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Una volta Matteo, un mio amico, aveva deciso di provarci: andare via una volta per tutte. Aveva messo dei soldi da parte, una laurea con lode era riuscito a raggiungerla e si era stancato di lavorare tra stage e cantieri per sopravvivere. Aveva avuto il nome di un ragazzo di Mondragone che l'avrebbe fatto partire per l'Inghilterra e una volta lì, avrebbe avuto modo di presentarsi a diversi colloqui di lavoro. Lo accompagnai. Aspettammo ore fuori a un lido dove questo contatto ci aveva dato appuntamento. Era estate. Le spiagge di Mondragone sono assalite dai villeggianti di tutta la Campania, quelli che non possono permettersi la costiera amalfitana, quelli che non possono affittarsi una casa al mare per l'estate e allora pendolano, avanti e indietro, tra l'entroterra e la costa. Sino a metà degli anni '80 si vendeva la mozzarella in astucci di legno colmi di latte di bufala bollente. I bagnanti la mangiavano con le mani lasciando sbrodolare il latte e i ragazzetti prima di dare il morso alla pasta bianca davano una leccata alla mano, insaporita dalla salsedine. Poi nessuno più ha continuato a vendere mozzarelle e sono arrivati i taralli e le fette di cocco. Quel giorno il nostro contatto ritardò due ore. Quando finalmente ci raggiunse si presentò abbronzato e coperto solo da uno striminzito costume, ci spiegò che aveva fatto colazione con ritardo, quindi si era bagnato con ritardo e si era asciugato con ritardo. Questa fu la sua scusa, colpa del sole insomma. Il nostro contatto ci portò in un'agenzia turistica. Tutto qui. Credevamo d'essere ricevuti da chissà quale mediatore, invece bisognava soltanto essere presentati a un'agenzia neanche particolarmente elegante. Non una di quelle con centinaia di dépliant, ma un bugigattolo qualsiasi. Si poteva però accedere ai suoi servizi se presentati da un contatto mondragonese. Se entrava una persona qualsiasi avrebbe svolto le normali pratiche di qualsiasi agenzia turistica. Una ragazza giovanissima chiese a Matteo il curriculum e ci segnalò il primo volo disponibile. Aberdeen era la città dove lo avrebbero spedito. Gli diedero un foglietto con l'elenco di una serie di aziende a cui avrebbe potuto rivolgersi per un colloquio di lavoro. Anzi l'agenzia stessa, in cambio di pochi spiccioli, prenotò appuntamenti con le segreterie degli addetti alla selezione del personale. Mai agenzia interinale era stata così efficiente. Ci imbarcammo per la Scozia due giorni dopo, un viaggio veloce ed economico per chi proveniva da Mondragone.

Ad Abeerden c'era aria di casa. Eppure non esisteva nulla di più lontano da Mondragone che questa città scozzese. Il terzo centro urbano della Scozia, una città scura, grigiastra anche se non pioveva spesso come a Londra. Prima dell'arrivo dei clan italiani la città non sapeva valorizzare le risorse di tempo libero e turismo e tutto ciò che riguardava ristoranti, alberghi e vita sociale era organizzato al triste modo inglese. Abitudini identiche, locali gonfi di persone intorno ai banconi un solo giorno a settimana. È stato — secondo le indagini della Procura Antimafia di Napoli — Antonio La Torre, fratello del boss Augusto, ad attivare in Scozia una serie di attività commerciali in grado, in una manciata di anni, di imporsi come fiore all'occhiello dell'imprenditoria scozzese. La gran parte delle attività in Inghilterra del clan La Torre sono perfettamente lecite, acquisto e gestione di beni immobiliari e di esercizi commerciali, commercio di prodotti alimentari con l'Italia. Un giro d'affari enorme difficile da rendere in cifre. Matteo ad Aberdeen cercava tutto quello che non gli era stato riconosciuto in Italia, camminavamo per le strade con soddisfazione, come se per la prima volta nella nostra vita l'essere campani fosse condizione sufficiente a procurarci un'area di affermazione. Al 27 e al 29 di Union Terrace, mi trovai dinanzi a un ristorante del clan, il Pavarotti's, intestato proprio ad Antonio La Torre e segnalato anche dalle guide turistiche on line della città scozzese. Per Aberdeen era il salotto elegante, il ritrovo chic, il posto dove poter cenare nel migliore dei modi e il luogo idoneo per parlare di affari importanti. Le aziende del clan sono state pubblicizzate anche a Parigi come massima espressione del made in Italy presso la fiera gastronomica della capitale francese Italissima. Antonio La Torre vi ha infatti presentato le sue attività di ristorazione ed esposto il proprio marchio. Un successo che fa di La Torre uno dei primi imprenditori scozzesi in Europa. La Torre è stato proprietario anche del Sorrento Italy Restaurant in Bridge Street. Questo stesso ristorante ha d'improvviso chiuso, riaprendo con un'altra proprietà con il nome di Sopranos. Come la popolarissima serie televisiva americana incentrata su una famiglia di mafiosi italoamericani.

