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Gli infermieri denunciarono che prima di entrare per andare a soccorrere qualcuno, chiunque, non soltanto feriti d'arma da fuoco, ma anche una vecchietta con una frattura al femore o un infartuato, dovevano scendere, farsi perquisire, far entrare nell'autoambulanza una sentinella che controllava se fosse davvero un trasporto sanitario o invece nascondeva armi, killer o persone da far fuggire. Nelle guerre di camorra la Croce Rossa non è riconosciuta, nessun clan ha firmato il trattato di Ginevra. Anche le macchine civetta dei carabinieri rischiano. Una volta una sventagliata di colpi venne scaricata addosso a un'auto con a bordo un gruppo di carabinieri in borghese scambiati per rivali, colpi che non produssero che ferite. Qualche giorno dopo si presenta in caserma un ragazzino con la sua valigetta di biancheria sapendo benissimo come ci si comporta durante un arresto. Confessa tutto e subito, forse perché la punizione che avrebbe avuto per aver sparato ai carabinieri sarebbe stata ben peggiore del carcere. O molto più probabilmente il clan, per non innescare particolari odi privati tra divise e camorristi, l'avrà incoraggiato a consegnarsi promettendogli il dovuto, e il pagamento delle spese di difesa. Il ragazzino entrato in caserma senza esitazione ha dichiarato: "Credevo fossero gli Spagnoli, e ho sparato".

Anche il 7 dicembre mi svegliò una telefonata in piena notte. Un amico fotografo mi avvertiva del blitz. Non di un blitz. Ma del blitz. Quello che politici locali e nazionali chiedevano come gesto di reazione alla faida.

H rione Terzo Mondo è circondato da mille uomini tra poliziotti e carabinieri. Un rione enorme, il cui soprannome rende chiara l'immagine della sua situazione, così come la scritta su un muro all'imbocco della sua strada principale: "Rione Terzo Mondo, non entrate". È una grossa operazione mediatica. Dopo questo blitz, Scampia, Miano, Piscinola, San Pietro a Paterno, Secondigliano, saranno territori invasi da giornalisti e presidi televisivi. La camorra torna a esistere dopo anni di silenzio. D'improvviso. Ma i calibri d'analisi sono vecchi, vecchissimi, non c'è stata alcuna attenzione costante. Come se si fosse ibernato un cervello vent'anni fa e scongelato ora. Come se ci si trovasse di fronte alla camorra di Raffaele Cutolo e alle logiche mafiose che portarono a far saltare le autostrade e uccidere i magistrati. Oggi tutto è mutato tranne gli occhi degli osservatori, esperti e meno esperti. Tra gli arrestati c'è anche Ciro Di Lauro, uno dei figli del boss. Il commercialista del clan, dice qualcuno. I carabinieri sfondano le porte, perquisiscono le persone, e puntano i fucili in faccia a ragazzini. L'unica scena che riesco a vedere è un carabiniere che urla a un ragazzino che gli punta contro un coltello:

"Butta a terra! Butta a terra! Subito! Subito! Buttalo a terra!"

Il ragazzino lascia cadere. Il carabiniere allontana il coltello con un calcio e questo rimbalzando contro un battiscopa fa rientrare la sua lama nel manico. È di plastica, un coltello delle tartarughe ninja. I militari intanto presidiano, fotografano, si muovono ovunque. Decine di fortini vengono abbattuti. Sventrati muri di cemento armato edificati nei sottoscala dei palazzi per creare depositi di droga, sfondati i cancelli che andavano a chiudere intere porzioni di strade per organizzare i magazzini di droga.

Centinaia di donne scendono per strada, bruciano cassonetti, lanciano oggetti contro le volanti. Stanno arrestando i loro figli, nipoti, vicini di casa. I loro datori di lavoro. Eppure non riuscivo a vedere su quei visi, in quelle parole di rabbia, in quelle cosce fasciate da tute così attillate che sembrano sul punto di esplodere, non riuscivo a vedere solo una solidarietà criminale. Il mercato della droga è fonte di sostentamento, un sostentamento minimo che per la parte maggiore della gente di Secondigliano non ha alcun valore d'arricchimento. Gli imprenditori dei clan sono gli unici ad averne un vantaggio esponenziale. Tutti quelli che lavorano nell'indotto di smercio, deposito, nascondiglio, presidio, non ricevono che stipendi ordinari a fronte di arresti, mesi e anni in carcere. Quei visi avevano maschere di rabbia. Una rabbia che sa di succo gastrico. Una rabbia che è sia difesa del proprio territorio, sia un'accusa contro chi quel luogo l'ha sempre considerato inesistente, perduto, da dimenticare.

