Donne
Avevo addosso come l'odore di qualcosa di indefinibile. Come la puzza che impregna il cappotto quando si entra in friggitoria e poi uscendo lentamente si attenua, mischiandosi ai veleni dei tubi di scappamento. Puoi farti decine di docce, mettere la carne a mollo in vasca per ore con i sali e i balsami più odorosi: non te la togli più di dosso. E non perché è entrata nella carne come il sudore degli stupratori, ma l'odore che ti senti addosso comprendi che l'avevi già dentro; come sprigionato da una ghiandola che non era mai stata stimolata, una ghiandola sopita che d'improvviso si mette a secernere, attivata ancor prima che dalla paura da una sensazione di verità. Come se esistesse nel corpo qualcosa in grado di segnalarti quando stai fissando il vero. Con tutti i sensi. Senza mediazioni. Una verità non raccontata, riportata, fotografata, ma è lì che ti si dà. Capire come funzionano le cose, come va il percorso del presente. Non c'è pensiero che possa attestare verità a ciò che hai visto. Dopo aver fissato una guerra di camorra nelle pupille, le immagini troppo numerose gonfiano la memoria, e non ti vengono in mente singolarmente ma tutte insieme, sovrapponendosi e confondendosi. Non puoi fare affidamento sugli occhi. Non ci sono rovine di palazzi, dopo una guerra di camorra, e la segatura secca presto il sangue. Come se fossi stato soltanto tu a vedere o subire, come se qualcuno fosse pronto a indicarti col dito e dire "non è vero".
L'aberrazione di una guerra di clan, capitali che si fronteggiano, investimenti che si scannano, ipotesi finanziarie che si divorano, trova sempre una motivazione consolatrice, un senso che possa sospingere altrove il pericolo, capace di far sentire lontano, lontanissimo un conflitto che sta invece avvenendo nell'androne di casa. Puoi collocare tutto in un casellario di senso che lentamente ti costruisci, ma gli odori, quelli non possono essere irreggimentati, ci sono. Lì. Come traccia estrema e unica di un patrimonio d'esperienza disperso. Nel naso mi erano rimasti odori; non solo l'odore di segatura e sangue, né i dopobarba dei ragazzini soldati messi su guance senza peli, ma soprattutto i sapori dei profumi femminili. Mi rimaneva sotto le narici l'odore pesante dei deodoranti, delle lacche, dei profumi dolci.
Le donne sono sempre presenti nelle dinamiche di potere dei clan. Non è casualità che la faida di Secondigliano ha visto eliminare due donne con ferocia riservata solitamente solo ai boss. Così come centinaia di donne erano scese in strada a impedire gli arresti di spacciatori e sentinelle, a incendiare cassonetti e strattonare per i gomiti i carabinieri. Le ragazzine le vedevo correre ogni volta che una telecamera spuntava per strada, si catapultavano davanti agli obiettivi, sorridevano, accennavano un motivetto, chiedevano di essere intervistate, gironzolavano intorno al cameraman per vedere quale logo ci fosse sulla telecamera, per capire quale televisione le stesse riprendendo. Non si sa mai. Qualcuno avrebbe potuto osservarle e chiamarle in qualche trasmissione. Le occasioni qui non capitano ma si strappano coi denti, si comprano, si cercano scavando. Le occasioni devono uscire per forza. E così anche con i ragazzi, nulla è lasciato alla casualità dell'incontro, al fato dell'innamoramento. Ogni conquista è una strategia. E le ragazze che non fanno strategie rischiano una leggerezza pericolosa e di trovarsi mani dappertutto e lingue così insistenti da trapanare i denti serrati. D jeans attillato, la maglietta aderente: tutto deve rendere la bellezza un'esca. La bellezza in certi luoghi sembra una trappola, anche se la più piacevole delle trappole. E così se cedi, se insegui il piacere di un momento, non sai a cosa vai incontro. La ragazza sarà tanto più brava se riuscirà a farsi corteggiare dal migliore e una volta caduto nella trappola, conservarlo, trattenerlo, sopportarlo, ingoiarlo a naso tappato. Ma tenerlo per sé. Tutto. Una volta passavo vicino a una scuola. Da una moto scese una ragazzina. Scese lentamente per dare il tempo a tutti di osservare bene la moto, il casco, i guanti da motociclista e i suoi stivali a punta che a stento riusciva a mettere per terra. Un bidello, uno di quelli eterni che tengono sotto gli occhi generazioni di ragazzini, le si avvicinò e disse: "France', ma già fai ammore? E poi con Angelo, ma tu lo sai che finisce a Poggioreale?".
"Fa ammore" non significa fare l'amore, ma fidanzarsi. Questo Angelo era da poco entrato nel Sistema e non sembrava ricoprire cariche poco importanti. Presto secondo il bidello sarebbe finito nel carcere di Poggioreale. Prima ancora che la ragazzina tentasse di difendere il suo ragazzo, aveva pronta una risposta. Una risposta di quelle che sembrano trovarsi in tasca: "E qual è il problema perché non mi dà lo stesso la mesata? Quello mi vuole bene veramente…".
