Brian De Palma per il film sul boss cubano, era già stato il titolo di un film di Howard Hawks nel 1932. Al Capone si faceva vedere sul set, arrivava con la sua scorta ogni volta che c'era qualche scena d'azione e qualche esterna a cui poteva assistere. Il boss voleva controllare che Tony Camonte, il personaggio di Scarface a lui ispirato, non venisse banalizzato. E voleva somigliare il più possibile a Tony Camonte, certo che dopo l'uscita del film, sarebbe diventato lui l'emblema di Capone, e non più Capone il suo modello.
Il cinema è un modello da cui decrittare modi d'espressione. A Napoli, Cosimo Di Lauro è esemplare. Guardando la sua tenuta, a tutti doveva venire in mente The Crow di Brandon Lee. I camorristi debbono formarsi un'immagine criminale che spesso non hanno, e che trovano nel cinema. Articolando la propria figura su una maschera hollywoodiana riconoscibile, percorrono una sorta di scorciatoia per farsi riconoscere come personaggi da temere. L'ispirazione cinematografica arriva a condizionare anche le scelte tecniche come l'impugnatura della pistola e il modo di sparare. Una volta un veterano della Scientifica di Napoli mi raccontò come i killer di camorra imitassero quelli dei film:
Ormai dopo Tarantino questi hanno smesso di saper sparare come Cristo comanda! Non sparano più con la canna dritta. La tengono sempre sbilenca, messa di piatto. Sparano con la pistola storta, come nei film, e questa abitudine crea disastri. Sparano al basso ventre, all'inguine, alle gambe, feriscono gravemente senza uccidere. Così sono sempre costretti a finire la vittima sparando alla nuca. Un lago di sangue gratuito, una barbarie del tutto superflua ai fini dell'esecuzione.
Le guardaspalle delle donne boss sono vestite come Urna Thurman in Kill Bill: caschetto biondo e tute giallo fosforescente. Una donna dei Quartieri Spagnoli, Vincenza Di Domenico, per un breve periodo collaboratrice di giustizia, aveva un soprannome eloquente, Nikita, come l'eroina killer del film di Lue Besson. Il cinema, soprattutto quello americano, non è visto come il territorio lontano dove l'aberrazione accade, non come il luogo dove l'impossibile si realizza, ma anzi come la vicinanza più prossima.
Me ne uscii dalla villa piano, liberando i piedi dal ginepraio di rovi ed erbaccia che si era impadronito del Giardino Inglese tanto voluto dal boss. Lasciai il cancello aperto. Soltanto qualche anno prima avvicinarsi a questo luogo avrebbe significato essere identificato da decine di sentinelle. Invece ero uscito, camminando con le mani in tasca e la testa appesa al mento, come quando si esce dal cinema ancora frastornati da quel che
Siè ViStO.
A Napoli non è complicato comprendere quanto il film II camorrista di Giuseppe Tornatore sia in assoluto il film che più di ogni altro ha marchiato l'immaginario. Basta ascoltare le battute delle persone, sempre le stesse da anni.
"Dicitancello 'o professore che nun l'aggio tradito."
"Io so bene chi è lui, ma so pure chi sono io!"
"'O Malacarne è nu guappo 'e cartone!"
"Chi ti manda?"
"Mi manda chi a vita va po' ddà e va po' pure llevà!"
La musica del film è diventata una sorta di colonna sonora della camorra, fischiettata quando passa un capozona, o spesso solo per far inquietare qualche negoziante. Ma il film è arrivato persino nelle discoteche dove si ballano ben tre versioni mixate delle più celebri frasi del boss Raffaele Cuto-lo, pronunciate nel film da Ben Gazzarra.
