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Il comando supremo di Werel continuava a ritenere assurdo che una massa di schiavi incapaci di maneggiare anche i più rudimentali tipi di arma potesse sconfiggere l'esercito del Voe Deo, un corpo di soldati disciplinati e allenati con un'infallibile rete di comunicazione, velivoli vari e tutti gli armamenti e strumenti permessi dal Patto della Convenzione deH'Ekumene. Una consistente fazione nel Voe Deo diede la colpa di quegli insuccessi a questa adesione sottomessa alle regole aliene. Al diavolo le convenzioni deH'Ekumene! Bombardate quei dannati straccioni e ricacciateli nel fango da cui sono usciti. Usate la bio-bomba. A che cosa serve, se no? Tirate fuori i nostri uomini da quel lurido pianeta e spazzatelo via. Ricominciamo da capo. Se non vinciamo la guerra su Yeowe, la prossima rivoluzione sarà proprio qui su Werel, nelle nostre città, nelle nostre case! Il governo traballante tenne duro contro questa pressione. Werel era sotto osservazione, e il Voe Deo voleva guidare il pianeta allo stato ecumenico. Le sconfitte venivano minimizzate, le perdite non erano elencate, gli uomini, i mezzi e le armi non venivano rimpiazzati. Alla fine del settimo anno di Teyeo, l'esercito su Yeowe era stato praticamente abbandonato dal suo governo. All'inizio dell'ottavo anno, quando all'Ekumene fu finalmente permesso di mandare inviati su Yeowe, il Voe Deo e gli altri paesi che avevano fornito truppe ausiliarie finalmente cominciarono a rispedire a casa i loro soldati.

Fu soltanto quando tornò su Werel che Teyeo venne a sapere della morte della moglie.

Tornò a casa, a Noeha. Lui e suo padre si salutarono con un abbraccio silenzioso, e sua madre pianse mentre l'abbracciava. Lui si inginocchiò di fronte a lei per scusarsi di averle arrecato più dolore di quanto lei potesse sopportare.

Quella notte restò sdraiato in una stanza fredda nella casa silenziosa, ascoltando il suo cuore che batteva come un lento tamburo. Non era infelice, il sollievo di essere in pace e la dolcezza di ritrovarsi a casa erano troppo grandi. Ma era una calma desolata, con un sottofondo di rabbia. Lui non era abituato alla rabbia e non era sicuro di quello che provava. Era quasi come se un fioco lampo di un rosso cupo gli stesse colorando ogni immagine nella mente. Mentre giaceva sdraiato, cercò di ricapitolare i sette anni su Werel, prima come pilota, poi nella guerra al suolo, e infine nella lunga ritirata, uccidere o essere uccisi. Perché erano stati lasciati là per essere cacciati e massacrati? Perché il governo non aveva mandato dei rinforzi? Erano domande che non valeva la pena di farsi allora, quindi neanche adesso. Avevano solo una risposta: facciamo quello che ci chiedono di fare e non protestiamo. Ho combattuto sempre e comunque, pensò, senza orgoglio alcuno. Una nuova consapevolezza lo colpì di netto, come un coltello, attraverso tutte le altre consapevolezze… E mentre combattevo lei moriva. Tutto uno spreco là su Yeowe, tutto uno spreco qua su Werel. Si sedette nell'oscurità, la fredda oscurità, silenziosa e dolce, della notte sulle colline. «Signore Iddio Kamye,» disse ad alta voce. «Aiutami, la mente mi tradisce.»

Durante il lungo congedo a casa rimase spesso seduto accanto alla madre. Lei voleva parlare di Emdu, e all'inizio lui si dovette sforzare di ascoltarla. Sarebbe stato così facile dimenticare la ragazza che aveva frequentato per diciassette giorni sette anni prima, se soltanto sua madre gli avesse permesso di dimenticare. Gradualmente imparò a prendere quello che lei gli voleva donare, la conoscenza di colei che era stata sua moglie. Sua madre voleva dividere tutto quello che poteva con lui, la gioia che aveva trovato in Emdu, la sua amata figlia e amica. Anche suo padre, ora in pensione, un uomo silenzioso e spento, era capace di dire, «Era la luce della casa». Lo stavano ringraziando per lei, gli stavano dicendo che non era stato uno spreco.

Ma cosa li aspettava? La vecchiaia, una casa vuota. Naturalmente non si lamentavano, e sembravano contenti del loro tranquillo e austero tran tran quotidiano. Ma per loro la continuità del passato col futuro era stata interrotta. «Dovrei risposarmi,» disse Teyeo alla madre. «Hai notato qualche ragazza?»

