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Teyeo si aggirava per le strade della capitale, guardava le migliaia di schiavi correre di qua e di là per seguire gli interessi dei possidenti, e si domandava che cosa stessero aspettando.

«L'Ekumene non interferisce con gli affari sociali, culturali ed economici della gente,» ripetevano i portavoce del governo e dell'ambasciata. «Il pieno diritto di appartenenza a ogni nazione o persona che lo desideri è condizionato all'assenza, o alla relativa rinuncia, di certi metodi specifici e strumenti bellici,» e seguiva la lista di armi terribili, la maggior parte delle quali per Teyeo erano meri nomi. Solo alcuni erano invenzione del suo stesso paese: la bio-bomba, come la chiamavano, e la neuronica.

Personalmente era d'accordo col giudizio dell'Ekumene su quegli strumenti. Apprezzava la loro pazienza nell'attesa che il Voe Deo e il resto di Werel dimostrassero non solo di rispettarne il bando ma accettassero anche il principio. Però detestava profondamente la loro condiscendenza. Si arrogavano l'autorità di giudicare su qualunque cosa riguardasse Werel, osservando dall'alto. Meno parlavano della divisione delle classi, e più chiara era la loro riprovazione. «La schiavitù è un fenomeno molto raro nei mondi dell'Ekumene,» dicevano i loro libri, «e sparisce del tutto con la partecipazione piena alla politica ecumenica». Era quello che l'ambasciata aliena stava veramente aspettando?

«Santo cielo!» disse un giovane ufficiale – molti di loro erano Tualiti, oltre che uomini d'affari. «Gli Alieni ammetteranno i polverosi prima di ammettere noi!» Stava borbottando indignato, come un vecchio rega paonazzo in volto di fronte a uno schiavo insolente. «Yeowe, un dannato pianeta di selvaggi, di tribù regredite nella barbarie… preferiscono quelli a noi!»

«Hanno combattuto da valorosi,» osservò Teyeo, sapendo che non avrebbe dovuto dire quello che aveva appena detto, ma non gli piaceva sentir dare del polveroso agli uomini e alle donne contro cui aveva combattuto. Ribelli, nemici, proprietà, questo sì.

Il giovane lo squadrò ben bene, e dopo un momento gli disse, «Suppongo che tu gli voglia bene, eh, ai polverosi?»

«Ne ho ammazzati più che potevo,» replicò Teyeo con voce cortese, poi cambiò discorso. Il giovane, anche se nominalmente superiore di Teyeo al comando generale, era un oga, il rango più basso dei veot, e sarebbe stato maleducato snobbarlo ulteriormente.

Quelli erano dei presuntuosi, e lui era permaloso. I bei tempi andati in amicizia e allegria erano un ricordo fievole. I capi del comando ascoltarono la sua richiesta di essere messo di nuovo in servizio attivo e lo schiaffarono da un dipartimento all'altro. Non poteva vivere in caserma, doveva trovare un appartamento, come un civile. La sua mezza paga non gli permetteva di indulgere nei piaceri costosi della città. Mentre aspettava di essere ricevuto da questo o da quell'ufficiale, passava le giornate nella biblioteca in rete dell'accademia degli ufficiali. Sapeva che la sua educazione era incompleta e superata. Se il suo paese si fosse unito all'Ekumene, per dimostrarsi utile doveva saperne di più sui sistemi di pensiero alieni e sulle nuove tecnologie. Poco sicuro di quello che doveva sapere, si muoveva a casaccio nel complesso della rete, meravigliato dalle infinite informazioni accessibili, sempre più consapevole di non essere un intellettuale o uno studioso, e che non avrebbe mai capito le menti aliene. Eppure, con testardaggine, si sforzava di farcela.

Un tale dell'ambasciata teneva sulla rete pubblica un corso introduttivo sulla storia dell'Ekumene. Teyeo si unì al gruppo e partecipò a otto o dieci lezioni e dibattiti, fermo e deciso, con le sole mani che si muovevano appena mentre prendeva appunti metodici. L'insegnante, originario di Hain, che traduceva il suo nome terribilmente lungo in lingua hainese come "Vecchia Musica", guardava spesso Teyeo e cercava di coinvolgerlo nella discussione. Alla fine gli chiese di trattenersi dopo la lezione. «Mi piacerebbe fare due chiacchiere con te, rega,» disse quando gli altri avevano già finito.