Questo gigantesco dispiegamento di forze dell'ordine che arriva all'improvviso solo dopo decine di morti, solo dopo il corpo bruciato e torturato di una ragazza del quartiere, sembra una messa in scena. Le donne di qui sentono puzza di presa in giro. Gli arresti, le ruspe, sembrano qualcosa che non va a modificare lo stato di cose, ma solo un'operazione a favore di chi ora ha necessità di arrestare e buttare giù pareti. Come se d'improvviso qualcuno cambiasse le categorie d'interpretazione e dicesse che la loro vita è sbagliata. Lo sapevano benissimo che lì era tutto sbagliato, non dovevano arrivare elicotteri e blindati a ricordarlo, ma sino ad allora quell'errore era la loro forma prima di vita, la loro forza di sopravvivenza. In più nessuno, dopo quell'irruzione che la complicava e basta, avrebbe davvero cercato di cambiarla in meglio. E allora quelle donne volevano gelosamente custodire l'oblio di quell'isolamento, di quell'errore di vita e cacciare chi d'improvviso s'è accorto del buio.

I giornalisti erano appostati nelle loro macchine. Ma soltanto dopo aver lasciato fare e non aver intralciato gli stivali dei carabinieri iniziarono a riprendere il blitz. Alla fine dell'operazione ammanettarono cinquantatré persone, il più giovane era dell'85. Erano tutti cresciuti nella Napoli del Rinascimento, nel percorso nuovo che avrebbe dovuto mutare il destino degli individui. Mentre entrano nei cellulari della polizia, mentre vengono ammanettati dai carabinieri, tutti sanno cosa fare: chiamare questo o quell'avvocato, aspettare che il 28 del mese a casa arrivi lo stipendio del clan, i pacchi di pasta per mogli o madri. I più preoccupati sono gli uomini che hanno a casa figli adolescenti, non sanno il ruolo che gli verrà assegnato dopo il loro arresto. Ma su questo non possono mettere bocca.

Dopo il blitz la guerra non conosce sosta. Il 18 dicembre Pasquale Galasso, omonimo di uno dei boss più potenti degli anni '90, viene fatto fuori dietro al bancone di un bar. E poi Vincenzo Iorio ucciso il 20 dicembre in pizzeria. Il 24 ammazzano Giuseppe Pezzella, trentaquattro anni. Cerca di rifugiarsi in un bar, ma gli scaricano un caricatore contro. Per Natale la pausa. Le batterie di fuoco si fermano. Ci si riorganizza. Si cerca di dare regola e strategia al più sregolato dei conflitti. Il 27 dicembre Emanuele Leone viene ammazzato con un colpo alla testa. Aveva ventun'anni. Il 30 dicembre ammazzano gli Spagnoli: uccidono Antonio Scafuro, ventisei anni e colpiscono alla gamba suo figlio. Era parente del ca-pozona dei Di Lauro a Casavatore.

La cosa più complessa era comprendere. Comprendere come era stato possibile per i Di Lauro riuscire a condurre un conflitto da vincenti. Colpire e scomparire. Schermarsi tra le persone, sperdersi nei quartieri. Lotto T, le Vele, Parco Postale, le Case Celesti, le Case dei Puffi, il Terzo Mondo divengono come una sorta di giungla, una foresta pluviale di cemento armato dove confondersi, dove sparire più facilmente che altrove, dove è più facile risultare dei fantasmi. I Di Lauro avevano perso tutti i dirigenti e i capizona, ma erano riusciti a innescare una guerra spietata senza perdite gravissime. Era come se uno Stato avesse subito un golpe, e il Presidente destituito — per conservare il proprio potere e tutelare i propri interessi — avesse armato i ragazzini delle scuole e fatto divenire i postini, i funzionari, i capiufficio, le nuove leve militari. Concedendo loro di entrare nel nuovo centro del potere e non relegandoli più al rango di ingranaggi secondari.

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