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Finché Michael viveva in casa, se lei avesse gridato per chiedere aiuto, sarebbe accorso. Ma se avesse gridato, sua madre avrebbe saputo, e lei non voleva che sua madre sapesse. La vita di Mary era costruita sul suo amore e sulla sua lealtà, sulla sua famiglia. Spezzare quei legami sarebbe stato come annientarla. Se avesse dovuto scegliere, se fosse stata costretta, probabilmente si sarebbe schierata dalla parte della figlia contro il marito; e allora Victor avrebbe avuto tutti i possibili pretesti per punirla. Quando Michael se ne era andato, l’unica cosa che Irene poteva fare era andarsene a sua volta. Ma non poteva sloggiare, come Michael, arrivederci, è stato un piacere conoscervi. Sua madre aveva bisogno di aver vicino qualcuno su cui contare. Aveva avuto quattro gravidanze negli ultimi cinque anni, e tre si erano concluse con un aborto. Adesso prendeva la pillola, ma Victor non lo sapeva, perché credeva che la contraccezione «bloccasse il materiale fertile su nelle ghiandole», e le proibiva di usare i contraccettivi, e probabilmente lei non li avrebbe usati se non ci fosse stata Irene a incoraggiarla, facendone una congiura femminile. Mary soffriva di disturbi circolatori; aveva la piorrea e aveva avuto bisogno di grossi interventi dentistici che avrebbe potuto ottenere a poco prezzo presso la Scuola di Odontoiatria, ma solo se qualcuno era disposto ad accompagnarla fin là in macchina tutti i sabati. Victor la picchiava, quando era ubriaco, finora in modo non troppo pericoloso, anche se una volta le aveva slogato una spalla. Quasi sempre, con lei non c’erano altri che i bambini, e se si fosse sentita molto male per qualunque ragione, nessuno avrebbe fatto qualcosa.

Mary chiedeva alla figlia, con quella tenerezza che tra loro doveva sostituire la sincerità: — Tesoro, perché continui a stare nei dintorni di questa vecchia bicocca? Dovresti cercarti una stanza in centro, dove lavori, e frequentare una compagnia di giovani simpatici. Una volta, qui, si stava bene, ma adesso, con questi sobborghi, questi quartieri nuovi, che schifo!

Irene difendeva la sua sistemazione presso Patsi e Rick.

— Patsi Sobotny, e tu la chiami un’amica!

Mary disapprovava Patsi nel modo più assoluto perché viveva con Rick senza averlo sposato. Una volta, esasperata, Irene le aveva gridato: — Cosa c’è di tanto bello nel matrimonio, secondo te? — Mary aveva accusato il colpo, senza difendersi. Era rimasta in silenzio per un minuto, nella cucina buia, fissando la finestra, e poi aveva risposto: — Non lo so, Irene. Io sono all’antica, penso come pensava la gente una volta, è vero. Ma tuo padre, vedi. Nick. Era… con lui, capisci, il sesso, era bello, capisci, non so come dirlo, ma era soltanto una parte. C’era tutto quanto. Tutto il resto, tutta la tua vita, il mondo, capisci, è una parte, è come una parte di te, essere marito e moglie, così. Non so come spiegarlo. Una volta che sai com’è, che è così, una volta che lo hai provato, tutto il resto non fa molta differenza.

Irene tacque, scorgendo sul volto della madre un riflesso di quel fulgore fondamentale, e scorgendo anche una realtà spaventosa… che il fulgore può spuntare e tramontare all’età di ventidue anni, e dopo si può vivere per venti, trenta, cinquant’anni, e lavorare e sposarsi, e mettere al mondo figli e tutto il resto, senza una ragione particolare per farlo, senza desiderio.

Io sono figlia di un fantasma, pensò Irene.

Quella sera, mentre aiutava sua madre a pulire la cucina, le raccontò che Patsi e Rick stavano per rompere. — E allora buttate fuori a calci quel poco di buono di Rick, e tu e Patsi trovatevi una simpatica ragazza che venga a stare con voi — suggerì Mary, schierandosi prontamente dalla parte delle donne.

— Non credo che Patsi sia d’accordo. E neppure io ci tengo molto a continuare a dividere l’appartamento con lei.

— Sempre meglio che niente — disse Mary. — Tu stai troppo sola, non ti diverti mai, bambina mia. Andare a far passeggiate in campagna tutta sola! Dovresti andare a ballare, non a passeggiare. O almeno, iscriviti a qualche circolo sportivo dove ci sia gente giovane e simpatica.