Stava piovendo, luce grigia attraverso le finestre bagnate, un ticchettio soffice sulle grondaie. Il viso di sua madre era indistinto mentre stava china a rammendare. «No,» disse lei. «Non proprio.» Lo guardò dopo una pausa e gli chiese, «Dove pensi che ti manderanno?»

«Non lo so.»

«Ora non siamo più in guerra,» disse sua madre, con la sua voce sottile e dolce.

«No,» fece Teyeo. «Non siamo più in guerra.»

«Ce ne sarà mai un'altra? Che ne pensi?»

Lui si alzò, camminò avanti e indietro per la stanza, poi sedette di nuovo sul ripiano coperto di cuscini, di fianco alla donna. Entrambi stavano seduti eretti, fermi, immobili tranne che per il movimento lieve delle mani di lei che cuciva, mentre le mani di Teyeo erano appoggiate una sull'altra, come gli avevano insegnato da quando aveva due anni.

«Non lo so,» disse. «È strano. È come se non ci fosse mai stata una guerra, come se non fossimo mai stati su Yeowe… la colonia, le rivolte, tutto quanto. Non ne parlano. Non è successo. Noi non combattiamo guerre. Questa è una nuova èra, dicono spesso sulla rete, è l'età della pace, della fratellanza fra le stelle. Così, siamo in pace con Yeowe adesso, siamo in pace con il Gatay e il Bambur e con i Quaranta Stati? Siamo in pace con le nostre proprietà? Non mi sembra abbia senso. Non so quello che intendono, non so dove andrò a stare.» Anche la sua voce era ferma e tranquilla.

«Non penso ti fermerai qui, non ancora,» disse lei.

Dopo un po' lui disse, «Pensavo… ai bambini».

«Naturalmente, quando sarà il momento.» Gli sorrise. «Tu non riuscivi mai a stare fermo per più di mezz'ora… Aspetta, aspetta e vedrai.»

Sua madre aveva ragione, naturalmente, eppure quello che lui aveva visto sulla rete e in città sfidava la sua pazienza e il suo orgoglio. Ormai sembrava che fare il soldato fosse una disgrazia. I comunicati del governo, i notiziari, le analisi che costantemente definivano l'esercito e anche la classe dei veot come fossili di un lontano passato. Costavano molto ed erano inutili, erano l'ostacolo principale all'ammissione del Voe Deo nell'Ekumene. La sua stessa inutilità gli fu chiara quando, alla sua richiesta di assegnazione, risposero con un'estensione infinita del suo congedo a mezza paga. All'età di trentadue anni sembrava che gli dicessero che era ormai superato.

Prospettò di nuovo a sua madre la decisione di accettare quella situazione, di rassegnarsi e cercare una moglie. «Parla con tuo padre,» gli suggerì la donna, e lui così fece. Suo padre gli disse, «Naturalmente il tuo aiuto è benvenuto, ma io riesco a far andare avanti la fattoria abbastanza bene da solo per un altro po'. Tua madre pensa che faresti meglio ad andare alla capitale, presso il comando. Non possono ignorarti se sei là. Dopo tutto quel che è successo, dopo sette anni di combattimento… e con il tuo curriculum…»

Teyeo sapeva che quello non valeva più niente. Ma era chiaro che alla fattoria non avevano bisogno di lui, e probabilmente riusciva solo a dare sui nervi a suo padre con le sue idee di cambiamenti, e di questo e di quello. Avevano ragione, doveva andare nella capitale e scoprire da solo che parte poteva giocare nel nuovo mondo di pace.

I suoi primi sei mesi laggiù furono duri. Non conosceva nessuno al comando o in caserma, la sua generazione era morta o invalida, oppure congedata a mezza paga. Gli ufficiali più giovani, che non erano stati su Yeowe, gli sembravano una combriccola abbottonata, sempre impegnata a discutere di soldi e di politica. Piccoli affaristi, li giudicava in privato. Sapeva che avevano paura di lui, del suo curriculum, della sua reputazione. Che lo volesse o no, Teyeo ricordava loro che c'era stata una guerra che Werel aveva combattuto e perso, una guerra civile, la loro razza che combatteva contro se stessa, classe contro classe. Quelli volevano archiviare il caso come una baruffa senza significato su un altro mondo, che non aveva niente a che vedere con loro.

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