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Mai si era avuta una così grande e schiacciante presenza degli affari criminali nella vita economica di un territorio come negli ultimi dieci anni in Campania. I clan di camorra non hanno bisogno dei politici come i gruppi mafiosi siciliani, sono i politici che hanno necessità estrema del Sistema. Si è innescata in Campania una strategia che ha lasciato le strutture politiche più visibili e mediaticamente più esposte immuni formalmente da connivenze e attiguità, ma in provincia, nei paesi dove i clan hanno bisogno di sostegni militari, di coperture alla latitanza, di manovre economiche più esposte, le alleanze tra politici e famiglie camorriste sono più strette. Al potere i clan di camorra giungono attraverso l'impero dei loro affari. E questa è condizione sufficiente per dominare su tutto il resto.

Gli artefici della trasformazione imprenditorial-criminale della periferia di Secondigliano e Scampia erano stati i Licciardi, la famiglia che ha la sua centrale operativa alla Masseria Cardone, un vero e proprio feudo inespugnabile. Gennaro Licciardi, "'a scigna": è stato lui il primo boss che ha determinato la metamorfosi di Secondigliano. Fisicamente somigliava davvero a un gorilla o a un orango. Licciardi, alla fine degli anni '80, era luogotenente a Secondigliano di Luigi Giuliano, il boss di Forcella, nel cuore di Napoli. La periferia era considerata zona infame, dove non ci sono negozi, non nascono centri commerciali, un territorio ai margini d'ogni ricchezza dove le sanguisughe delle bande estorsive non potevano alimentarsi di percentuali. Ma Licciardi comprese che poteva divenire uno snodo per le piazze di spaccio, un porto franco per i trasporti, una raccolta di manovalanza a prezzo bassissimo. Un territorio dove presto sarebbero spuntate le impalcature dei nuovi agglomerati urbani della città in espansione. Gennaro Licciardi non riuscì ad attuare pienamente la sua strategia. Morì a trentotto anni, in carcere, per una banalissima ernia ombelicale, una fine impietosa per un boss. Ancor più perché quando era più giovane nelle camere di sicurezza del Tribunale di Napoli, in attesa di un'udienza, era stato coinvolto in una rissa tra affiliati alla NCO di Cutolo e alla Nuova Famiglia, i due grandi fronti della camorra, e si era beccato ben sedici coltellate su tutto il corpo. Ma ne era uscito vivo.

La famiglia Licciardi aveva trasformato un luogo che era soltanto serbatoio di manovalanza in una macchina per narcotraffico: in imprenditoria criminale internazionale. Migliaia di persone vennero cooptate, affiliate, stritolate nel Sistema. Tessile e droga. Investimenti nel commercio prima d'ogni cosa. Dopo la morte di Gennaro "'a scigna", i fratelli Pietro e Vincenzo presero il potere militare, ma era Maria detta "'a piccerella" che deteneva il potere economico del clan.

Dopo la caduta del muro di Berlino, Pietro Licciardi trasferì la parte maggiore dei propri investimenti, legali e illegali, a Praga e Brno. La Repubblica Ceca fu completamente egemonizzata dai secondiglianesi che, utilizzando la logica della periferia produttiva, iniziarono a investire per conquistare i mercati in Germania. Pietro Licciardi aveva un profilo da manager, ed era chiamato dagli imprenditori suoi alleati "l'imperatore romano" per il suo atteggiamento autoritario e tracotante nel credere l'intero globo un'estensione di Secon-digliano. Aveva aperto un negozio di vestiti in Cina, un pied-à-terre commerciale a Taiwan che gli avrebbe permesso di scalare anche il mercato interno cinese e non di sfruttare soltanto la manodopera. Venne arrestato a Praga nel giugno del 1999. Militarmente era stato spietato, fu accusato di aver ordinato di mettere l'autobomba in via Cristallini, alla Sanità, nel 1998 durante i conflitti tra i clan della periferia e quelli del centro storico. Una bomba che doveva punire l'intero quartiere e non soltanto i responsabili del clan. Quando l'auto saltò in aria, lamiere e vetri investirono come priettili tredici persone. Mancarono però prove sufficienti per condannarlo e venne assolto. In Italia il clan Licciardi ha dislocato la parte maggiore delle proprie attività imprenditoriali nel settore tessile e commerciale a Castelnuovo del Garda in Veneto. Non lontano, a Portogruaro, venne arrestato Vincenzo Pernice, il cognato di Pietro Licciardi e con lui alcuni fiancheggiatori del clan, tra i quali Renato Peluso, residente proprio a Castelnuovo del Garda. Commercianti e imprenditori veneti legati ai clan hanno coperto la latitanza di Pietro Licciardi, non più in concorso esterno quindi ma pienamente inquadrati nell'organizzazione imprenditorial-criminale. I Licciardi avevano al fianco di una articolata capacità imprenditoriale anche una struttura militare. Dopo l'arresto di Pietro e Maria, il clan attualmente è retto da Vincenzo, il boss latitante che coordina sia l'apparato militare che quello economico.

