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Intanto a Scampia si era sparsa la voce che Cosimo Di Lauro avrebbe dato centocinquantamila euro a chiunque fosse riuscito a dare notizie fondamentali per rintracciare Gennaro Marino McKay. Una taglia alta, ma non altissima, per un impero economico come quello del Sistema di Secondigliano. Anche nel decidere la somma della taglia si è avuto l'accorgimento di non volere sovrastimare il nemico. Ma la taglia non porta frutti, arriva prima la polizia. In via Fratelli Cervi, al tredicesimo piano del palazzo, si erano riuniti tutti i dirigenti degli scissionisti rimasti ancora in zona. Come precauzione avevano blindato il pianerottolo. Al termine della rampa di scale una gabbia con tanto di cancelletto chiudeva il pianerottolo. Le porte blindate poi rendevano sicuro il luogo dell'incontro. La polizia circondò l'edificio. Ciò che li aveva blindati contro eventuali attacchi dei nemici, ora li condannava ad attendere senza poter far nulla, aspettare che i flex tagliassero le inferriate e la porta blindata venisse sfondata. Mentre attendevano l'arresto, gettarono dalla finestra uno zaino con mitra, pistole e bombe a mano. Cadendo il mitra sparò una raffica. Un colpo sfiorò un poliziotto che presidiava il palazzo, gli carezzò quasi la nuca. Per nervosismo iniziò a saltare, poi a sudare e infine ad avere una crisi d'ansia respirando convulsamente.

Crepare per un proiettile di rimbalzo sputato da un mitra lanciato dal tredicesimo piano è un'ipotesi che non si prende in considerazione. Quasi in un delirio iniziò a parlare da solo, a insultare tutti, farfugliava nomi e agitava le mani come se volesse liberarsi di zanzare dinanzi al viso e continuava:

"Se li sono cantati. Visto che loro non riuscivano ad arrivarci, se li sono cantati e ci hanno mandato noi… Noi facciamo il gioco di uno e dell'altro, gli salviamo la vita, a questi. Lasciamoli qua, si scannassero tra loro, si scannassero rutti, a noi che ce ne fotte?"

I suoi colleghi mi fecero segno di allontanarmi. Quella notte nella casa di via Fratelli Cervi arrestarono Arcangelo Abete e la sorella Anna, Massimiliano Cafasso, Ciro Mauriel-lo, Gennaro Notturno, l'ex fidanzato di Mina Verde, e Raffaele Notturno. Ma il vero colpo dell'arresto fu Gennaro McKay. Il leader scissionista. I Marino erano stati obiettivi primi della faida. Avevano bruciato le sue proprietà: il ristorante "Orchidea" in via Diacono a Secondigliano, una panetteria in corso Secondigliano e una pizzetteria in via Pietro Nenni ad Arzano. E anche la casa di Gennaro McKay, una villa in legno stile dacia russa situata in via Limitone d'Arza-no, era stata incendiata. Tra cubi di cemento armato, strade lacerate, tombini occlusi e illuminazione sporadica il boss delle Case Celesti era riuscito a strappare una parte di territorio e organizzarlo come un angolo di montagna. Aveva fatto costruire una villa di legno prezioso con nel giardino le palme libiche, le più costose. Qualcuno dice che era stato per affari in Russia ed era stato ospitato in una dacia, innamorandosene. E allora niente e nessuno poteva impedire a Gennaro Marino di far costruire nel cuore di Secondigliano una dacia, simbolo della forza dei suoi affari e ancor più promessa di successo per i suoi guaglioni che se sapevano come comportarsi prima o poi avrebbero potuto raggiungere quel lusso, anche alla periferia di Napoli, anche nel margine più cupo del Mediterraneo. Ora della dacia rimane solo lo scheletro di cemento e i legni carbonizzati. Il fratello di Gennaro,

Gaetano, fu scovato dai carabinieri in una camera del lussuoso albergo La Certosa a Massa Lubrense. Per non rischiare la pelle si era rinchiuso in una camera sul mare, un modo inaspettato per sottrarsi al conflitto. Il maggiordomo, l'uomo che sostituiva le sue mani, appena arrivarono i carabinieri li fissò in viso dicendo "mi avete rovinato la vacanza".

Ma l'arresto del gruppo degli Spagnoli non riuscì a tamponare l'emorragia della faida. Giuseppe Bencivenga viene ucciso il 27 novembre. Il 28 sparano a Massimo de Felice e poi il 5 dicembre è il turno di Enrico Mazzarella.

