Fino a questa settimana c’era stata una continuità sostanziale, una coerenza, tra tutte le esistenze scaturite dai suoi sogni. Era sempre stato un disegnatore, aveva sempre abitato in Corbett Avenue. Anche nella vita che era terminata sui gradini di cemento di una casa bruciata, in una città morente di un mondo in rovina, anche in quella vita, fino al momento in cui non c’erano più stati lavori e non c’erano più state case, questi elementi di coerenza si erano mantenuti. E per tutti i susseguenti sogni (o vite), altre cose più importanti si erano mantenute. Era migliorato un poco il clima locale, ma non molto, e l’Effetto Serra era rimasto: un’eredità permanente della metà del secolo precedente. La geografia rimaneva perfettamente stabile: i continenti erano sempre al loro posto. E così i confini nazionali, la natura umana eccetera. Se Haber gli aveva ordinato di sognare una razza umana più nobile, aveva mancato lo scopo.
Ma Haber stava imparando a controllare meglio i suoi sogni. Le ultime due sedute avevano cambiato radicalmente la realtà. Orr aveva sempre il suo appartamento in Corbett Avenue, le stesse tre stanze, con il debole aroma di marijuana del custode; ma lavorava come burocrate in un grande edificio in centro, e il centro della città era cambiato fino a essere irriconoscibile. Era impressionante: pieno di grattacieli come quando non c’era stato crollo nella popolazione, ma i grattacieli parevano molto più durevoli, più belli. Il mondo veniva diretto in modo assai diverso, adesso.
Stranamente, Albert M. Merdle era ancora presidente degli Stati Uniti. Come la forma dei continenti, quell’uomo pareva immutabile. Ma gli Stati Uniti non erano più la potenza di un tempo, né lo erano le altre singole nazioni.
Portland era adesso la sede del Centro di Pianificazione Mondiale, principale organismo della sovranazionale Federazione dei Popoli. Portland, come dicevano le cartoline illustrate, era la Capitale del Pianeta. Aveva una popolazione di due milioni di abitanti. La zona del centro era piena dei giganteschi edifici del Centro di Pianificazione Mondiale: tutti costruiti meno di dodici anni prima, tutti pianificati con cura, circondati da parchi verdeggianti e da corsi alberati. Migliaia di persone, in prevalenza impiegati della Federazione o del Centro, riempivano quei corsi; comitive di turisti di Ulan Bator o di Santiago del Cile passavano in fretta, con il naso puntato in aria, ascoltando le guide turistiche mediante l’auricolare. Era uno spettacolo vivace e imponente: i grandi, bellissimi edifici, i prati tenuti con cura, la folla di persone ben vestite. Aveva, per George Orr, un aspetto molto futuristico.
Non riuscì a trovare il ristorante di Dave, naturalmente. Non riuscì neppure a trovare la Ankeny Street. La ricordava in modo talmente vivido, da tante altre vite, che si rifiutò di accettare, finché non vi giunse, quanto gli diceva la sua attuale memoria: l’assicurazione che Ankeny Street non c’era affatto. Al suo posto s’ergeva fino alle nuvole il grattacielo del SURA, tra aiole e rododendri. Non si prese neppure il fastidio di cercare il Pendleton Building: c’era ancora Morrison Street (un ampio corso, con in centro una fila di aranci piantati di fresco), ma non c’erano edifici neo-Inca lungo di esso, né c’erano mai stati.
Non riusciva neppure a ricordare con esattezza il nome dell’ufficio legale in cui lavorava Heather: si chiamava Forman, Esserbeck e Rutt, o Forman, Esserbeck, Goodhue e Rutt? Andò in una cabina telefonica e cercò nelle pagine gialle. Non c’era elencato nessuno studio con quel nome, ma c’era un tale P. Esserbeck, avvocato. Telefonò a quel numero e chiese, ma laggiù non lavorava nessuna Miss Lelache. Alla fine si fece coraggio e cercò nella guida alfabetica. Nella guida, il nome Lelache non compariva.
