Литмир - Электронная Библиотека
A
A

— Puoi muoverti, Hugh? Puoi metterti seduto?

Il respiro gli sibilava nel petto.

— Sfiatato — disse, con un filo di voce.

— Bene. C’eri finito sotto. Se ce la fai a muoverti, potremo allontanarci un po’. Io non riesco a muoverti.

— Grasso — disse lui. — Aspetta.

Chiuse gli occhi, e poco dopo li riaprì, strinse le labbra, e si puntellò sui gomiti, con la testa reclinata sul petto. — Coraggio — disse, a lei o a se stesso. — Così — gli disse lei, tenendogli la spalla, — così. — Lui si sollevò sulle ginocchia con un sobbalzo. Poi rimase un po’ in quella posizione. Sembrava non avere coscienza del luogo in cui si trovava, non vedeva la cosa morta che rabbrividiva accanto a lui; adesso non poteva andare oltre il proprio corpo. Quando cercò di alzarsi in piedi, Irena poté aiutarlo, infilandogli la spalla sotto il braccio, come una gruccia. Lui era molto pesante, barcollava, e non vedeva. Lo guidò, a passo lento e vacillante, intorno al corpo del drago, attraverso lo spiazzo, fra gli alberi radi che crescevano accanto alla parete della caverna. La pista continuava. Quasi subito svoltò bruscamente a sinistra e verso il basso, scendendo così ripida che Hugh non riuscì a reggersi in piedi. Almeno s’erano allontanati dalla grotta. Irena intendeva farlo mettere seduto o sdraiato lì, sul sentiero, mentre andava in cerca di acqua, quando sentì il suono dell’acqua corrente; e pensò che aveva sempre sentito quel mormorio, mentre erano sullo spiazzo pietroso davanti alla grotta. Condusse Hugh, che trascinava i piedi, intorno alla svolta del sentiero. La pista scendeva tra le alte felci. Più sopra, l’acqua scorreva in una pellicola trasparente sui macigni, l’attraversava, e spariva tra le felci e il muschio, giù per il fianco della montagna. — Qui — disse lei. Appena ebbe smesso di sorreggerlo, Hugh si lasciò cadere di nuovo in ginocchio, poi carponi. — Sdraiati — gli disse, e lui si lasciò scivolare sul fianco tra le felci.

Lei bevve e si lavò le mani e la faccia nel rivoletto limpido, e porse a Hugh l’acqua nel cavo delle mani, un sorso per volta, il massimo che poteva fare. Cercò di farlo mettere a sedere per potergli togliere la giubba. Hugh non collaborò. — È tutta coperta di sangue e… e intestini, Hugh, puzza…

— Ho freddo — disse lui.

— Ho una coperta, un mantello. È asciutto, ti terrà caldo.

La resistenza di lui non era conscia; e insistendo, lei gli tolse la giubba di pelle. Hugh gridò due volte di dolore mentre Irena cercava di sfilargliela, e lei pensò che avesse la spalla rotta o slogata, o il braccio ferito; ma lui disse abbastanza chiaramente: — Tutto bene. — Il petto della camicia era di un rosso-bruniccio pallido e viscoso; Irena gli tolse anche quell’indumento. Non gli vedeva addosso nessuna ferita. Le spalle, le braccia e il petto erano massicci, lisci e forti, bianchissimi in quel luogo semibuio tra le felci. Lo avvolse nel mantello rosso, e dopo avergli lavato la camicia la usò per ripulirgli meglio la faccia e la gola e le mani; poi la sciacquò di nuovo, risanata dall’acqua, dal suo contatto, dalla sua chiara freschezza. Quando lo lasciò stare, Hugh restò immobile a giacere, ad occhi chiusi. Il respiro era ancora superficiale, ma calmo. Irena gli rimase seduta accanto, tenendogli la mano sulla mano, per confortarlo e per confortare se stessa.

L’immensa gola sottostante era immota e silenziosa. Tutta la montagna taceva, se si escludeva la piccola musica costante della sorgente.

Era un bel luogo, quell’angoletto sul bordo del sentiero: le felci, i macigni, il velo lucente dell’acqua, i fermi rami scuri degli abeti. Irena alzò lo sguardo. Il sentiero aveva descritto una brusca svolta: dovevano essere direttamente al disotto dello spiazzo pietroso e dell’imboccatura della grotta. La sorgente doveva sgorgare più in basso del fondo della grotta. E lì usciva alla luce. Erano di fronte all’antro, ma erano più lontani, l’avevano superato. Non pensi mai a passare oltre il drago, si disse Irena. Pensi soltanto a raggiungerlo. Ma cosa accade, dopo?