In maniera mnemonica ripetevano mimando tra loro i dialoghi de II camorrista anche due ragazzini di Casal di Principe, Giuseppe M. e Romeo P. Facevano vere e proprie scenette tratte dal film:
"Quanto pesa un picciotto? Quanto una piuma al vento." Non avevano ancora la patente quando iniziarono a assediare le comitive di coetanei di Casale e San Cipriano d'Aver-sa. Non ce l'avevano perché nessuno dei due aveva diciotto anni. Erano due bulli. Spacconi, buffoni, mangiavano lasciando come mancia il doppio del conto. Camicia aperta sul petto con pochi peli, una camminata declamata ad alta voce, come se ogni passo dovesse essere rivendicato. Mento alto, un'ostentazione di sicurezza e potere, reali solo nella mente dei due. Giravano sempre in coppia. Giuseppe faceva il boss, sempre un passo avanti rispetto al compare. Romeo faceva il suo guardiaspalle, la parte del braccio destro, l'uomo fedele. Spesso Giuseppe lo chiamava Donnie, come Donnie Brasco. Anche se era un poliziotto infiltrato, il fatto che diventi un mafioso vero, nell'anima, lo salva, agli occhi degli ammiratori da questo peccato originale. Ad Aversa facevano tremare i neopatentati. Preferivano le coppiette, tamponavano l'auto con il motorino, e quando scendevano per raccogliere i dati per l'assicurazione, uno dei due si avvicinava alla ragazza, le sputava in faccia e aspettavano che il fidanzato reagisse per poterlo pestare a sangue. I due sfidavano però anche gli adulti, anche quelli che contavano davvero. Andavano nelle loro zone d'influenza e facevano ciò che volevano. Provenivano da Casal di Principe e nell'immaginario questo bastava. Volevano far capire che erano davvero persone temibili e da rispettare, chiunque si avvicinava loro doveva fissare i propri piedi e non trovare neanche il coraggio di guardarli in faccia. Un giorno però alzarono troppo il tiro della loro spacconeria. Scesero in strada con una mitraglietta, racimolata chissà in quale armeria dei clan, e si presentarono dinanzi a un gruppetto di ragazzi. Dovevano essersi addestrati bene perché spararono contro il gruppetto curandosi di non colpire nessuno, ma solo di far sentire il puzzo della polvere da sparo e il sibilare dei proiettili. Prima di sparare però uno dei due aveva recitato qualcosa. Nessuno aveva capito cosa blaterava, ma un testimone aveva detto che gli sembrava la Bibbia, e aveva ipotizzato che i ragazzini stessero preparandosi alla cresima. Ma smozzicando un po' di frasi era evidente che non era un brano da cresima. Era la Bibbia, in effetti, appresa non dal catechismo, ma da Quentin Tarantino. Era il brano pronunciato da Jules Winnfield in Pulp Fiction prima di ammazzare il ragazzotto che aveva fatto sparire la preziosissima valigetta di Marcellus Wallace:
Ezechiele 25,17. Il cammino dell'uomo timorato è minaccia to da ogni parte dall'iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi. Benedetto sia colui che nel nome della carità e della buona volontà conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre perché egli è in verità il pastore di suo fratello e il ricercatore dei figli smarriti e la mia giustizia calerà sopra di loro con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno su coloro che si proveranno ad ammorbare e distruggere i miei fratelli e tu saprai che il mio nome è quello del Signore quando farò calare la mia vendetta sopra di te.
Giuseppe e Romeo la ripetevano come nel film, e poi sparavano. Giuseppe aveva un padre camorrista, prima pentito, poi nuovamente rientrato nell'organizzazione di Quadrano-De Falco sconfitta dagli Schiavone. Un perdente quindi. Ma aveva pensato che recitando la parte giusta, il film della sua vita forse poteva cambiare. I due conoscevano a memoria le battute, le parti salienti di ogni film criminale. La maggior parte delle volte picchiavano per uno sguardo. Nelleterre di camorra lo sguardo è parte di territorio, è come un'invasione nelle proprie stanze, come sfondare la porta di casa di qualcuno ed entrare con violenza. Uno sguardo è persino qualcosa in più di un insulto. Attardarsi a fissare il viso di qualcuno è già in qualche modo un'aperta sfida:
"Ehi, ce l'hai con me? No, dico, ce l'hai con me?"
E dopo il famoso monologo di Taxi Driver partivano gli schiaffi e i pugni sullo sterno, quelli che rimbombano nella cassa toracica e si sentono anche a parecchia distanza.
