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Si strinse nelle spalle, sempre con quel sorriso debole, riservato. — Compagni di prigionia… Si dice che i Vagabondi siano bravi per le astuzie e le dissimulazioni. Non li hai sentiti chiamarmi la Volpe? Fammi vedere le tue ferite. Mi son portata dietro la borsa degli impiastri.

— I Vagabondi sono anche dei bravi guaritori?

— Non ci mancano certe doti.

— E sai l'Antica Lingua; non hai dimenticato i vecchi modi dell'uomo, come i Basnasska.

— Sì, sappiamo tutti il Galaktika. Guarda qui, il lobo del tuo orecchio si è congelato, perché ieri ti sei tolto il laccio del cappuccio, per darmelo da tenere.

— Non riesco a vederlo — replicò Falk con tono affabile, lasciandosi visitare. — Di solito non ne ho bisogno.

Mentre gli medicava la ferita ancora aperta della tempia sinistra, gli gettò due o tre occhiate al viso, infine si azzardò a chiedergli: — Sicuramente non ci sono molti Forestali che hanno gli occhi come te.

— Nessuno.

Ovviamente la regola ebbe il sopravvento. Non chiese nulla più, mentre lui, risoluto a non fidarsi di nessuno, non aggiunse altro. Ma la curiosità fu più forte, e alla fine fu lui stesso a chiedere: — Non ti spaventano, vero, i miei occhi da gatto?

— No — rispose lei nel suo modo calmo. — C'è stata una sola volta che mi hai fatto paura. Quando hai sparato, così fulmineo.

— Avrebbe dato l'allarme a tutto l'accampamento.

— Lo so, lo so. Ma noi non abbiamo armi. E tu hai sparato così velocemente, ero terribilmente spaventata; sembrava una cosa orribile che ho visto una volta, quand'ero bambina. Un uomo che uccise un altro uomo con la rivoltella, più rapido del fulmine, come te. Era uno dei Cancellati.

— I Cancellati?

— Sì, li si incontra a volte sulle Montagne.

— So ben poco delle Montagne.

Prese a spiegargli, anche se di malavoglia. — Conosci la Legge dei Signori. Non uccidono, come sai. Se nella loro città c'è un assassino, per impedirgli di rifarlo non possono ucciderlo, perciò ne fanno un Cancellato. Agiscono sulla mente. Poi lo lasciano libero e lui ricomincia a vivere, innocente come un agnellino. L'uomo di cui parlo era più vecchio di te, ma la sua mente era come quella di un bambino. Però aveva una pistola in mano, e le sue mani sapevano come si usa, perciò lui… sparò a un uomo a distanza ravvicinata, come hai fatto tu…

Falk rimase zitto. Guardò la pistola al di là del fuoco, in cima al suo fagotto, meraviglioso aggeggio che aveva acceso il fuoco, aveva fornito il cibo e rotto l'oscurità per tutto il cammino. Nelle sue mani non c'era particolare conoscenza di come usarlo, vero? Metock gli aveva insegnato come si spara. Aveva imparato da Metock ed era diventato sempre più abile a cacciare. Ne era sicuro. Non poteva essere una semplice anomalia, un criminale, cui l'arrogante carità dei Signori di Es Toch aveva concesso una seconda occasione…

Eppure non era più plausibile questa interpretazione dei vaghi sogni e pensieri che aveva nutrito sulla sua origine?

— E come fanno ad agire sulla mente umana?

— Non lo so.

— Può darsi — disse aspramente — che non lo facciano solo ai criminali, ma anche ai… ribelli.

— Cosa sono i ribelli?

Lei parlava il Galaktika più speditamente di lui, ma quella parola non l'aveva mai sentita.

Aveva finito di medicargli la ferita e stava riponendo con cura le medicine nella borsa. Si girò verso di lei così bruscamente che la fece trasalire. Lei si ritrasse di colpo.

— Hai mai visto occhi come i miei, Estrel?

— No.

— La conosci la Città?

— Es Toch? Sì, ci sono stata.

— Allora hai visto gli Shing?

— Tu non sei Shing.

— No. Ma vado tra loro — disse con fierezza. — Ma ho paura… — Si interruppe.

Estrel chiuse la borsa dei medicinali e la ripose nella sacca. — Es Toch è strana per chi viene dalle Case Solitarie e dalle zone lontane — disse infine la sua voce morbida e carezzevole — io ho percorso le sue strade senza alcun pericolo; ci vive molta gente che non ha alcun timore dei Signori. Non è necessario che tu ci vada pieno di paura. I Signori sono potentissimi, certo; ma di Es Toch si dicono molte cose che non sono vere…

I loro occhi si incontrarono. Poi con decisione improvvisa, e raccogliendo tutte le virtù oratorie che aveva le chiese per la prima volta: — E allora dimmi cosa è vero di Es Toch!

