La gente del quartiere al solo guardarlo si sente bruciare lo stomaco. Inizia la rivolta, rovesciano auto, riempiono bottiglie di benzina e le lanciano. La crisi isterica non serve a evitare l'arresto come potrebbe sembrare, ma a scongiurare vendette. Ad annullare ogni possibilità di sospetto. A segnalare a Cosimo che nessuno lo ha tradito. Che nessuno ha spifferato, che il geroglifico della sua latitanza non è stato decifrato grazie ai suoi vicini di casa. È un enorme rito quasi di scusa, una metafisica cappella di espiazione che le persone del quartiere vogliono costruire con le volanti dei carabinieri bruciate, i cassonetti posti a barricate, il fumo nero dei copertoni. Se Cosimo sospetta, non avranno neanche il tempo di fare le valigie, la mannaia militare si abbatterà su di loro come l'ennesima spietata condanna.
Pochi giorni dopo l'arresto del rampollo del clan, il volto arrogante che fissa le telecamere campeggia sugli screen saver dei telefonini di decine di ragazzini e ragazzine delle scuole di Torre Annunziata, Quarto, Marano. Gesti di mera provocazione, di banale balordaggine adolescenziale. Certo. Ma Cosimo sapeva. Così bisogna agire per essere riconosciuti come capi, per raggiungere il cuore degli individui. Bisogna saper usare anche lo schermo, l'inchiostro dei giornali, bisogna sapere annodare il proprio codino. Cosimo rappresenta chiaramente il nuovo imprenditore di Sistema. L'immagine della nuova borghesia svincolata da ogni freno, mossa dall'assoluta volontà di dominare ogni territorio del mercato, di mettere le mani su tutto. Non rinunciare a nulla. Fare una scelta non significa limitare il proprio campo d'azione, privarsi di ogni altra possibilità. Non per chi considera la vita come uno spazio dove poter conquistare tutto al rischio di perdere ogni cosa. Significa mettere in conto di essere arrestati, di finir male, di morire. Ma non significa rinunciare. Volere tutto e subito, e averlo quanto prima. È questa la forza e l'attrattiva che Cosimo Di Lauro impersona.
Tutti, anche i più premurosi verso la propria incolumità, finiscono nella gabbia della pensione, tutti prima o poi si scoprono cornuti, tutti finiscono con una badante polacca. Perché crepare di depressione cercando un lavoro che fa boccheggiare, perché finire in un part-time a rispondere al telefono? Diventare imprenditore. Ma vero. Capace di commerciare con tutto e di fare affari anche col nulla. Ernst Jùnger direbbe che la grandezza è esposta alla tempesta. Lo stesso ripeterebbero i boss, gli imprenditori di camorra. Essere il centro di ogni azione, il centro del potere. Usare tutto come mezzo e se stessi come fine. Chi dice che è amorale, che non può esserci vita senza etica, che l'economia possiede dei limiti e delle regole da seguire, è soltanto colui che non è riuscito a comandare, che è stato sconfitto dal mercato. L'etica è il limite del perdente, la protezione dello sconfitto, la giustificazione morale per coloro che non sono riusciti a giocarsi tutto e vincere ogni cosa. La legge ha i suoi codici stabiliti, ma non la giustizia che è altro. La giustizia è un principio astratto che coinvolge tutti, passabile a seconda di come lo si interpreta di assolvere o condannare ogni essere umano: colpevoli i ministri, colpevoli i papi, colpevoli i santi e gli eretici, colpevoli i rivoluzionari e i reazionari. Colpevoli tutti di aver tradito, ucciso, sbagliato. Colpevoli d'essere invecchiati e morti. Colpevoli di essere stati superati e sconfitti. Colpevoli tutti dinanzi al tribunale universale della morale storica e assolti da quello della necessità. Giustizia e ingiustizia hanno un significato solo se considerate nel concreto. Di vittoria o sconfitta, di atto fatto o subito. Se qualcuno ti offende, se ti tratta male, sta commettendo un'ingiustizia, se invece ti riserva un trattamento di favore ti fa giustizia. Osservando i poteri del clan bisogna fermarsi a questi calibri. A queste maglie di giudizio. Bastano. Devono bastare. È questa l'unica forma reale di valutazione della giustizia. Il resto è solo religione e confessionale. L'imperativo economico è foggiato da questa logica. Non sono gli affari che i camorristi inseguono, sono gli affari che inseguono i camorristi. La logica dell'imprenditoria criminale, il pensiero dei boss coincide col più spinto neoliberismo. Le regole dettate, le