Ricominciò a piangere, silenziosamente, senza soffrire. Le lacrime le scorrevano lungo le guance in un velo, come l’acqua di fonte. Pensò alle braccia orribili e patetiche, alle bianche mammelle appuntite; appoggiò il volto tra le braccia e pianse. Sono passata oltre la tana del drago e non posso tornare indietro. Devo andare avanti. Era la mia patria, la luce alla finestra, il fuoco nel focolare, là ero una figlia, la figlia, ma è finito. Ora sono soltanto la figlia del drago e la figlia del re, quella che deve proseguire sola, e andare avanti, perché non c’è una casa dietro di me.

L’acqua cantava, minuta e intrepida. Alla fine, Irena si raggomitolò per dormire. Quel luogo era umido; il contatto delle felci era freddo, il suolo madido. Non riusciva a scaldarsi. Lì vicino non c’era nulla che servisse per accendere un fuoco, e lei si sentiva troppo stanca, ora che s’era parzialmente rilassata, per andare a raccogliere legna e preparare il fuoco. Hugh dormiva profondamente. S’era girato quasi bocconi, e si stringeva addosso le braccia per riscaldarsi. Un angolo del mantello rosso s’era impigliato nelle felci e s’era liberato. Irena s’infilò lì sotto, si mise con la schiena contro la schiena di Hugh. Non servì a nulla. Si girò e gli passò un braccio sul fianco, sotto il lembo del mantello. Così c’era più caldo, c’era un conforto. Si addormentò come una pietra.

Si svegliò, e per un poco rimase così, lambita dal calore, cullata dal ritmo blando del respiro di Hugh e del proprio respiro, completamente tranquilla. I ricordi cominciarono a prendere forma, insinuandosi come gli angoli e i ciottoli del letto del ruscello; ancora una volta lei scese correndo lo stretto, ripido sentiero verso l’imboccatura dell’antro, gridando la sua sfida, e ancora una volta, e scivolò sulle rocce e cadde… e si levò a sedere, districandosi dalle pieghe del mantello rosso. Per un poco rimase così, ancora insonnolita, e girò lo sguardo intorno, sulle felci e sul rivoletto, gli alberi giù nella gola, le profondità azzurre e le linee lontane della catena, il cielo senza colore. Si trascinò al ruscelletto e si rannicchiò per bere dove l’acqua s’increspava sulla curva di un macigno grigio, e si lavò la faccia e la nuca per schiarirsi la mente; e poi proseguì lungo il sentiero e lo abbandonò, addentrandosi fra i rami per orinare. Quando ritornò, Hugh si era seduto, avvoltolato nel mantello, aggobbito. I folti, ruvidi capelli biondi, induritisi quando lei aveva cercato di lavarli per liberarli dal sangue, gli stavano ritti in testa; la barba era folta e ispida sul mento; appariva pesante e stravolto. Quando gli domandò come stava, impiegò molto tempo a rispondere. — Bene — disse. — Freddo.

Lei estrasse pane e carne dall’involto. Gli offrì la sua parte, ma Hugh non sporse la mano dal mantello per prenderli. Si aggobbì ancora di più, desolato. — Adesso no — disse.

— Su, avanti. Non hai mangiato per tutto… ieri, quando è stato.

— Non ho fame.

— Almeno bevi un po’.

Lui annuì, ma non si mosse per andare a bere al rivoletto. Dopo un poco disse: — Irena.

— Sì — disse lei, masticando la carne affumicata. Aveva una fame tremenda, e già adocchiava la razione che lui non aveva toccato.

— Il… Dove…

— Lassù — disse Irena, indicando il pendio alberato sopra la sorgente. Lui alzò lo sguardo, irrequieto.

— È…

— Era morto.

Hugh rabbrividì; Irena vide il fremito scuoterlo in tutto il corpo. Le faceva pena, ma in quel momento lei pensava soprattutto al cibo. — Mangia qualcosa — disse. — È buono. Fra non molto dovremo rimetterci in cammino. Se te la senti.

— In cammino — ripeté lui.

Irena addentò un pezzo di pane secco e duro. — Via. Fuori. Alla porta.

Lui non disse nulla. Prese una striscia di carne affumicata, la masticò svogliatamente, poi desistette. Andò al rivoletto, a bere. Si muoveva con impaccio, e impiegò un po’ di tempo per abbassarsi in modo da poter bere. Bevve a lungo, e finalmente si alzò, laboriosamente, stringendosi intorno alle spalle il mantello rosso. — Ho bisogno della mia camicia o di qualcosa — disse.

39
{"b":"120876","o":1}