La mesata. Questo il primo successo della ragazza. Qualora fosse finito in galera il suo ragazzo, avrebbe conquistato un salario. La mesata è il salario mensile che i clan danno alle famiglie degli affiliati. Fidanzandosi, la mesata viene girata alla fidanzata anche se conviene, per essere certi della reversibilità, essere incinta. Non necessariamente sposata, basta un bambino, anche solo nella pancia. Se sei soltanto fidanzata rischi che si presenti al clan qualche altra ragazza, magari sino ad allora tenuta nascosta, ragazze che non sanno l'una dell'altra. In questo caso o è il responsabile di zona del clan che decide se dividere la mesata tra due donne, cosa rischiosa perché genera molta tensione tra famiglie, o si fa decidere all'affiliato a quale ragazza darla. Si decide nella maggior parte delle volte di non dare la mesata a nessuna delle due, girandola direttamente alla famiglia del carcerato e risolvendo così di netto il problema. Matrimonio o puerperio, sono gli elementi che garantiscono con certezza gli stipendi. I soldi vengono portati quasi sempre a mano, evitando così di lasciare troppe tracce sui conti correnti. Vengono portati dai "sottomarini". H sottomarino è la persona che viene incaricata di distribuire le mensilità. Li chiamano così perché strisciano sul fondo delle strade. Non si fanno mai vedere, non devono essere facilmente rintracciabili perché possono essere ricattati, messi sotto pressione, rapinati. Emergono dalla strada d'improvviso, arrivando alle stesse case seguendo percorsi sempre diversi. Il sottomarino cura gli stipendi dei livelli più bassi del clan. I dirigenti invece chiedono la somma di cui hanno bisogno di volta in volta e trattano direttamente con i cassieri. I sottomarini non sono parte del Sistema, non vengono affiliati; potrebbero, gestendo i salari, sfruttare questo ruolo fondamentale e aspirare a crescere nel clan. Sono quasi sempre pensionati, ragionieri di negozio, vecchi contabili di bottega, che lavorando per i clan incassano un altro stipendio arrotondando la pensione e soprattutto riuscendo a uscire di casa senza marcire davanti alla televisione. Bussano il 28 di ogni mese, poggiano le loro buste di plastica sui tavoli e poi dall'interno della giacca, da una tasca gonfissima, cacciano una busta di carta con sopra scritto il cognome dell'affiliato morto o in galera e la danno alla moglie, o se non c'è al figlio più grande. Quasi sempre assieme alla mesata portano anche un po' di spesa. Prosciutto, frutta, pasta, uova, un po' di pane. Salgono le scale strusciando le buste vicino alle pareti. Quello struscio continuo, i piedi pesanti, quello è il campanello del sottomarino. Sono sempre carichi come asini, comprano la spesa nelle stesse salumerie e dai medesimi fruttivendoli, fanno un unico carico che poi portano a tutte le famiglie. Si comprende quante mogli di carcerati o vedove di camorristi vivono in una strada da come il sottomarino è carico.
Don Ciro è stato l'unico sottomarino che sono riuscito a conoscere. È del centro storico, ha curato gli stipendi di clan ormai allo sbando ma che lentamente, in questa nuova fase fertile, stanno cercando di riorganizzarsi e non soltanto di sopravvivere. I clan dei Quartieri Spagnoli e per alcuni anni anche quelli di Forcella. Ora lavorava saltuariamente per il clan del quartiere Sanità. Don Ciro era talmente capace di trovare nel dedalo dei vicoli napoletani case, bassi, seminterrati, palazzi senza numero civico, case ricavate negli angoli dei pianerottoli, che a volte i postini, che si perdevano continuamente, gli affidavano la posta da portare ai suoi clienti. Don Ciro aveva le scarpe sfondate, nel senso che l'alluce gli faceva un bozzo, come un bubbone, in punta e le suole erano consumate sul tallone. Quelle scarpe erano davvero l'emblema del sottomarino e simboli autentici dei chilometri macinati a piedi per vicoli e salite, di percorsi resi più lunghi nelle strade del corpo di Napoli, assaliti dalla paranoia di inseguimento o rapine. Don Ciro indossava pantaloni maltrattati, sembravano puliti ma non stirati. Non aveva più moglie e la sua nuova compagna moldava era troppo giovane per occuparsi davvero di lui. Pauroso sin nel midollo, guardava sempre per terra anche quando mi parlava, aveva i baffi gialli, laccati dalla nicotina così come l'indice e il medio della mano destra. I sottomarini danno la mesata anche agli uomini delle donne finite dentro. È umiliante per loro ricevere la mesata della moglie carcerata, così in genere i sottomarini per evitare finti rimproveri, urla sui pianerottoli, plateali cacciate di casa fatte però senza dimenticare mai di prendere prima la busta coi soldi, per evitare tutto questo, vanno in casa delle madri delle affiliate, e recapitano a loro il mensile da girare alla famiglia della detenuta. I sottomarini ascoltano ogni tipo di lamentela dalle mogli degli affiliati. Lamentele sull'aumento delle bollette, del fitto, sui figli che si fanno bocciare o che vogliono andare all'università. Ascoltano ogni richiesta, ogni inciucio sulle mogli degli altri affiliati che hanno più soldi perché i mariti più furbi sono riusciti a crescere di grado all'interno dei clan. Mentre parlano, il sottomarino ripete continuamente "lo so, lo so, lo so". Come per far sfogare meglio le signore, a fine discorso pronuncia soltanto due tipi di risposte: "Non dipende da me" oppure "Io porto solo i soldi: chi decide non sono io". Le mogli sanno bene che i sottomarini non decidono nulla, ma sperano che riempiendoli di lamentele prima o poi qualcosa dalla bocca del sottomarino uscirà dinanzi a qualche capozona, e forse si decideranno ad aumentare i salari e a concedere maggiori favori. Don Ciro era talmente abituato a dire "lo so lo so", che ogni qual volta