— Sì, mio signore. Ehm…
L’Arciastronomo si accigliò. — Che altro hai da dire, uomo?
Il Capo controllore deglutì. Non era giusto: lui era un perito mago più che un diplomatico, e proprio per questa ragione dei cervelloni avevano disposto che toccasse a lui comunicare le notizie.
— Un mostro è uscito dal mare e attacca le navi nel porto. È appena arrivato un messaggero.
— Un mostro grande?
— Non particolarmente, ma si dice che sia eccezionalmente feroce, signore.
Dopo un attimo di riflessione, il reggente di Krull e della Circonferenza scrollò le spalle. — Il mare è pieno di mostri. È uno dei suoi principali attributi. Occupatene tu. E… Capo controllore del lancio?
— Mio signore?
— Se vengo ulteriormente contrariato, ricorderai che due persone devono essere sacrificate. Posso sentirmi in vena di generosità e aumentare il numero.
— Sì, mio signore. — Il Capo controllore filò via, sollevato di non trovarsi più sotto gli occhi dell’autocrate.
Il Possente Viaggiatore, non più il vuoto guscio di bronzo liberato dalla forma pochi giorni prima, aspettava nella sua culla in cima a una torre di legno al centro dell’arena. Di fronte ad essa un binario scendeva verso il Bordo dove, per un tratto di pochi metri, s’impennava subitamente.
Il defunto Dactylos Occhidoro, che aveva disegnato la rampa di lancio nonché il Possente Viaggiatore, aveva affermato che quell’ultimo tocco era semplicemente voluto perché il vascello non urtasse contro qualche roccia mentre iniziava la lunga discesa. Forse era pura coincidenza se, a causa di quella piccola elevazione, esso sarebbe pure saltato come un salmone e avrebbe brillato teatralmente nel sole prima di sparire nel mare caliginoso.
All’estremità dell’arena risuonò una fanfara di trombe e, tra le grida entusiaste della folla, apparve la guardia d’onore dei chelonauti. Quindi avanzarono nella luce i biancovestiti esploratori.
L’Arciastronomo subodorò subito che qualcosa non andava. Per esempio, gli eroi camminano sempre in un certo modo. Di sicuro non con un’andatura ondeggiante come quella di uno dei chelonauti.
Le urla dei cittadini di Krull erano assordanti. L’Arciastronomo guardava accigliato i chelonauti e le guardie attraversare l’arena, passando tra i numerosi altari elevati per i vari maghi e sacerdoti delle molte sette esistenti a Krull, onde assicurare il successo del lancio. Quando il gruppo fu a metà strada, lui era giunto a una conclusione. Quando i chelonauti arrivarono ai piedi della scala che portava al vascello (non rivelavano forse una certa riluttanza?), l’Arciastronomo si alzò in piedi e le sue parole si persero nel clamore della folla. Fece scattare in avanti le braccia e le riportò indietro, le dita aperte e tese drammaticamente nella posizione richiesta per gettare un incantesimo. Chiunque fosse passato, capace di leggere il movimento delle labbra e ferrato sui testi standard della magia, avrebbe riconosciuto le parole iniziali della Maledizione Fluttuante di Vestlake e prudentemente sarebbe filato via.
Tuttavia le parole finali non furono pronunciate. L’Arciastronomo si girò sorpreso al tumulto che si era levato intorno al grande arco d’ingresso all’arena. Le guardie entrarono di corsa e gettarono le armi mentre fuggivano tra gli altari o saltavano il parapetto per rifugiarsi nelle tribune.
Qualcosa emerse alle loro spalle. La folla, cessate le sue acclamazioni, si disperse nel silenzio.
Il qualcosa, una struttura bassa di alghe a forma di cupola, si muoveva lentamente ma con sinistra determinazione. Vincendo il suo orrore, una guardia gli sbarrò la strada e gli scagliò contro la lancia, che si infisse tra le alghe. La folla ruppe in evviva… poi si fece mortalmente silenziosa quando la cosa balzò in avanti e inghiottì l’uomo.
L’Arciastronomo, con un gesto brusco della mano, congedò la famosa Maledizione di Vestlake e si affrettò a pronunciare le parole di uno degli incantesimi più potenti del suo repertorio: l’Enigma della Combustione Infernale.