La tensione diviene una sorta di schermo che si frappone tra le persone. In guerra gli occhi smettono di essere distratti. Ogni faccia, ogni singola faccia deve dirti qualcosa. La devi decifrare. La devi fissare. Tutto muta. Devi sapere in quale negozio entrare, essere certo di ogni parola che pronunci. Per scegliere di passeggiare con qualcuno, devi sapere chi è. Devi raggiungere qualcosa sul suo conto che possa essere di più di una certezza, eliminare ogni possibilità che sia pedina sulla scacchiera del conflitto. Camminare vicini, rivolgersi la parola significa condividere il campo. In guerra tutti i sensi moltiplicano la propria soglia di attenzione, è come se si percepisse più acutamente, si guardasse più a fondo, si sentissero gli odori in maniera più forte. Anche se ogni accortezza non serve a nulla dinanzi alla decisione di un massacro. Quando si colpisce non si bada a chi salvare e chi condannare. In un'intercettazione telefonica, Rosario Fusco, accusato di essere un capozona dei Di Lauro, ha la voce molto tesa e cerca di essere convincente rivolgendosi al figlio:

"… Tu non devi stare con nessuno, questo è poco ma certo, io te l'ho scritto pure: vuoi scendere, a babbo, vuoi andare a fare una camminata con una ragazza, soltanto non devi stare con nessun ragazzo, perché non sappiamo con chi stanno o a chi appartengono. Allora se devono fare qualcosa a quello, tu ti trovi vicino, ti fanno pure a te. Hai capito qual è il problema oggi, questo, a babbo…"

Il problema è che non ci si può sentire esclusi. Non basta presumere che la propria condotta di vita potrà mettere al riparo da ogni pericolo. Non vale più dirsi: "si ammazzano tra loro". Durante un conflitto di camorra tutto quello che è stato costantemente costruito viene messo in pericolo, una recinzione di sabbia abbattuta da un'onda di risacca. Le persone cercano di passare silenziose, di ridurre al rrtinimo la loro presenza nel mondo. Poco trucco, colori anonimi, ma non solo. Chi ha l'asma e non riesce a correre si chiude in casa a chiave, ma trovando una scusa, inventandosi una motivazione, perché svelare di stare chiuso in casa potrebbe risultare una dichiarazione di colpevolezza: di non si sa quale colpa, ma pur sempre una confessione di paura. Le donne non indossano più tacchi alti, inadatti a correre. A una guerra non dichiarata ufficialmente, non riconosciuta dai governi e non raccontata dai reporter, corrisponde una paura non dichiarata, una paura che si ficca sotto pelle.

lì senti gonfio come dopo una mangiata o una bevuta di pessimo vino. Una paura che non esplode nei manifesti per strada o sui quotidiani. Non ci sono invasioni o cieli coperti di aerei, è una guerra che ti senti dentro. Quasi come una fobia. Non sai se mostrare la paura o invece nasconderla. Non riesci a comprendere se stai esagerando o sottovalutando. Non ci sono sirene d'allarme, ma arrivano le informazioni più discordanti. Dicono che la guerra di camorra sia tra bande, che si ammazzano tra loro. Ma nessuno sa dove si trovano i confini tra ciò che è loro e ciò che non lo è. Le camionette dei carabinieri, i posti di blocco di polizia, gli elicotteri che iniziano a sorvolare a ogni ora, non rasserenano, sembrano quasi restringere il campo. Sottraggono spazio. Non rassicurano. Circoscrivono e rendono lo spazio mortale della lotta ancora più angusto. E ci si sente intrappolati, spalla a spalla, trovando insopportabile il calore dell'altro.

Attraversavo con la mia Vespa questa coltre di tensione. Ogni volta che andavo a Secondigliano durante il conflitto, venivo perquisito almeno una decina di volte al giorno. Se avessi avuto soltanto uno di quei coltellini svizzeri da campeggio me l'avrebbero fatto ingoiare. Mi fermavano i poliziotti, poi i carabinieri, a volte la Finanza, e poi le vedette dei Di Lauro, poi quelle degli Spagnoli. Tutti con la stessa spicciola autorità, gesti meccanici, parole identiche. Le forze dell'ordine prendevano i documenti e poi perquisivano, le sentinelle invece perquisivano e facevano più domande, intuivano un accento, radiografavano le menzogne. Le vedette durante i giorni di massimo conflitto perquisivano tutti. Gettavano gli occhi in ogni auto. Per catalogare i volti, comprendere se fossero armati. Vedevi avvicinarti prima dei motorini che ti sbirciavano anche l'anima, poi delle moto, e infine delle auto che ti seguivano.

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