I boss Casalesi presero seriamente in considerazione il problema di questi due ragazzini. Risse, alterchi, minacce, non erano facilmente tollerati: troppe madri nervose, troppe denunce. Così li fanno "avvertire" da qualche capozona che gli fa una sorta di richiamo all'ordine. Li raggiunge al bar e dice che stanno facendo perdere la pazienza ai capi. Ma Giuseppe e Romeo continuano il loro film immaginario, picchiano chi vogliono, pisciano nei serbatoi delle moto dei ragazzi del paese. Una seconda volta li "mandano a chiamare". I boss vogliono parlare direttamente con loro, il clan non può sopportare più questi atteggiamenti in paese, la tolleranza paternalistica, solita in questi territori, si muta in dovere di punizione, e così un "mazziatone" devono averlo, una violenta sculacciata pubblica per farli rigare dritto. Loro snobbano l'invito, continuano a stare al bar stravaccati, attaccati ai videopoker, i pomeriggi incollati davanti alla televisione a vedere i dvd dei loro film, ore passate a imparare a memoria frasi e posture, modi di dire e scarpe da indossare. I due credono di potere tener testa a chiunque. Anche a chi conta. Anzi sentono che proprio tenendo testa a chi conta davvero potranno divenire realmente temuti. Senza porsi limite alcuno, come Tony e Manny in Scarface. Non mediano con nessuno, continuano le loro scorribande, le loro intimidazioni, lentamente sembrano diventare i viceré del casertano. I due ragazzini non avevano scelto di entrare nel clan. Non ci tentavano neanche. Era un percorso troppo lento e disciplinato, una gavetta silenziosa che non volevano fare. Da anni poi i Casalesi inserivano quelli che valevano veramente nei settori economici dell'organizzazione, e non certo nella struttura militare. Giuseppe e Romeo erano in completa antitesi con la figura del nuovo soldato di camorra. Si sentivano capaci di cavalcare l'onda della peggior fama dei loro paesi. Non erano affiliati, ma volevano godere dei privilegi dei camorristi. Pretendevano che i bar li servissero gratuitamente, la benzina per i loro motorini era un dazio dovuto, le loro madri dovevano avere la spesa pagata, e quando qualcuno osava ribellarsi arrivavano subito sfasciando vetri, tirando schiaffi a fruttivendoli e commesse. Nella primavera del 2004 così alcuni emissari del clan gli danno appuntamento alla periferia di Castelvolturno, zona Parco Mare. Un territorio di sabbia, mare e spazzatura, tutto mischiato. Forse una proposta allettante, qualche affare o addirittura la partecipazione a un agguato. Il primo vero agguato della loro vita. Se non erano riusciti a coinvolgerli con le cattive, i boss tentarono di incontrarli con qualche buona proposta. Me li immaginavo sui motorini tirati al massimo, ripassarsi i passaggi salienti dei film, i momenti in cui quelli che contano devono piegarsi all'ostinazione dei nuovi eroi. Come i giovani spartani andavano in guerra con in mente le gesta di Achille ed Ettore, in queste terre si va ad ammazzare e farsi ammazzare con in mente Scarface, Quei bravi ragazzi, Donnie Brusco, Il Padrino. Ogni volta che mi capita di passare per Parco Mare, immagino la scena che hanno raccontato i giornali, che hanno ricostruito i poliziotti. Giuseppe e Romeo arrivarono con i motorini, molto in anticipo rispetto all'orario stabilito. Infuocati dall'ansia. Erano lì ad attendere l'auto. Scese un gruppo di persone. I due ragazzini gli andarono incontro per salutarli, ma immediatamente, bloccarono Romeo e iniziarono a pestare Giuseppe. Poi poggiando la canna di un'automatica al petto, fecero fuoco. Sono certo che Romeo avrà visto dinanzi a sé la scena di Quei bravi ragazzi quando Tommy De Vito viene invitato a sedere nella dirigenza di Cosa Nostra in America, e invece di accoglierlo in una sala con tutti i boss lo portano in una stanza vuota e gli sparano alla testa. Non è vero che il cinema è menzogna, non è vero che non si può vivere come nei film e non è vero che ti accorgi mettendo la testa fuori dallo schermo che le cose sono diverse. C'è un momento solo che è diverso, il momento in cui Al Pacino si alzerà dalla fontana in cui i colpi di mitra hanno fatto cascare la sua controfigura, e si asciugherà il viso pulendosi dal colore del sangue, Joe Pesci si laverà i capelli e farà cessare la finta emorragia. Ma questo non ti interessa saperlo, e quindi non lo comprendi. Quando Romeo vide Giuseppe per terra, sono sicuro di una certezza che non potrà mai avere alcun tipò di conferma, che comprese l'esatta differenza tra cinema e realtà, tra costruzione scenografica e il puzzo dell'aria, tra la propria vita e una sceneggiatura. Venne il suo turno. Gli spararono alla gola e lo finirono con un colpo alla testa. Sommando la loro età raggiungevano a stento trent'anni. Il clan dei Casalesi così aveva risolto quest'escrescenza microcriminale alimentata dal cinema. Non chiamarono neanche anonimamente la polizia o un'ambulanza. Lasciarono che le mani dei cadaveri dei ragazzini fossero beccate dai gabbiani e le labbra e i nasi mangiucchiati dai randagi che circolavano sulle spiagge di spazzatura. Ma questo i film non lo raccontano, si fermano un attimo prima.