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La bufera era cessata. La pioggia durata tutta la notte aveva sciolto il manto di neve che ricopriva la terra scura, e ogni tanto gli ultimi radi spruzzi di neve cadevano su tutto quel bagnato. Falk salì in cima alla scala, con la luce del giorno negli occhi, l'aria fresca che gli alitava sul viso, gli entrava nei polmoni. Si sentì come una talpa che esce dal letargo, un topo che vien fuori dal suo buco. — Andiamo — gridò a Estrel e ridiscese nella caverna per aiutarla a riporre tutto prima di andarsene.

Le chiese se sapeva dove si trovassero i suoi, e lei rispose. — Probabilmente molto più a ovest, ormai.

— Sapevano che stavi attraversando da sola il territorio dei Basnasska?

— Da sola? Soltanto nelle favole, al Tempo delle Città, le donne se ne vanno sempre in giro da sole. C'era un uomo con me, un uomo forte ma lo hanno ucciso i Basnasska. — Il suo volto delicato era fermo, immoto, senza espressione.

Solo allora Falk cominciò a spiegarsi la strana passività di quella donna, l'assenza di reazioni che era parsa quasi un tradimento dei suoi sentimenti più vigorosi. Aveva dovuto sopportare molto e ora non aveva più reazioni. Chi era il compagno che i Basnasska le avevano ucciso? Non era affare di Falk chiederlo, a meno che non fosse lei a dirlo. Ma gli era scomparsa la rabbia e da allora trattò Estrel amichevolmente e con tenerezza.

— Posso aiutarti a trovare i tuoi?

Gli rispose affabilmente: — Sei molto gentile, Falk. Ma saranno lontanissimi e non posso setacciare tutte le Pianure Occidentali…

L'intonazione assente e passiva della sua voce lo commosse. — Vieni a ovest con me, allora, finché non avrai notizie di loro. Sai che strada faccio.

Gli era ancora difficile pronunciare il nome di Es Toch, che nella lingua della Foresta era un'oscenità impronunciabile. Non riusciva ad abituarsi al modo in cui Estrel parlava della città Shing, come un posto tra tanti altri.

Lei esitava, ma lui insistette e infine accettò di accompagnarlo. Gli fece piacere sia per il desiderio e la compassione che provava per lei, sia per la solitudine che aveva conosciuto sino allora e non voleva più provare. Si incamminarono assieme sotto un sole freddo e ventoso. Il cuore di Falk era leggero perché era all'aperto, libero, in cammino. Ora non gli interessava lo scopo del viaggio. Il giorno era splendente, sul loro capo trascorrevano grosse nuvole bianche; procedere era lo scopo, in sé. E così camminava, con quella donna gentile, docile e tenace che gli stava al fianco.

5

Attraversarono la Grande Pianura, a piedi, cosa più facile a dirsi che a farsi. I giorni erano più lunghi delle notti e il venticello primaverile diventava sempre più dolce e tiepido. Infine, da lontano, scorsero la loro meta: la barriera, ancora indistinta per la neve e la distanza, la muraglia che attraversa il continente in tutta la sua lunghezza. Falk rimase immobile, osservando le Montagne.

— Lassù sui monti c'è Es Toch — disse Estrel, guardando con lui. — Spero che lì ciascuno di noi trovi quello che cerca.

— Lo temo più spesso che non lo speri… Eppure sono contento di essere in vista dei monti.

— Dobbiamo muoverci da qui.

— Chiederò al Principe se ci lascia andare domani. Ma prima di lasciarla si girò a guardare verso est, verso il deserto che si estendeva oltre i giardini del Principe, come guardasse indietro a tutta la strada che avevano percorso assieme.

Ora sapeva ancor meglio che mondo misterioso e vuoto abitassero gli uomini in quel periodo della loro storia. Per giorni e giorni egli e la sua compagna avevano marciato senza mai vedere tracce di presenze umane.