Lei scrollò il capo, rispondendo a voce chiara: — Ti ho salvato la vita e tu l'hai salvata a me, siamo compagni e viaggiamo insieme per un po'. Ma io non chiederei nulla né a te né a nessuna persona incontrata per caso; né ora né mai.

— Mi credi uno Shing dopo tutto? — le chiese ironicamente, un po' umiliato perché sapeva che aveva ragione.

— Chi lo sa mai? — rispose lei. E aggiunse, con un sorriso appena accennato: — Certo che mi sarebbe difficile crederlo di te… Ecco, la neve nel bricco si è sciolta. Vado a prenderne ancora. Ce ne vuole un mucchio per fare un goccio d'acqua abbiamo sete entrambi. Tu… ti chiami Falk?

Egli annuì, guardandola.

— Non diffidare di me, Falk — gli disse. — Giudicami dalle mie azioni. Le parole da sole non dimostrano nulla; la fiducia dipende dalle azione che uno compie, giorno dopo giorno.

— Bene, aspettiamo — disse Falk — e speriamo che cresca.

Più tardi, nella lunga notte silenziosa della caverna, egli si svegliò e la vide seduta tutta rannicchiata vicino alle ceneri residue, col capo fulvo appoggiato alle ginocchia. La chiamò per nome.

— Ho freddo — rispose. — Non c'è più un briciolo di calore.

— Vieni qui da me — replicò mezzo addormentato con un sorriso. Lei non disse nulla, ma un momento dopo lo raggiunse in quell'oscurità appena rotta dalle braci, completamente nuda, con solo la pallida giada che le pendeva tra i seni. Era minuta e tremava dal freddo. Nell'animo, sotto certi aspetti ancora vergine, egli aveva il proposito di non toccarla, perché aveva dovuto così duramente sopportare quei selvaggi; ma lei gli sussurrò: — Scaldami, fammi divertire. — Ed egli avvampò come fuoco al vento, mentre tutti i buoni propositi si dileguavano spazzati via dalla presenza di lei, dalla sua dedizione. Per tutto il resto della notte gli stette tra le braccia, vicino alle ceneri ormai spente.

Per tre giorni e tre notti Falk ed Estrel rimasero nella caverna, mentre la tormenta infuriava e poi si calmava sopra di loro. Dormivano e facevano all'amore. Lei era sempre uguale: docile, condiscendente. Egli, che ricordava soltanto il piacevole e gioioso amore vissuto con Parth, era sgomentato dall'insaziabilità e dalla violenza del desiderio che Estrel destava in lui. Spesso gli tornava il pensiero di Parth, accompagnato dalla vivida immagine di una fonte dalle acque rapide, chiare, che sgorgava in mezzo alle rocce in un ombroso recesso della foresta, vicino alla Radura. Ma il ricordo non bastava ad acquietare la brama, e ancora cercava appagamento nella smisurata dedizione di Estrel, per trovare, alla fine, uno spossato nirvana. Una volta sfociò invece in un'inspiegabile rabbia. Le urlò con tono di accusa: — Mi vuoi solo perché pensi che sia inevitabile, che altrimenti ti avrei fatto violenza.

— Perché, non l'avresti fatto?

— No! — le urlò, credendo in quel che diceva. — Non voglio che tu mi sia sottomessa, che tu faccia quello che voglio… Non è forse il calore, il calore umano, quello che andiamo cercando?

— Sì — sussurrò lei.

Non le si avvicinò per un po' di tempo; aveva preso la decisione di non toccarla mai più. Se ne andò per conto suo con la pistola luminosa a esplorare lo strano posto in cui si trovavano. Dopo qualche centinaio di metri la caverna si stringeva e diventava un'alta galleria, molto ampia e liscia. Oscura e immota, continuava perfettamente diritta per un bel tratto, poi improvvisamente curvava, senza restringersi o biforcarsi, e dopo l'angolo buio continuava, continuava. I suoi passi riecheggiavano debolmente. Nulla veniva illuminato o proiettava ombra sotto la luce della lampada. Camminò fino a che fu stanco ed ebbe fame, poi tornò indietro. Era sempre uguale, non portava da nessuna parte. Tornò da Estrel, all'insaziabile promessa e al senso di incompiutezza del suo abbraccio.

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