regole imposte, sono quelle degli affari, del profitto, della vittoria su ogni concorrente. H resto vale zero. Il resto non esiste. Poter decidere della vita e della morte di tutti, poter promuovere un prodotto, monopolizzare una fetta di mercato, investire in settori d'avanguardia, è un potere che si paga con il carcere o con la vita. Avere potere per dieci anni, per un anno, per un'ora. Non importa la durata: vivere, comandare per davvero, questo conta. Vincere nell'arena del mercato e arrivare a fissare il sole con gli occhi come faceva in carcere Raffaele Giuliano, boss di Forcella, sfidandolo, mostrando che il suo sguardo non si accecava neanche dinanzi alla luce prima. Raffaele Giuliano che aveva avuto la spietata volontà di cospargere di peperoncino la lama di un coltello prima di accoltellare un parente di un suo nemico, così da fargli sentire bruciori lancinanti mentre la lama entrava nella carne, centimetro per centimetro. In carcere veniva temuto non per questa sua acribia sanguinaria, ma per la sfida dello sguardo capace di mantenersi alto anche fissando il sole. Avere la coscienza di essere dei business man destinati alla fine — morte o ergastolo — ma con volontà spietata dominare economie potenti e illimitate. Il boss viene ammazzato o arrestato, ma il sistema economico che ha generato rimane: non smettendo di mutare, trasformarsi, migliorare e innescare profitto. Questa coscienza da samurai liberisti, i quali sanno che il potere, quello assoluto, per averlo si paga, la trovai sintetizzata in una lettera di un ragazzino rinchiuso in un carcere minorile, una lettera che consegnò a un prete e che fu letta durante un convegno. La ricordo ancora. A memoria:
Tutti quelli che conosco o sono morti o sono in galera. Io voglio diventare un boss. Voglio avere supermercati, negozi, fabbriche, voglio avere donne. Voglio tre macchine, voglio che quando entro in un negozio mi devono rispettare, voglio avere magazzini in tutto il mondo. E poi voglio morire. Ma come muore uno vero, uno che comanda veramente. Voglio morire ammazzato.
Questo è il nuovo tempo scandito dagli imprenditori criminali. Questa è la nuova potenza dell'economia. Dominarla, a costo d'ogni cosa. Il potere prima d'ogni cosa. La vittoria economica più preziosa della vita. Della vita di chiunque e persino della propria.
I ragazzini di Sistema avevano iniziato a chiamarli persino "morti parlanti". In un'intercettazione telefonica presente nel decreto di fermo emesso dalla Procura Antimafia nel febbraio 2006, un ragazzo spiega al telefono chi sono i capizona di Se-condigliano:
"Sono guagliuncelli, morti parlanti, morti viventi, morti che si muovono… Bello e buono prendono e ti uccidono, ma tanto la vita è già persa…"
Capi ragazzini, kamikaze dei clan che non vanno a morire per nessuna religione, ma per danaro e potere, a ogni costo, come unico modo di vivere che valga la pena.
La notte del 21 gennaio, la stessa notte dell'arresto di Cosimo Di Lauro, venne ritrovato il corpo di Giulio Ruggiero. Trovarono un'auto bruciata, un corpo al posto di guida. Un corpo decollato. La testa era sui sedili posteriori. Gliel'aveva-no tagliata. Non con il colpo di netto dell'accetta, ma col flex: la sega circolare dentellata usata dai fabbri per limare le saldature. Lo strumento peggiore in assoluto, ma proprio per questo il più plateale. Prima tagliare la carne e poi scheggiare l'osso del collo. Dovevano aver fatto il servizio proprio lì, visto che per terra c'erano d'intorno scaglie di carne come se fosse trippa. Le indagini non erano neanche state avviate che in zona tutti sembravano essere sicuri che fosse un messaggio. Un simbolo. Cosimo Di Lauro non poteva essere stato arrestato senza una soffiata. Quel corpo mozzato era nell'immaginario di tutti il traditore. Solo chi si è venduto un capo può essere dilaniato in quel modo. La sentenza è decretata prima che le indagini abbiano inizio. Poco importa se dica il vero o rincorra una suggestione. Quella macchina e quella testa abbandonate in via Hugo Pratt le fissai senza scendere dalla Vespa. Mi arrivavano ai timpani i dettagli di come avevano bruciato il corpo e la testa mozzata, di come avevano riempito la bocca di benzina, messo uno stoppino tra i denti cosicché dopo avergli dato fuoco avevano aspettato che l'intera faccia esplodesse. Accesi la Vespa e me ne andai.