Fiammelle di ottarino guizzarono tra e intorno le sue dita mentre lui tracciava in aria i complessi caratteri runici dell’incantesimo e lo spediva, strillante e con una scia di fumo azzurro, verso la forma.
Seguì un’esplosione gratificante e una lingua di fiamme s’innalzò nel limpido cielo mattutino, spargendo falde di alghe ardenti. Una nuvola di fumo e vapore nascose per diversi minuti il mostro; quando si disperse, quello era completamente sparito. Sul lastricato, tuttavia, si vedeva un largo circolo bruciacchiato nel quale ancora fumavano ciuffi di alghe.
In mezzo al cerchio c’era un baule di legno, perfettamente comune anche se piuttosto grande. Non era nemmeno strinato. Qualcuno all’altro capo dell’arena si mise a ridere, ma il suono cessò di colpo quando il baule si alzò su dozzine di gambette e si voltò a fronteggiare l’Arciastronomo. Naturalmente un baule di legno, perfettamente comune anche se piuttosto grande, non ha una fronte con la quale affrontare. Ma quello decisamente lo fronteggiava. L’Arciastronomo, non soltanto lo capiva, ma con suo grande orrore si rendeva anche conto che quella cassa perfettamente normale, in qualche modo indefinibile, stringeva gli occhi.
Il baule prese a muoversi risolutamente verso di lui. Che rabbrividì.
— I maghi! — gridò. — Dove sono i miei maghi?
Tutto intorno all’arena, uomini dalla faccia pallida sbirciavano da dietro gli altari e da sotto le panche. Uno dei più audaci, vista l’espressione sul viso dell’Arciastronomo. sollevò un braccio tremante e provò a lanciare frettolosamente un fulmine. Che si scagliò sibilando verso il baule e lo centrò in una pioggia di bianche scintille.
Fu quello il segnale: ogni mago, incantatore e taumaturgo di Krull balzò su, e sotto lo sguardo atterrito del loro capo, lanciò il primo incantesimo che a ciascuno venne in mente nella disperazione. Gli incantesimi vorticavano e fischiavano nell’aria.
Ben presto il baule fu nascosto alla vista da una nuvola sempre più estesa di particelle magiche, che fluttuarono e si contrassero a comporre forme contorte e inquietanti. Nel tumulto volavano senza posa gli incantesimi. Fiamme e lampi di tutti gli otto colori scaturivano dalla cosa ribollente che adesso occupava lo spazio dov’era stato il baule.
Sin dalle Guerre dei Maghi non si era più vista una tale concentrazione di magia in uno spazio così ristretto. L’aria stessa ondeggiava e brillava. Gli incantesimi rimbalzavano gli uni sugli altri, creando nuovi incantesimi di breve durata, selvaggiamente incontrollabili. Sotto il loro impatto le pietre cominciarono a piegarsi e spezzarsi. Una di loro in effetti si tramutò in qualcosa di cui è meglio tacere e se ne fuggì in qualche lugubre dimensione. Altri strani effetti collaterali presero a manifestarsi: dalla tempesta venne giù una pioggia di cubetti di piombo rotolanti: farfuglianti forme spaventevoli gesticolavano oscenamente; triangoli quadrilateri e circonferenze a doppia fronte duravano un attimo prima d’immergersi di nuovo nella rombante colonna di magia pura che s’innalzava dal lastricato fuso e si spargeva sopra Krull.
Il fatto che i maghi avessero cessato di gettare incantesimi e fossero fuggiti non aveva più importanza. La cosa ora si nutriva della corrente di particelle di ottarino, solitamente più dense vicino al Bordo del Disco. Nessuna attività magica poté compiersi in tutta l’isola di Krull, perché tutto il mana disponibile nella zona era risucchiato nella nuvola, che s’innalzava per più di ottocento metri e si spandeva in forme terrificanti. Gli idrofobi, nelle loro lenti che sfioravano il mare, precipitarono urlando nelle onde. Nelle fiale le pozioni magiche si cambiarono in acqua impura. Le spade magiche si fusero e gocciolarono dal loro fodero.
Ma nulla di tutto ciò impedì alla cosa, rimasta alla base della nuvola brillante come uno specchio nell’intensità della tempesta magica che la circondava, di dirigersi con passo fermo verso l’Arciastronomo.