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— Lo immaginavo — riprese Scuotivento. — Bene, sono…

Dalla strada venne un trapestio e nuove grida dal locale, seguite da una confusione per le scale. La porta fu spalancata prima che Scuotivento facesse in tempo a fuggire dalla finestra. Ma invece del pazzo accecato dalla sete dell’oro che si aspettava di vedere, si trovò davanti il rosso faccione rotondo di un sergente della Guardia. Respirò di nuovo. Naturale. La Guardia era sempre attenta a non intervenire troppo presto in una rissa, se le probabilità non erano decisamente favorevoli. Il mestiere comportava una pensione e pertanto attirava il tipo d’uomo cauto e previdente.

Il sergente lanciò un’occhiataccia a Scuotivento e si rivolse con interesse a Duefiori. — Tutto bene qui? — domandò.

— Benissimo — rispose Scuotivento. — Siete stato trattenuto?

Il sergente lo ignorò. — È questo lo straniero? — chiese.

— Stavamo giusto uscendo — dichiarò Scuotivento e soggiunse in trob: — Duefiori, penso che dovremmo pranzare altrove. Conosco diversi posti.

Uscì nel corridoio con aria indifferente. Duefiori lo seguì e pochi secondi dopo si udì un suono strozzato provenire dal sergente che aveva visto la cassa chiudere di colpo il coperchio, alzarsi, stiracchiarsi e incamminarsi dietro a loro.

Le guardie stavano trascinando fuori dal locale i cadaveri. I superstiti non c’erano. Ci aveva pensato la Guardia dando loro tutto il tempo di scappare dalla porta sul retro. Un compromesso tra prudenza e giustizia che conveniva a tutte le parti.

— Chi sono questi uomini? — domandò Duefiori.

— Oh, sapete, solo degli uomini — rispose Scuotivento. Senza pensarci, una parte del suo cervello che non aveva niente da fare, ebbe la meglio sulla bocca e aggiunse: — In effetti, sono eroi.

— Davvero?

Quando un piede è intrappolato nel Grigio Miasma di H’rull è molto più facile entrarci dentro e affondare piuttosto che prolungare la lotta. Scuotivento si lasciò andare.

— Sì, quello laggiù è Eric Braccioforte, l’altro è Black Zenell…

— È qui Hrun il Barbaro? — chiese Duefiori scrutando intorno a sé. Il mago prese fiato.

— È lì dietro a noi.

L’enormità della bugia era tale che le sue increspature si propagarono a uno dei piani astrali inferiori fino al Quartiere Magico al di là del fiume; lì acquistò una tremenda velocità dalla vasta onda di energia che sempre si librava sulla zona e rimbalzò violentemente attraverso il Mare Circolare.

Un ipertono raggiunse lo stesso Hrun, che in quel momento lottava contro una coppia di gnoll su un alto costone delle montagne Caderack, e gli causò un attimo d’inspiegabile disagio.

Nel frattempo Duefiori aveva aperto il coperchio del Bagaglio e si affrettava a tirare fuori un pesante cubo nero.

— È fantastico! — esclamò. — A casa non ci crederanno mai!

— Che va dicendo? — chiese dubbioso il sergente.

— È felice che ci abbiate salvato — rispose Scuotivento. Guardava con l’angolo dell’occhio la scatola nera, quasi si aspettasse di vederla esplodere o emettere strani motivi musicali.

— Ah — disse il sergente. Anche lui fissava la scatola.

Duefiori rivolse ai due un sorriso radioso. — Desidero fissare un ricordo dell’avvenimento — spiegò. — Per piacere, volete chiedere loro di andare vicino alla finestra? Ci vorrà un momento. E, ehm, Scuotivento?

— Sì?

Duefiori si alzò in punta di piedi e bisbigliò: — Sono sicuro che sapete che cosa è questa, vero?

Scuotivento abbassò gli occhi sulla scatola. Da un lato, sporgeva nel centro un occhio di vetro rotondo e dall’altro una levetta.

— Non proprio — confessò.

— È un arnese che permette di fissare rapidamente un’immagine. Si tratta di un’invenzione nuova. Ne vado piuttosto orgoglioso, ma vedete, non credo che questi signori… be’, voglio dire potrebbero… intimorirsi? Potreste spiegarglielo. Naturalmente li rimborserò per il loro tempo.

— Lui ha una scatola con un demone dentro che disegna le immagini — disse brusco Scuotivento. — Fate quello che vi dice questo matto e lui vi darà dell’oro.

