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– No – confutò Miles, e si batté un colpetto sulla fronte, aggiungendo: – Questo è il vero potere: sono io a possedere il negozio in cui viene venduto e con esso posso controllare questi. – Nel parlare batté un colpetto sul pugno serrato della donna, poi continuò: – Gli uomini possono muovere le montagne, ma le idee controllano gli uomini e le menti possono essere raggiunte attraverso i corpi… che altro scopo avrebbe tutto questo se non quello di raggiungere la vostra mente attraverso il vostro corpo? Si tratta però di un potere che scorre nei due sensi e la marea contraria è quella più forte.

«Quando avete permesso ai Cetagandani di ridurre il vostro potere soltanto a questi - insistette, stringendo la mano intorno al bicipite di Tris… fu come stringere una roccia rivestita di velluto e la donna si tese, infuriata da quella libertà… – avete permesso loro di ridurvi alla vostra parte più debole, e adesso stanno vincendo.

– Vincono comunque loro – scattò Tris, liberandosi con una scrollata dalla sua mano, e Miles trasse un respiro di sollievo per il fatto che non avesse deciso di rompergli un braccio per buona misura. – Nulla di ciò che facciamo all'interno di questo cerchio produrrà mai nessun drastico cambiamento: qualsiasi cosa tentiamo saremo sempre prigionieri. Loro ci possono togliere il cibo, o l'aria, o serrare la cupola fino a ridurci in gelatina, e il tempo gioca a loro favore. Se ci scanneremo a vicenda per restaurare l'ordine… supponendo che sia questo ciò che hai in mente… loro dovranno soltanto aspettare che esso si dissolva di nuovo. Siamo sconfitti, siamo prigionieri, non c'è più nessuno là fuori e noi resteremo qui per sempre. È meglio che cominci ad abituarti all'idea.

– È una canzone che ho già sentito in passato – ribatté Miles. – Usa la testa: se avessero intenzione di tenervi qui per sempre, vi avrebbero inceneriti fin dall'inizio e si sarebbero risparmiati le considerevoli spese derivanti dalla gestione di questo campo. No, è la vostra mente che vogliono: siete tutti qui perché eravate i migliori di Marilac, i più duri e forti combattenti, i più pericolosi avversari, quelli a cui chiunque volesse ancora resistere all'occupazione avrebbe guardato come a potenziali capi. Il piano dei Cetagandani è quello di spezzarvi e poi di restituirvi al vostro mondo come piccoli centri d'infezione inoculati in esso, perché consigliate la resa al vostro stesso popolo.

«Quando questo verrà ucciso – proseguì, sfiorando appena la fronte della donna e poi i suoi bicipiti, – allora i Cetagandani non avranno più nulla da temere da questi e voi sarete tutti liberi, su un mondo i cui confini vi intrappoleranno proprio come questa cupola e in maniera altrettanto inesorabile. La guerra non è finita, e voi siete qui perché i Cetagandani stanno ancora aspettando la resa del Nucleo Fallow.

Per un momento pensò che la donna avrebbe potuto assassinarlo, strangolandolo là dove si trovava, perché di certo doveva preferire farlo a pezzi che lasciarsi vedere da lui mentre piangeva.

Poi Tris ritrovò il suo amaro guscio protettivo di tensione con una scrollata del capo e un profondo respiro.

– Se quanto affermi è vero, allora seguirti ci allontanerà maggiormente dalla libertà, invece di portarci più vicini ad essa.

Dannazione, quella donna aveva una mente logica al punto che non aveva bisogno di ricorrere ai suoi muscoli per ucciderlo… le sarebbe bastato applicare la sua logica letale, se lui non avesse trovato un modo per guidarla senza parere. Decise di ricorrere a questo sistema.

– Esiste una sottile differenza fra essere un prigioniero ed essere uno schiavo. Io non confondo nessuna delle due condizioni con l'essere libero e non dovreste farlo neppure voi.

Tris tacque per un lungo momento, fissandolo attraverso le palpebre socchiuse e tormentandosi inconsciamente il labbro inferiore.

– Sei un tipo strano – affermò infine. – Perché hai detto «voi» e non «noi»?