Si incontrarono in un caffè. Si incontrarono ancora. Teyeo non gradiva le maniere dell'Alieno, che trovava troppo espansive. Non si fidava della sua mente veloce e scaltra. Era convinto che Vecchia Musica si servisse di lui, che lo studiasse come un esemplare del veot, del soldato, probabilmente del barbaro. L'Alieno, sicuro della sua superiorità, era indifferente alla freddezza di Teyeo, ignorava la sua diffidenza, insisteva nell'aiutarlo con informazioni e consigli, e ripeteva spudoratamente le domande a cui Teyeo evitava di rispondere. Una di queste era, «Perché te ne stai qui a mezza paga?»

«Non è una mia scelta, signor Vecchia Musica,» rispose finalmente Teyeo la terza volta che glielo chiese. Era molto arrabbiato per l'impudenza dell'uomo e quindi parlò con particolare moderazione. Teneva lo sguardo discosto dagli occhi di Vecchia Musica, occhi azzurrognoli, con il bianco che spuntava come in un cavallo impaurito. Non riusciva ad abituarsi agli occhi degli Alieni.

«Non ti rimettono in servizio attivo?»

Teyeo annuì gentilmente. Possibile che quell'uomo, nonostante fosse di un altro mondo, non s'accorgesse minimamente del fatto che le sue domande erano smaccatamente umilianti?

«Vorresti servire nella guardia dell'ambasciata?»

Quella domanda lasciò Teyeo senza parole per un momento, poi commise l'estrema scorrettezza di rispondere a una domanda con un'altra domanda. «Perché me lo chiede?»

«Mi piacerebbe avere un uomo con le tue capacità in quel corpo,» disse Vecchia Musica, aggiungendo, con la sua franchezza terrificante, «Per la maggior parte sono spie o stupidi. Sarebbe fantastico avere un uomo che so non essere né l'uno né l'altro. Non si tratta soltanto di fare la sentinella, sai? Immagino che il tuo governo ti chiederà informazioni, c'è da aspettarselo. E noi ti useremo, appena ti sarai impratichito, e solo se sarai d'accordo, come ufficiale di collegamento, qui o in altri paesi. Però non ti chiederemo di darci informazioni. Sono stato chiaro, Teyeo? Non voglio che ci siano degli equivoci fra noi riguardo a quello che ti sto chiedendo».

«Lei sarebbe in grado…?» chiese cautamente Teyeo.

Vecchia Musica si mise a ridere e disse, «Sì, ho un aggancio nel vostro comando, un vecchio favore che mi devono. Ci penserai su?»

Teyeo rimase in silenzio per un minuto. Era quasi un anno che stava nella capitale, e le sue richieste di assunzione avevano solo incontrato evasività burocratiche e recentemente accenni al fatto che venivano considerate gesti insubordinati. «Accetto subito, se posso,» disse con una fredda deferenza.

L'Hainese lo guardò, passando dal sorriso a uno sguardo fisso e pensieroso. «Grazie,» disse. «Avrai notizie dal comando fra pochi giorni.»

Così Teyeo si rimise l'uniforme, tornò alla caserma cittadina e prestò servizio altri sette anni in territorio alieno. L'ambasciata ecumenica, per un accordo diplomatico, non faceva parte di Werel ma dell'Ekumene, un pezzo del pianeta che si era ormai staccato. Le guardie, fornite dal Voe Deo, erano protettive e decorative, una presenza altamente visibile nei prati dell'ambasciata con le loro uniformi bianche e dorate. Erano anche visibilmente armate, visto che le proteste contro la presenza aliena talvolta sfociavano nella violenza.

Rega Teyeo, all'inizio assegnato al comando di un plotone di queste guardie, presto fu trasferito a un compito diverso, quello di accompagnare i vari membri del personale dell'ambasciata per la città e in viaggio. Servì come guardia del corpo in bassa uniforme. L'ambasciata preferiva non usare la loro propria gente e le proprie armi, ma affidava la protezione al Voe Deo. Spesso gli veniva chiesto di fare da guida e interprete, e a volte da accompagnatore. Non gli piaceva quando visitatori di altri mondi dello spazio volevano essere amichevoli, chiedendogli notizie su di lui e invitandolo a bere con loro. Con disgusto perfettamente nascosto, con assoluta correttezza, rifiutava le offerte, faceva il suo lavoro e manteneva le distanze. Sapeva che era precisamente quello che l'ambasciata voleva da lui. La loro fiducia in lui gli dava una gelida soddisfazione.

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