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si parlava con lui, su qualsiasi argomento lui cantilenava "lo so, lo so, lo so". Aveva portato le mesate a centinaia di donne di camorra, avrebbe potuto tracciare memorie precise di generazioni di donne, di mogli e fidanzate e anche di uomini soli. Storiografie dei commenti critici a boss e politici, ma don Ciro era un sottomarino silenzioso e malinconico che davvero aveva fatto della sua testa un corpo vuoto dove rimbombava, senza lasciar traccia, ogni parola ascoltata. Mentre gli parlavo mi aveva trascinato dal centro alla periferia di Napoli, poi mi salutò e prese un bus che l'avrebbe fatto tornare al punto da dove eravamo partiti. Era tutto parte della strategia di depistaggio per evitare che intuissi, anche soltanto lontanamente, dove abitasse.

Per molte donne sposare un camorrista spesso è come ricevere un prestito, come un capitale conquistato. Se destino e capacità lo permetteranno quel capitale frutterà, e le donne diventeranno imprenditrici, dirigenti, generalesse di un potere illimitato. Può andare male e rimarranno solo ore in sala d'attesa nelle carceri e preghiere umilianti per andare a fare la colf in concorrenza con le slave, per poter pagare gli avvocati e dare da mangiare ai figli, se il clan va in rovina e non riesce più a dare la mesata. Le donne di camorra attraverso il loro corpo concedono fondamento ad alleanze, il loro volto e il loro comportamento raccolgono e dimostrano il potere della famiglia, in pubblico si riconoscono i loro veli neri ai funerali, le urla durante gli arresti, i baci lanciati oltre le sbarre durante le udienze ai processi.

L'immagine delle donne di camorra sembra comporsi divisioni scontate, donne capaci di fare da eco solo al dolore e alle volontà dei maschi: fratelli, mariti, figli. Non è così. La trasformazione del mondo camorristico negli ultimi anni ha portato anche a una metamorfosi del ruolo femminile che da identità materna, da assistente di sventura è divenuta vera e propria figura manageriale, impegnata quasi esclusivamente nell'attività imprenditoriale e finanziaria, delegando ad altri le imprese militari e i traffici illegali.

Una figura storica di dirigente camorrista è sicuramente Anna Mazza, vedova del padrino di Afragola, una delle prime donne in Italia a essere condannata per reati d'associazione mafiosa, come capo di un sodalizio criminale e imprenditoriale tra i più potenti. Anna Mazza sfruttò inizialmente l'aura del marito Gennaro Moccia, ucciso negli anni '70. La "vedova nera della camorra", come venne ribattezzata, fu la vera mente del clan Moccia per oltre vent'anni, capace di ramificare ovunque il suo potere al punto tale che inviata negli anni '90 in soggiorno obbligato vicino Treviso riuscì — secondo diverse indagini — a prendere contatti con la mafia del Brenta, cercando di rinsaldare la sua rete di potere persino in totale isolamento. Fu accusata subito dopo la morte del marito di aver armato la mano del figlio non ancora tredicenne per uccidere il mandante dell'omicidio del padre. Ma per insufficienza di prove da quest'accusa è stata assolta. La Mazza aveva una gestione verticistica, imprenditoriale e fortemente ostile a impennate militari, capace di condizionare ogni ambito del territorio da lei egemonizzato, come dimostra lo scioglimento nel 1999, per infiltrazioni camorristiche, del comune di Afragola. I politici la seguivano, cercavano il suo appoggio. Anna Mazza era una pioniera. Prima di lei c'era stata solo Pupetta Maresca, la bella killer vendicatrice che divenne celebre in tutt'Italia a metà anni '50, quando incinta di sei mesi decise di vendicare la morte del marito Pa-scalone 'e Nola.