Forse esisteva ancora, ma con un cognome diverso, pensò Orr. Sua madre poteva avere rinunciato al nome del marito quando era partito per l’Africa. Oppure, Heather poteva avere conservato il nome del marito quando era rimasta vedova. Non aveva la minima idea di quale potesse essere il nome del marito. Anzi, forse non l’aveva mai portato; molte donne, oggigiorno, non cambiavano nome quando si sposavano, perché ritenevano che la cosa fosse un residuo di epoche di schiavitù femminile. Ma erano ipotesi senza valore. Forse non c’era una Heather Lelache: forse — questa volta — non era mai nata.
Dopo avere contemplato questa ipotesi, Orr contemplò un’altra possibilità. Se mi passasse davanti in questo momento, cercando di me, si disse, riuscirei a riconoscerla?
Heather era di colore scuro. Un colore deciso e scuro, come ambra del Baltico, o come una tazza di tè di Ceylon, carica. Ma per strada non passava alcuna persona di pelle scura. Nessuno che avesse la pelle nera, o bianca, gialla, rossa. Venivano da tutte le parti del mondo, per lavorare al Centro di Pianificazione Mondiale o per visitarlo: Thailandia, Argentina, Ghana, Cina, Irlanda, Tasmania, Libano, Etiopia, Vietnam, Honduras, Lichtenstein. Ma tutti indossavano gli stessi abiti: calzoni, tunica, mantellina da pioggia; e sotto gli abiti erano tutti dello stesso colore. Erano grigi.
Quando era avvenuta la cosa, il dottor Haber ne era rimasto deliziato. Era successo sabato scorso, durante la prima seduta dopo una settimana d’interruzione. Era andato a guardarsi nello specchio del bagno privato ed era rimasto per cinque minuti a ridacchiare e ad ammirarsi; nello stesso modo aveva fissato Orr. — Questa volta, finalmente, lei ha scelto la via più economica, George! Santo Dio, comincio a credere che il suo cervello si sia deciso a collaborare con me! Sa cosa le ho suggerito di sognare?
Infatti, adesso, Haber parlava con Orr in tutta libertà e gli spiegava esaurientemente cosa faceva e cosa intendeva fare con i suoi sogni. Non che la cosa servisse a molto.
Orr si era fissato le mani color grigio chiaro, le unghie corte e grige. — Credo che mi abbia suggerito di abolire i problemi di colore della pelle. Più nessun problema razziale.
— Esattamente. E, certo, pensavo a una soluzione di natura politica e morale. Invece, il suo processo primario ha preso l’abituale scorciatoia, che di solito riesce a combinare un grande pasticcio, ma che questa volta è andata alla radice. Il cambiamento è stato biologico e assoluto. Non c’è mai stato un problema razziale! Lei e io siamo gli unici due uomini sulla terra, George, che sappiamo che sia mai esistito un problema razziale! Capisce la cosa? Non ci sono mai stati paria in India… nessuno è mai stato linciato in Alabama… nessuno è mai stato massacrato a Johannesburg! La guerra è un problema che abbiamo lasciato dietro di noi con la crescita, e la razza è un problema che non abbiamo mai avuto! Nessuno, in tutta la storia della specie umana, ha mai sofferto per il colore della pelle. Lei sta imparando, George! A dispetto di se stesso, lei sarà il più grande benefattore che l’umanità abbia avuto. Tutto il tempo e l’energia sprecati dagli uomini per trovare soluzioni religiose alla sofferenza, e poi arriva lei e fa fare a Buddha e Cristo e tutti gli altri la figura dei fachiri che erano. Essi cercarono di fuggire dal male, ma noi lo sradichiamo… lo eliminiamo, un pezzo dopo l’altro.
I discorsi trionfalistici di Haber mettevano sempre nell’imbarazzo Orr: non lo ascoltò. Invece, cercò nella propria memoria e scoprì che nessun discorso era mai stato tenuto su un campo di battaglia a Gettysburg, e che la storia non ricordava nessuno chiamato Martin Luther King. Tuttavia questo genere di cose pareva un prezzo accettabile per la completa abolizione retroattiva dei pregiudizi razziali: Orr non fece commenti.
Però il non avere mai conosciuto una donna dalla pelle scura e dai capelli neri ricciuti, tagliati molto corti, per far risaltare la linea elegante della sua nuca come la linea di un vaso di bronzo: no, questo era sbagliato! Era intollerabile! Che ogni persona sulla terra avesse la pelle del colore di un campo di battaglia: no!