— Tu hai proprio in testa la gente giovane e simpatica, mamma.

— Qualcuno deve pure avere un po’ di testa — disse Mary, con calma soddisfazione. Andò alle spalle di Irene, che stava all’acquaio, e le accarezzò delicatamente i capelli, mutandoli in una criniera disordinata e nebulosa. — Che capelli terribili hai. Capelli greci, proprio come me. Dovresti trasferirti in centro. Questa è una zona spaventosa.

— Ma tu ci vivi.

— Per me va bene. Per te no.

I tre maschietti fecero irruzione nella cucina e subito fecero piangere Treese strappandole la scatola dei cereali e riempiendosi la bocca. Erano così catastrofici, presi in gruppo, che era sempre sorprendente scoprire che, isolatamente, ognuno era un bambinetto timido dalla voce impacciata e mormorante. Mary non riusciva a controllare quel che facevano fuori casa, e stavano diventando selvatici e scatenati; in casa, il suo senso del decoro aveva la meglio sullo spensierato disordine della loro esistenza, e le obbedivano. Li spedì subito a guardare la televisione, e si rivolse di nuovo alla primogenita. Sorrideva, il lento sorriso felice che metteva in mostra le gengive e i denti rovinati. Diede la bella notizia, la notizia troppo bella per confidarla subito, troppo bella per rimandarne ancora la rivelazione: — Ha telefonato Michael.

— Che cos’ha detto?

— Ha detto solo che sta bene, e ha chiesto di tutti, di te e di tutti. Anche lui si è fatto la macchina.

— E perché non viene qui a trovarci?

— Lavora tanto — disse la madre, voltandosi per chiudere gli sportelli dell’armadietto dei piatti.

Anche se lavora tanto, pensò Irene, potrebbe venire a trovare sua madre almeno una volta l’anno. Ma telefonare è già un gran favore, da parte del Signor Uomo. E la madre del Signor Uomo va in estasi e ringrazia…

Non lo sopporto, davvero, non lo sopporto più. Adesso ho ferito mamma, chiedendo perché Michael non viene qui a trovarci. Tutti coloro che conosco si fanno male a vicenda. Sempre. Devo andarmene. Non posso continuare a venire a casa. La prima volta che Victor cerca di palparmi o semplicemente mi tocca o la tratta come se fosse una merda, esploderò, non ce la farò più a tacere, e questo servirà solo a peggiorare la situazione e la farà soffrire di più, e io non posso far nulla, e non lo sopporto. Amore! A che serve l’amore? Io le voglio bene. Voglio bene a Michael, proprio come lei. E con questo? Dio mi aiuti, non mi innamorerò mai, mai, non amerò mai nessuno. Amore è soltanto una parola elegante per indicare il modo di far male a qualcuno. Voglio andarmene. Andar via, via, via.

Quella sera, quando lasciò sua madre, non si avviò per la strada che portava a Chelsea Gardens, ma svoltò a sinistra della casa, percorrendo la strada di ghiaia fino a quando uscì dal bagliore del riflettore di Victor, e poi tagliò di nuovo a sinistra, attraverso i campi. Era spiacevole camminare nel buio, perché il terreno era duro e accidentato sotto l’erba aggrovigliata, e lei non aveva preso una lampada tascabile, per timore di attirare l’attenzione d’un branco di teppisti o della banda di coatti suburbani che qualche volta ronzava intorno alla fattoria. Era la stessa, stupida paura che le rovinava tutte le passeggiate da sola, dopo che la sua compagna di scuola, Doris, era stata violentata da una banda in un cantiere di Chelsea Gardens, la stupida paura che incombeva dovunque, eccettuata la dolce desolazione del vecchio territorio.

Ma nei boschi, il sentiero non conduceva giù, fra gli allori e il pino, nella chiara sera eterna. Era caldo, buio; i grilli cantavano piano e forte, lontano e vicino; e sotto quel canto c’era un pesante suono continuo, o una vibrazione, forse le macchine che correvano sulla superstrada, o il suono dell’intera città, il cui riflesso luminoso sul pesante cielo notturno rendeva possibile camminare, persino lì nei boschi. Ma non c’era il suono dell’acqua corrente. Irene percorse qualche passo, oltre il punto dove avrebbe dovuto esserci la soglia, e poi ritornò indietro. La strada non c’era.

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