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Le ditte che trattava infatti avevano la certezza di essere presenti su tutto il territorio da lui coperto e la garanzia di un elevato numero di ordinazioni. D'altro canto i commercianti e i supermarket erano ben felici di poter interloquire con Peppe Gala poiché forniva sconti assai più alti sulla merce, avendo possibilità di fare pressione sulle aziende e sui fornitori. Essendo un uomo del Sistema, "Showman" poteva assicurare, controllando anche i trasporti, prezzi favorevoli e arrivi tempestivi.

Il clan non impone con l'intimidazione il prodotto che decide di "adottare" ma con la convenienza. Le aziende rappresentate da Gala dichiaravano di essere state vittime del racket della camorra, di aver subito il diktat dei clan. Ma osservando i dati commerciali — rintracciabili nei dati di Conf-commercio — era possibile osservare che le ditte che si erano rivolte a Gala nel lasso di tempo che va dal 1998 al 2003 hanno avuto un incremento di vendite annuale che va dal 40 all'80 per cento. Con le sue strategie economiche, Gala riusciva persino a risolvere i problemi di liquidità monetaria dei clan. Arrivò a imporre un sovrapprezzo sul panettone nel periodo natalizio per poter pagare la tredicesima alle famiglie dei detenuti affiliati ai Nuvoletta. H successo però fu fatale a "showman". Tentò, secondo il racconto di alcuni pentiti, di diventare esclusivista anche nel mercato della droga. La famiglia Nuvoletta non ne volle sapere. Lo trovarono nel gennaio del 2003 bruciato vivo nella sua auto.

I Nuvoletta sono l'unica famiglia esterna alla Sicilia che siede nella cupola di Cosa Nostra, non semplici alleati o affiliati, ma strutturalmente legati ai Corleonesi, uno dei gruppi più potenti in seno alla mafia. Così potente che i siciliani — secondo le dichiarazioni del pentito Giovanni Brusca — quando iniziarono a organizzarsi per far esplodere bombe in mezza Italia alla fine degli anni '90, chiesero il parere dei mara-nesi e la loro collaborazione. I Nuvoletta ritennero l'idea di spargere bombe una strategia folle, legata piuttosto a favori politici, che a effettivi risultati militari. Rifiutarono di partecipare agli attentati e di dare sostegno logistico agli attentatori. Un rifiuto espresso senza subire alcun tipo di ritorsione. Lo stesso Totò Riina implorò il boss Angelo Nuvoletta di intervenire per corrompere i magistrati del suo primo maxiprocesso, ma anche in questo caso i maranesi non scesero in aiuto dell'ala militare dei corleonesi. Negli anni della guerra all'interno della Nuova Famiglia, dopo la vittoria su Cutolo, i Nuvoletta mandarono a chiamare l'assassino del giudice Falcone, Giovanni Brusca, il boss di San Giovanni Jato, per fargli eliminare cinque persone in Campania e scioglierne due nell'acido. Lo chiamarono come si chiama un idraulico, lui stesso ha rivelato ai magistrati la strategia per sciogliere Luigi e Vittorio Vastarella:

Impartimmo istruzioni affinché fossero acquistati cento litri di acido muriatico, servivano contenitori metallici da duecento litri, normalmente destinati alla conservazione dell'olio e tagliati nella parte superiore. Secondo la nostra esperienza era necessario che in ogni contenitore fossero versati cinquanta litri di acido, ed essendo prevista la soppressione di due persone facemmo preparare due bidoni.