La Guardia sorrise nervosamente.

— Scuotivento, vorrei anche voi nel quadro. Così va bene. — Duefiori tirò fuori il disco d’oro che il mago aveva già visto, lo esaminò un momento e borbottò: — Trenta secondi dovrebbero bastare. — Poi aggiunse a voce alta: — Sorridete, prego!

— Sorridete! — ripeté nervosamente Scuotivento. Dalla scatola venne un ronzio.

— Ecco fatto!

Il secondo albatro volò alto sopra il disco, così in alto che i suoi mobili occhietti gialli potevano vedere l’intero mondo e il vasto, scintillante, avvolgente Mare Circolare. A una delle sue zampe era fissata una capsula contenente un messaggio. Più in basso, celato dalle nuvole, l’uccello che aveva portato il primo messaggio al Patrizio di Ankh-Morpork faceva ritorno a casa battendo dolcemente le ali.

Scuotivento, stupefatto, guardò il quadratino di vetro. Eccolo lì, proprio lui, una figurina dai colori perfetti, in piedi davanti a un gruppo di guardie dalla facce congelate in una smorfia di terrore. Un mormorio di spavento si levò dagli uomini intorno a lui quando allungarono il collo per sbirciare al di sopra della sua spalla.

Con una smorfia divertita, Duefiori estrasse una manciata di monetine che Scuotivento riconosceva ormai come un quarto di rhinu. Strizzò l’occhio al mago.

— Ho avuto gli stessi problemi quando mi sono fermato alle Brown Islands — disse. — Credevano che l’iconografo rubasse un po’ delle loro anime. Ridicolo, no?

— Yarrg — disse Scuotivento e poi aggiunse, tanto per dire qualche cosa: — Però non credo che mi somigli molto.

Duefiori ignorò l’osservazione e dichiarò invece: — È facile da fare funzionare. Guardate, c’è solo da premere questo bottone. L’iconografo fa il resto. Adesso, mi metto lì in piedi vicino a Hrun, e voi potete scattare l’immagine.

Le monete calmarono l’agitazione degli uomini come solo l’oro sa fare. Mezzo minuto dopo, con grande stupore di Scuotivento, lui teneva in mano un piccolo ritratto su vetro di Duefiori che impugnava uno spadone dentellato e sorrideva come se tutti i suoi sogni si fossero avverati.

Pranzarono a una piccola trattoria vicino al ponte Brass, con il Bagaglio sistemato sotto il tavolo. Il cibo e il vino, assai superiori a quelli che normalmente si permetteva Scuotivento, contribuirono molto a rilassarlo. Decise che le prospettive non erano poi così malvage. Un pizzico d’inventiva e un po’ di cervello, ecco tutto ciò che era necessario.

Anche Duefiori sembrava riflettere. Fissando la sua coppa di vino disse: — Suppongo che da queste parti le risse da taverna siano piuttosto comuni?

— Oh, già.

— Senza dubbio gli impianti e il mobilio vengono danneggiati?

— Cosa?… Oh, capisco. Volete dire le panche e roba varia. Sì, suppongo di sì.

— Gli albergatori devono esserne sconvolti.

— In realtà non ci ho mai pensato. Ritengo che deve essere uno dei rischi del mestiere.

Duefiori lo fissò pensoso. — In questo caso potrei rendermi utile. Io mi occupo di rischi. Dico, questo cibo è un po’ unto, non vi pare?

— Avevate chiesto di gustare dei piatti tipici di Morpork — ribatté Scuotivento. — Che dicevate dei rischi?

— Oh, so tutto sui rischi. Sono il mio mestiere.

— È quanto avevate detto. Non ci ho creduto nemmeno la prima volta.

— Oh, io non corro rischi. Rovesciare dell’inchiostro è la cosa più eccellente che mi sia accaduta. Io valuto i rischi. Giorno dopo giorno. Sapete quante sono le probabilità che una casa prenda fuoco nel quartiere del Triangolo Rosso a Bes Palargic? Cinquecentotrentotto a uno. L’ho calcolato — affermò con una nota di orgoglio.

— A quale… — Scuotivento cercò di trattenere un rutto. — A quale scopo?

— Per… — Duefiori tacque. — Non sono capace di dirlo in trob. Non credo che i trob abbiano un vocabolo per esprimerlo. Nella mia lingua lo chiamano… — pronunciò una sfilza di sillabe bizzarre.

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