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— Capisco che in una sorveglianza così scoperta tu veda qualcosa di ironico, e che stare al gioco ti diverta. Forse dovremmo invitare quei due a colazione, o qualcosa del genere. Ormai devono conoscermi tanto bene che anche a me piacerebbe conoscere loro. — Ma c’erano altri agenti di Negri per cui quei ridicoli pescatori fungevano solo da facciata? C’erano microspie nelle camere da letto, o nel bagno, o microfoni direzionali puntati su di loro anche in quel momento?

Aral aveva sogghignato, scuotendo la testa. — Non si fiderebbero. Possono mangiare e bere soltanto ciò che si portano dietro.

— Santo cielo, paranoici fino a questo punto?

— A volte è necessario. È un lavoro pericoloso. Non li invidio.

— Stare lì seduti con una lenza in mano può essere visto come una piacevole vacanza. C’è gente che pagherebbe per venire qui ad abbronzarsi.

— Credo che non siano soli. Ma anche quelli di loro che stanno seduti al sole non si rilassano. C’è il rischio che dopo un anno di questo andazzo debbano entrare in azione senza preavviso, ed essere pronti a giocarsi la vita in pochi istanti. Tieni presente che hanno anche ordine d’intervenire in mia difesa, se ci fosse un attacco da parte di qualche fazione ostile.

— Come puoi esserne certo?

— Negri non tollera interventi esterni sulle cose che tiene sotto controllo. Lo conosco bene.

— Ancora non capisco perché qualcuno dovrebbe farti del male. Voglio dire, tu sei un ufficiale in ritiro. Devono essercene centinaia come te, anche fra i Vor di alto rango.

— Mmh. — Aral aveva tenuto lo sguardo sulla barca lontana, senza rispondere. Poi era balzato in piedi. — Vieni. Andiamo a dare la lieta novella a mio padre.

Be’, ora quel lato della loro personalità lo capiva. Il Conte Piotr la prese sottobraccio e la portò con sé in sala da pranzo, dove gli fu servita la cena. Durante il pasto le chiese un rapporto sulle ultime notizie ostetriche, e insisté per farle mangiare le fragole fresche che aveva portato con sé dalla campagna. Lei lo accontentò docilmente.

Quando il Conte ebbe cenato, mentre Cordelia lo accompagnava a braccetto nel salotto del pianterreno, udirono delle voci attraverso la porta della biblioteca. Le parole non si distinguevano, ma il tono era secco e iroso. Cordelia si fermò, col cuore in gola.

Quasi subito la discussione — il litigio? — cessò, la porta si aprì di scatto e un uomo uscì. Dallo spiraglio Cordelia poté vedere il Conte Vortala e Aral, all’interno. Aral era rigido, gli occhi scintillanti. Vortala, un anziano politicante con una testa calva cinta da una frangia di capelli bianchi, lo fronteggiava rosso in faccia; poi rivolse un cenno del capo all’uomo dall’espressione blanda in attesa dietro di lui e questi lo precedette alla porta.

Il visitatore uscito per primo era basso e tarchiato, sulla quarantina, bruno di capelli e vestito con tutta l’eleganza che poteva sfoggiare un membro della classe nobiliare. Il suo volto era sormontato da una fronte ampia, ricurva, e sfoggiava due voluminosi mustacchi sotto un robusto naso a becco. Cordelia non lo avrebbe definito né bello né brutto, ma nei suoi lineamenti c’era una forza di volontà senza dubbio molto mascolina. In quel momento era cupo, freddamente accigliato. Accorgendosi che nell’atrio c’era il Conte Piotr si volse e gli elargì un contegnoso quanto misurato cenno del capo. — Vorkosigan… — lo salutò, lasciando che il riluttante «buona sera» aleggiasse non detto nell’aria.

Il vecchio Conte rispose con un inchino altrettanto millimetrico, inarcando un sopracciglio. — Vordarian… — Nel suo tono c’era una muta domanda.

Vordarian aveva i denti stretti, e quando si poggiò un pugno su un fianco parve voler incarnare lo sdegno della giustizia oltraggiata. — Ricordi queste mie parole, signore — disse. — Lei ed io, e ogni altro uomo d’onore di Barrayar, vivremo per rimpiangere ciò che accadrà domani.

Le zampe di gallina ai lati degli occhi di Piotr si accentuarono allorché strinse le palpebre. — Mio figlio non tradirà gli obblighi del suo rango, signore.