Miles scrollò le spalle con noncuranza mentre riesaminava mentalmente le proprie parole… dannazione, la donna aveva ragione… era andato un po' troppo vicino a tradirsi, ma poteva ancora trasformare un errore in un vantaggio.

– Ti sembro forse un esemplare del fiore delle truppe di Marilac? Io sono un estraneo, intrappolato in un mondo che non sono stato io a creare. Un viaggiatore… un pellegrino di passaggio per caso. Chiedilo a Suegar.

– Quel folle – sbuffò Tris.

Non aveva abboccato all'esca. Sterco di topo, come avrebbe detto Elli… sentiva la mancanza di Elli. Non importava, ci avrebbe riprovato in seguito.

– Non sottovalutare Suegar: ha un messaggio per voi che io ho trovato affascinante.

– L'ho sentito anch'io e l'ho trovato irritante… Allora, cos'è che vuoi ricavare da questo? E non mi rispondere «niente» perché non ti crederei. Francamente, la mia idea è che stia mirando tu stesso ad avere il comando del campo, ed io non sono disposta ad essere il tuo scalino in qualche piano per costruire un impero.

Adesso Tris stava pensando in fretta e in maniera costruttiva, seguendo ragionamenti diversi dalla semplice intenzione di farlo riportare in pezzi ai confini del suo campo, e Miles cominciava dal canto suo a riscaldarsi sull'argomento…

– Io desidero soltanto essere il tuo consigliere spirituale: non voglio il comando, non potrei gestirlo. Mi basta consigliarti.

Nel termine «consigliere» dovette esserci qualcosa che fece scattare antiche associazioni nella mente della donna, perché i suoi occhi si sgranarono di colpo e le sue pupille si dilatarono mentre lei si protendeva in avanti e seguiva con un dito le lievi intaccature presenti sul volto di Miles, accanto al naso… intaccature lasciate da alcuni controlli guida presenti all'interno dell'elmo dell'armatura spaziale. Dopo un momento tornò a raddrizzarsi e sfiorò con due dita quegli stessi segni permanenti che si trovavano sul suo volto.

– Che qualifica hai detto di aver avuto, prima?

– Ero un impiegato dell'ufficio di reclutamento – rispose Miles, impassibile.

– Capisco…

E se ciò che Tris capiva era l'assurdità di qualcuno che sosteneva di essere stato un impiegato delle retrovie pur avendo indossato l'armatura da combattimento abbastanza spesso da portarne le stigmate, allora era fatta. Forse.

La donna tornò a sedersi su un lato della propria stuoia e indicò a Miles di prendere posto di fronte a lei.

– Siediti, cappellano – disse, – e continua a parlare.

Suegar stava effettivamente dormendo, seduto a gambe incrociate e russando un poco, quando Miles finalmente lo raggiunse e lo svegliò con un colpetto sulla spalla.

– Svegliati, Suegar – chiamò. – Siamo a casa.

– Dio, quanto sento la mancanza del caffè – borbottò lui, aprendo gli occhi con un verso sbuffante, poi fissò Miles con incredulità. – Sei ancora tutto d'un pezzo?

– Sì, ma c'è mancato poco che facessi una triste fine. Senti, a proposito di quella faccenda dei vestiti persi nel fiume e via dicendo… adesso che ci siamo trovati dobbiamo per forza continuare a girare nudi? Non credi che la profezia sia stata sufficientemente adempiuta?

– Eh?

– Adesso ci possiamo vestire? – ripeté Miles, con pazienza.

– Ecco… non lo so. Suppongo che se fossimo destinati ad avere degli indumenti essi ci verrebbero dati…

– Là – indicò Miles. – Ce li hanno dati.

Beatrice era ferma a qualche metro di distanza con un atteggiamento che denotava annoiata esasperazione e con un fagotto di stoffa grigia sotto un braccio.

– Voi due svitati volete questa roba oppure no? Io devo tornare indietro.

– Le hai convinte a darti dei vestiti? – sussurrò Suegar, stupefatto.

– A darceli, Suegar, a darceli – lo corresse Miles, poi rivolse un cenno a Beatrice e aggiunse: – Credo che sia tutto a posto.

Lei gli gettò contro il fagotto, sbuffò e si allontanò a grandi passi.

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