Anna Mazza non fu soltanto vendicatrice. Comprese che sarebbe stato più semplice sfruttare il ritardo culturale dei boss camorristi godendo di una sorta di impunità che veniva riservata alle donne. Un ritardo culturale che la rendeva immune da agguati, invidie, e conflitti. Negli anni '80 e '90 riuscì a dirigere la famiglia con spiccata propensione al miglioramento delle proprie imprese, alla volontà di trovare vantaggio attraverso una certosina scalata nell'ambito edilizio. H clan Moccia divenne tra i più importanti nella gestione degli appalti edili, nel controllo delle cave e nella mediazione dell'acquisto di terreni edificabili. Tutto il napoletano che si dipana da Frattamaggiore, Crispano, Sant'Antimo e poi Frat-taminore, Caivano, è dominato da capizona legati ai Moccia. Negli anni '90 divennero uno dei pilastri della Nuova Famiglia, il vasto cartello di clan che si oppose alla Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo e che fu capace come giro d'affari e potere politico di superare i cartelli di Cosa Nostra. Con il tracollo dei partiti che avevano ricevuto vantaggio dall'alleanza con le imprese dei clan, i boss della Nuova Famiglia si ritrovarono a essere gli unici arrestati e condannati all'ergastolo. Non volevano pagare al posto dei politici che avevano aiutato e sostenuto. Non volevano essere considerati il cancro di un sistema che invece avevano tenuto in piedi essendone parte viva e produttiva, anche se criminale. Decisero di pentirsi. Negli anni '90 Pasquale Galasso, boss di Poggio-marino, fu il primo personaggio di altissimo calibro imprenditoriale e militare che iniziò a collaborare con la giustizia. Nomi, logiche, capitali, una scelta di pentimento totale, che fu ripagata dallo Stato con la tutela dei beni della sua famiglia, e in parte anche i suoi. Galasso svelò tutto ciò che sapeva. Furono i Moccia la famiglia della grande confederazione che prese su di sé l'incarico di farlo tacere per sempre. Le parole di Galasso avrebbero potuto distruggere il clan della vedova in una manciata di ore e in pochi giri di rivelazioni. Tentarono di corrompere la sua scorta per farlo avvelenare, progettarono di eliminarlo a colpi di bazooka. Ma dopo i falliti tentativi militari organizzati dai maschi di casa per eliminarlo, intervenne Anna Mazza che intuì esser giunto il momento di una nuova strategia. Proporre la dissociazione. Fece trasmigrare il concetto dal terrorismo alla camorra. I militanti delle organizzazioni armate si dissociavano senza pentirsi, senza svelare nomi e accusare mandanti ed esecutori. Dissociarsi era una presa di distanza ideologica, una decisione della coscienza, un tentativo di delegittimare una pratica politica il cui solo rifiuto morale, ufficializzato, bastava a procurare sconti di pena. Per la vedova Mazza sarebbe stato davvero il trucco migliore per eliminare ogni pericolo di pentimento, e al contempo far credere che i clan fossero esterni allo Stato. Allontanarsi ideologicamente dalla camorra, usufruendo dei vantaggi, gli sconti di pena, i miglioramenti delle condizioni carcerarie, ma senza svelare meccanismi, nomi, conti correnti, alleanze. Quella che per alcuni osservatori poteva essere considerata un'ideologia, quella camorrista appunto, per i clan non era altro che l'agire economico e militare di un gruppo in affari. I clan si stavano trasformando: la retorica criminale cessava, la mania cutoliana dell'ideologizzazione dell'agire camorrista era esaurita. La dissociazione poteva essere la soluzione al letale potere dei pentiti, che seppur gonfio di contraddizioni è il vero fulcro dell'attacco al potere della camorra. E la vedova comprese l'alto potenziale di questo trucco. I figli scrissero a un prete facendo mostra di volersi redimere, una macchina piena di armi avrebbe dovuto esser lasciata ad Acerra davanti a una chiesa come simbolo di "dissociazione" del clan, come TIRA fa con gli inglesi. Deposizione delle armi. Ma la camorra non è un'organizzazione indipendentista, un nucleo armato, e le sue armi non sono il suo reale potere. Quella macchina non fu mai fatta trovare e la strategia della dissociazione nata dalla testa di una donna boss, lentamente perse fascino, non venne ascoltata dal parlamento e dalla magistratura, ma neanche più sostenuta dai clan. I pentiti divennero sempre di più e con verità sempre meno utili, e le grandi rivelazioni di Galasso sconfessarono gli apparati militari dei clan, lasciandone però praticamente intatti i piani imprenditoriali e politici. Anna Mazza continuò la sua costruzione di una sorta di matriarcato della camorra. Le donne come vero centro del potere e gli uomini braccia armate, mediatori, dirigenti soltanto dopo le decisioni delle donne. Decisioni importanti, economiche e militari, spettavano alla vedova nera.

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