diventassi anch'io un uomo…

— E lo diventerai, se saprai meritarlo…

— Davvero? E che posso fare per meritarmelo?

— Una cosa facilissima: avvezzarti a essere un ragazzino perbene.

— O che forse non sono?

— Tutt'altro! I ragazzi perbene sono ubbidienti, e tu invece…

— E io non ubbidisco mai.

— I ragazzi perbene prendono amore allo studio e al lavoro, e tu…

— E io, invece, faccio il bighellone e il vagabondo tutto l'anno.

— I ragazzi perbene dicono sempre la verità…

— E io sempre le bugie.

— I ragazzi perbene vanno volentieri alla scuola…

— E a me la scuola mi fa venire i dolori di corpo. Ma da oggi in poi voglio mutar vita.

— Me lo prometti?

— Lo prometto. Voglio diventare un ragazzino perbene, e voglio essere la consolazione del mio babbo…Dove sarà il mio povero babbo a quest'ora?

— Non lo so.

— Avrò mai la fortuna di poterlo rivedere e abbracciare?

— Credo di sì: anzi ne sono sicura. -

A questa risposta fu tale e tanta la contentezza di Pinocchio, che prese le mani alla Fata e cominciò a baciargliele con tanta foga, che pareva quasi fuori di sé. Poi, alzando il viso e guardandola amorosamente, le domandò:

— Dimmi, mammina: dunque non è vero che tu sia morta?

— Par di no — rispose sorridendo la Fata.

— Se tu sapessi che dolore e che serratura alla gola che provai, quando lessi qui giace

— Lo so: ed è per questo che ti ho perdonato. La sincerità del tuo dolore mi fece conoscere che tu avevi il cuore buono: e dai ragazzi buoni di cuore, anche se sono un po' monelli e avvezzati male, c'è sempre da sperar qualcosa: ossia, c'è sempre da sperare che rientrino sulla vera strada. Ecco perché son venuta a cercarti fin qui. Io sarò la tua mamma…

— Oh! che bella cosa! — gridò Pinocchio saltando dall'allegrezza.

— Tu mi ubbidirai e farai sempre quello che ti dirò io.

— Volentieri, volentieri, volentieri!

— Fino da domani — soggiunse la Fata — tu comincerai coll'andare a scuola. -

Pinocchio diventò subito un po' meno allegro.

— Poi sceglierai a tuo piacere un'arte o un mestiere… -

Pinocchio diventò serio.

— Che cosa brontoli fra i denti? — domandò la Fata con accento risentito.

— Dicevo… — mugolò il burattino a mezza voce — che oramai per andare a scuola mi pare un po' tardi…

— Nossignore. Tieni a mente che per istruirsi e per imparare non è mai tardi.

— Ma io non voglio fare né arti né mestieri…

— Perché?

— Perché a lavorare mi par fatica.

— Ragazzo mio, — disse la Fata — quelli che dicono così, finiscono quasi sempre o in carcere o allo spedale. L'uomo, per tua regola, nasca ricco o povero, è obbligato in questo mondo a far qualcosa, a occuparsi, a lavorare. Guai a lasciarsi prendere dall'ozio! L'ozio è una bruttissima malattia e bisogna guarirla subito, fin da bambini: se no, quando siamo grandi, non si guarisce più. -

Queste parole toccarono l'animo di Pinocchio, il quale rialzando vivacemente la testa, disse alla Fata:

— Io studierò, io lavorerò, io farò tutto quello che mi dirai, perché, insomma, la vita del burattino mi è venuta a noia, e voglio diventare un ragazzo a tutti i costi. Me l'hai promesso, non è vero?

— Te l'ho promesso, e ora dipende da te. -

Capitolo XXVI

Pinocchio va co' suoi compagni di scuola in riva al mare, per vedere il terribile Pesce-cane.

Il giorno dopo Pinocchio andò alla Scuola comunale.

Figuratevi quelle birbe di ragazzi, quando videro entrare nella loro scuola un burattino! Fu una risata, che non finiva più. Chi gli faceva uno scherzo, chi un altro: chi gli levava il berretto di mano: chi gli tirava il giubbettino di dietro; chi si provava a fargli coll'inchiostro due grandi baffi sotto il naso, e chi si attentava perfino a legargli dei fili ai piedi e alle mani, per farlo ballare.

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