Il clan è sempre stato particolarmente vendicativo. Vendicarono pesantemente la morte di Vincenzo Esposito, nipote di Gennaro Licciardi, ucciso a ventuno anni nel 1991, al rione Monterosa, territorio dei Prestieri, una delle famiglie afferenti all'Alleanza. Esposito lo chiamavano "il principino" per il suo essere nipote dei sovrani di Secondigliano. Era andato in moto a chiedere spiegazione di una violenza su alcuni suoi amici. Indossava il casco, lo abbatterono scambiandolo per un killer. I Licciardi accusarono i Di Lauro, di cui i Prestieri erano stretti alleati, di aver fornito i killer per l'eliminazione e, secondo il pentito Luigi Giuliano, fu proprio Di Lauro a organizzare l'omicidio del "principino" che si stava ingerendo troppo in certi affari. Qualunque sia stato il movente, il potere dei Licciardi era così inattaccabile che obbligarono i clan coinvolti a purgarsi dei possibili responsabili della morte di Esposito. Fecero partire una mattanza che in pochi giorni uccise quattordici persone a vario titolo coinvolte, direttamente e indirettamente, nell'omicidio del loro giovane erede.

Il Sistema era riuscito anche a trasformare la classica estorsione e le logiche d'usura. Compresero che i commercianti avevano bisogno di liquidità, che le banche erano sempre più rigide e si inserirono nel rapporto tra fornitori e negozianti. I commercianti che devono acquistare i propri articoli possono pagarli in contanti, oppure con cambiali. Se pagano in contanti il prezzo è minore, dalla metà ai due terzi dell'importo che pagherebbero in cambiali. In questa situazione quindi il commerciante ha tutto l'interesse a pagare in contanti, e la ditta venditrice ha lo stesso interesse. Il contante viene offerto dal clan a tassi mediamente del 10 per cento. In questo modo si crea automaticamente un rapporto societario di fatto tra il commerciante acquirente, il venditore e il finanziatore occulto, ossia i clan. I proventi dell'attività vengono divisi al 50 per cento ma può accadere che l'indebitamento faccia entrare percentuali sempre più ampie nelle casse del clan e che alla fine il commerciante diventi un semplice prestanome che percepisce uno stipendio mensile. I clan non sono come le banche che rispondono al debito arraffando tutto, il bene lo utilizzano lasciando che ci lavorino le persone con esperienza che hanno perso la proprietà. Secondo quanto emerge dalle dichiarazioni di un pentito, nell'inchiesta della DDA del 2004, il 50 per cento dei negozi solo a Napoli è eterodiretto dalla camorra.

Ormai l'estorsione mensile, quella alla Mi manda Picone, il film di Nanni Loy, del porta a porta a Natale, Pasqua e Ferragosto è una prassi da clan straccione, usata da gruppi che cercano di sopravvivere, incapaci di fare impresa. Tutto è cambiato. I Nuvoletta di Marano, periferia a nord di Napoli, avevano innescato un meccanismo più articolato ed efficiente di racket fondato sul vantaggio reciproco e sull'imposizione delle forniture. Giuseppe Gala detto "showman" era diventato uno dei più apprezzati e richiesti agenti nel business alimentare. Era agente della Bauli e della Von Holten e attraverso la Vip Alimentari aveva conquistato un posto di esclusivista della Par-malat per la zona di Marano. In una conversazione telefonica depositata dai magistrati della DDA di Napoli nell'autunno del 2003, Gala si vantava della sua qualità di agente: "Li ho bruciati tutti, siamo i più forti sul mercato".

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