— Lei preferisce non vedere. Capisco. — Lo sguardo dell’uomo si spostò su Cordelia, non abbastanza a lungo perché la sua freddezza fosse insultante ma molto vicino ad esserlo. In uno sforzo di cortesia ridotto al minimo salutò con un brevissimo cenno del capo e se ne andò a passi svelti, seguito dall’altro uomo.

Aral e Vortala uscirono dalla biblioteca. Aral fece qualche passo verso la porta a vetri del salotto e guardò nel buio al di là di essa. O forse si stava soltanto specchiando nel riflesso. Vortala gli toccò una manica.

— Lo lasci andare, Vorkosigan — disse. — Possiamo sopravvivere senza il suo voto, domani.

— Non ho certo intenzione di corrergli dietro per strada — sbottò Aral. — Ciò malgrado… la prossima volta risparmi il suo acume per chi ha abbastanza cervello da apprezzarlo, eh?

— Chi era quel tipo così arrabbiato? — chiese Cordelia in tono discorsivo, cercando di alleggerire l’atmosfera.

— Il Conte Vidal Vordarian. — Aral distolse lo sguardo dal pannello di vetro e voltandosi riuscì a sorriderle. — Il Commodoro Conte Vordarian. Mi è capitato di lavorare spesso con lui, quando ero al Comando Strategico. Ora è l’uomo di punta di quello che potresti chiamare il prossimo-e-principale partito conservatore di Barrayar. Non qualcosa da ritorno all’Era dell’Isolamento ma, diciamo, il vessillo di chi resta convinto che ogni cambiamento è sempre un cambiamento in peggio. — Nel dir questo guardò suo padre.

— Il suo nome è stato fatto di frequente, quando si speculava su chi avrebbe avuto la Reggenza — spiegò Vortala. — Ciò che temo è che fosse lui a incoraggiare quell’ipotesi. Non c’è dubbio che abbia fatto di tutto per ingraziarsi Kareen.

— Avrebbe dovuto ingraziarsi Ezar — commentò seccamente Aral. — Be’, forse l’aria della notte raffredderà i suoi umori. Provi ancora a saggiarlo domattina, Vortala… magari facendogli qualche concessione, eh?

— Per raffreddare l’ego di Vordarian dovrei portarlo sulla banchisa artica — disse Vortala. — Trascorre troppo dannato tempo a contemplare l’albero genealogico della sua famiglia.

Aral annuì, con un sogghigno. — Non è il solo.

— Ma è il solo che lo sente rispondere, quando ci parla — borbottò Vortala.

CAPITOLO TERZO

Il giorno seguente Cordelia si vide assegnare una scorta alla seduta del Consiglio Riunito nella persona del capitano Lord Padma Xav Vorpatril. L’uomo, scoprì, era non soltanto un membro del nuovo staff di suo marito, ma anche un cugino di primo grado, figlio della sorella più giovane della defunta madre di Aral. Lord Vorpatril era, con l’eccezione del Conte Piotr, l’unico parente stretto dei Vorkosigan che Cordelia avesse incontrato fin’allora. Non che i parenti di Aral la stessero evitando, come lei avrebbe temuto; semplicemente non ne aveva molti. Lui e Vorpatril erano i soli discendenti rimasti della precedente generazione, della quale il Conte Piotr stesso era l’ultimo rappresentante ancora in vita. Vorpatril era un uomo corpulento di carattere ciarliero, sulla trentina, a cui l’uniforme verde conferiva un aspetto baldanzoso. Cordelia venne subito a sapere varie cose di lui, e fra l’altro che era stato uno degli ufficiali più giovani dello staff di Vorkosigan, al primo comando di lui, negli anni che avevano preceduto i suoi successi militari nella campagna di Komarr e le successive rovinose conseguenze politiche.

Con Vorpatril a destra e Droushnakovi a sinistra, Cordelia sedette nella galleria riccamente decorata che sovrastava la camera del Consiglio. Il vasto locale che vide più in basso era a pavimento orizzontale, senza gradinate, uno stile ancor più appesantito dalla tappezzeria in massicci pannelli di legno scuro. In legno erano anche i molti tavoli e scranni disposti lungo il perimetro. Dalle grandi finestre policrome della parete volta a est entravano i raggi del sole mattutino. La cerimonia d’apertura aveva già avuto inizio, con puntiglioso rispetto per le formalità protocollari.

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