I Nuvoletta, federati con i sottoclan dei Nettuno e dei Polverino, avevano anche rinnovato il meccanismo degli investimenti nel narcotraffico, creando un vero e proprio sistema di azionariato popolare della cocaina. La DPA di Napoli in un'indagine del 2004 aveva dimostrato che il clan attraverso degli intermediari aveva permesso a tutti di partecipare all'acquisto delle partite di coca. Pensionati, impiegati, piccoli imprenditori davano danaro ad alcuni agenti che poi lo reinvestivano per l'acquisto di partite di droga. Investire una pensione di seicento euro in coca dopo un mese significava ricevere il doppio. Non c'erano garanzie oltre la parola dei mediatori, ma l'investimento era sistematicamente vantaggioso. H rischio di perdere dei soldi non era paragonabile al profitto ricevuto, soprattutto se comparato agli interessi che in alternativa avrebbero ricevuto se avessero versato il danaro in banca. Gli unici svantaggi erano organizzativi, i panetti di coca spesso venivano fatti custodire dai piccoli investitori, un modo per dislocare i depositi e rendere praticamente impossibile i sequestri. I clan camorristici erano così riusciti ad allargare il giro di capitali da investire, coinvolgendo anche una piccola borghesia lontana dai meccanismi criminali ma stanca di affidare alle banche i propri averi. Avevano anche metamorfiz-zato la distribuzione al dettaglio. I Nuvoletta-Polverino fecero dei barbieri e dei centri abbronzanti i nuovi dettaglianti della coca. I profitti del narcotraffico venivano poi reinvestiti, attraverso alcuni prestanome, nell'acquisto di appartamenti, alberghi, quote di società di servizi, scuole private e perfino gallerie d'arte.

La persona che coordinava i capitali più consistenti dei Nuvoletta era, secondo le accuse, Pietro Nocera. Un manager tra i più potenti del territorio, girava sistematicamente in Ferrari e disponeva di un aereo personale. Il Tribunale di Napoli nel 2005 ha disposto il sequestro di beni immobili e società per oltre trenta milioni di euro; in realtà soltanto il 5 per cento del suo impero economico. Il collaboratore di giustizia Salvatore Speranza ha rivelato che Nocera è l'amministratore di tutti i soldi del clan Nuvoletta e cura "l'investìmento dei soldi dell'organizzazione nei terreni e nell'edilizia in genere". I Nuvoletta investono in Emilia Romagna, Veneto, Marche, e Lazio attraverso l'Enea, cooperativa di produzione e lavoro gestita da Nocera anche durante la latitanza. Fatturavano cifre elevatissime, dato che l'Enea aveva ottenuto appalti pubblici per milioni di euro a Bologna, Reggio Emilia, Modena, Venezia, Ascoli Piceno e Fresinone. Gli affari dei Nuvoletta da anni si erano dislocati anche in Spagna. Tenerife era la città dove Nocera si era recato per contestare ad Armando Orlando, considerato dagli investigatori ai vertici del clan, le spese sostenute nella costruzione di un imponente complesso edilizio, il Marina Palace. Nocera gli contestò di star spendendo troppo perché usavano materiali troppo costosi. Il Marina Palace l'ho visto soltanto sul web, il suo sito è eloquente, un enorme agglomerato turistico, piscine e cemento che i Nuvoletta avevano costruito per partecipare e alimentare il business del turismo in Spagna.

Paolo Di Lauro veniva dalla scuola dei maranesi, la sua carriera criminale iniziò come loro luogotenente. Lentamente Di Lauro si allontanò dai Nuvoletta divenendo, negli anni '90, braccio destro del boss di Castellammare Michele D'Alessandro, e occupandosi direttamente della sua latitanza. Il suo progetto era quello di poter coordinare le piazze di spaccio con la stessa logica con cui aveva gestito le catene di negozi e le fabbriche di giacche. Il boss comprese che, dopo la morte in carcere di Gennaro Licciardi, il territorio di Napoli

nord poteva divenire il più grande mercato di droga a cielo aperto che si era mai visto in Italia e in Europa. Tutto gestito dai suoi uomini. Paolo Di Lauro aveva sempre agito silenziosamente con qualità più finanziarie che militari, non invadeva apparentemente i territori di altri boss, non veniva rintracciato da indagini e perquisizioni.

Tra i primi a svelare rorganigramma della sua organizzazione c'era stato il pentito Gaetano Conte. Un pentito dalla storia particolarmente interessante. Era un carabiniere, era stato in servizio a Roma, guardia del corpo di Francesco Cos-siga. Le sue qualità di uomo della scorta di un Presidente della Repubblica l'avevano promosso a sodale del boss Di Lauro. Conte, dopo aver gestito per conto del clan estorsioni e narcotraffico, aveva deciso di collaborare con i magistrati con dovizia di informazioni e particolari che solo un carabiniere avrebbe saputo dare.

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