All'inizio del loro viaggio procedevano cauti avanzando nel territorio dei Samsit e delle altre popolazioni di Cacciatori di Bestiame, che Estrel definiva predatori quanto i Basnasska. Poi si inoltrarono in una zona più arida e dovettero per forza ripercorrere vie già utilizzate per trovare l'acqua; eppure quando vi erano tracce di persone passate da poco o di abitanti dei luoghi, Estrel stava all'erta e a volte cambiava addirittura direzione per evitare anche il rischio di essere visti. Aveva una conoscenza generica, ma a volte anche specifica della vasta zona che stava attraversando. A volte, quando il terreno diventava impraticabile e non sapevano dove dirigersi, diceva: — Aspetta l'alba — e scostandosi un po' pregava per un attimo il suo amuleto, poi tornava, si avvolgeva nel sacco a pelo e dormiva tranquilla. La strada che sceglieva il mattino dopo risultava sempre giusta. — Istinto di Vagabonda — sosteneva quando Falk ammirava la sua intuizione. — Comunque, fintanto che ci teniamo vicini all'acqua e lontano dagli esseri umani, siamo sicuri.

Ma una volta, a molti giorni di cammino dalla caverna, seguendo l'ansa di uno stretto fiumiciattolo incassato in una vallata, si imbatterono così all'improvviso in un villaggio che le guardie locali li circondarono prima che potessero correr via. Una pioggia battente aveva nascosto qualsiasi segno o suono di quel luogo prima che vi giungessero. Ma gli stranieri non usarono loro violenza, anzi, si dimostrarono disposti a ospitarli per un giorno o due, e Falk ne fu contento perché camminare e accamparsi nella pioggia costituiva un grande disagio.

Gli uomini di questa tribù o popolo si chiamavano gli Apicultori. Gente strana, progredita e armata di laser, vestita tutta allo stesso modo, uomini e donne: lunghe e pesanti camicie gialle con una croce marrone disegnata sul petto; si dimostrarono ospitali quanto incapaci di comunicare. Ai viaggiatori offrirono letti nei loro baraccamenti — costruzioni lunghe e basse, poco solide, di legno e argilla — e cibo in quantità al desco comune; ma parlarono così poco sia agli stranieri sia tra loro, da sembrare quasi una comunità di muti. — Si sono votati al silenzio. Fanno giuramenti e riti, non si sa per quale ragione — disse Estrel con il calmo e olimpico disdegno che pareva provare per quasi tutte le specie di uomini. I Vagabondi devono essere orgogliosi, pensò Falk. Ma gli Apicultori superarono le sue aspettative; a lei non rivolsero la parola nemmeno una volta. Parlavano con Falk. — La tua femmina vuole un paio delle nostre scarpe? — quasi fosse un cavallo ed essi avessero notato che aveva bisogno di scarpe. Le loro donne avevano nomi maschili, si vestivano come uomini e ci si rivolgeva a loro come a uomini. Ragazze solenni, con occhi chiari e labbra silenti, che vivevano e lavoravano come uomini in mezzo a giovani e uomini non meno solenni e sobri. Pochi Apicultori avevano superato la quarantina e nessuno era sotto i dodici. Era una strana comunità, come un esercito accampato in baracche invernali in mezzo alla più profonda solitudine, nella tregua di qualche inspiegabile guerra; strani, tristi, ammirevoli. L'ordine e la frugalità della loro vita fecero ricordare a Falk la sua casa nella Foresta, e il senso di una dedizione nascosta ma indefettibile, integrale, gli riuscì stranamente riposante. Avevano una tale sicurezza, questi bei guerrieri asessuati, nonostante non dicessero mai allo straniero di che fossero così sicuri.

— Per la procreazione provvedono catturando donne selvagge, le usano come scrofe e allevano in gruppo il frutto di questi accoppiamenti. Adorano qualcosa che viene chiamato il Dio Morto e tentano di placarlo con sacrifici, sacrifici umani. Non rappresentano nulla, e non le vestigia di qualche antica superstizione — disse Estrel quando Falk spese qualche parola in favore degli Apicultori. A causa della sua sottommissione, a volte correva il rischio di essere trattata come una creatura di specie inferiore. L'arroganza, in una persona così passiva, era toccante e a un tempo divertente per Falk che a volte la stuzzicava un poco. — Be', anche te ti ho vista alla sera borbottare al tuo amuleto. Le religioni sono varie…

— Certo, — rispose, ma con un tono più dolce.

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