La stampa inglese aveva infatti da poco iniziato a occuparsi dei boss mondragonesi leader imprenditoriali in Scozia. "The Times" aveva pubblicato un articolo sulla storia del "don" di Mondragone, "The Guardian" invece aveva titolato: "The Aberdeen Job", facendo riferimento a un film statunitense, The Italian Job, a sua volta remake dell'omonima pellicola del 1969 che in Italia uscì col titolo Colpo all'italiana. Articoli in cui si parlava dei business criminali fatti ad Aberdeen dai boss provenienti da "mozzarella country". Inchieste che davano notizie su Antonio La Torre, sulla moglie scozzese Gillian Fraser, i tre figli e l'attività di imprenditore nel ramo della ristorazione e dell'import-export di prodotti alimentari italiani in tutta la Scozia. Così i proprietari del ristorante in Bridge Street invece di ripiegarsi sul marchio infamante dell'appellativo mafioso di "don", avevano dato al ristorante il nome di Sopranos. Ogni immaginario collettivo dev'essere sfruttato. Se i giornali inglesi più letti avevano definito mafiosi i proprietari del ristorante in Bridge Street, questa definizione doveva essere utilizzata per un lancio d'attività, una grande operazione di marketing. La curiosità non doveva più essere fatta tacere, ma poteva venir sfruttata a proprio vantaggio.

Antonio La Torre è stato arrestato ad Aberdeen nel marzo 2005, su di lui pendeva un mandato d'arresto italiano per associazione a delinquere di stampo camorristico ed estorsione. Per anni aveva evitato sia l'arresto che l'estradizione, facendosi scudo della sua cittadinanza scozzese e del mancato riconoscimento da parte delle autorità britanniche dei reati associativi che gli sono contestati. La Scozia non voleva perdere uno dei suoi imprenditori più brillanti.

Nel 2002 il Tribunale di Napoli emise un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di trenta persone legate al clan La Torre. Dall'ordinanza emergeva che il consorzio criminale guadagnava ingenti somme di danaro attraverso le estorsioni, il controllo delle attività economiche e degli appalti nella sua zona di competenza, per poi reinvestire all'estero, in particolare in Gran Bretagna, dove si era creata una vera e propria colonia del clan. Una colonia che non aveva invaso, non aveva portato concorrenza al ribasso nella manodopera, ma aveva immesso linfa economica, rivitalizzando il comparto turistico, attivando un'attività di importazione ed esportazione prima sconosciuta alla città e dando nuovo vigore al settore immobiliare.

Ma la potenza internazionale partita da Mondragone era personificata anche da Rockefeller. Lo chiamano così in paese per l'evidente talento negli affari e per la mole di liquidità che possiede. Rockefeller è Raffaele Barbato, sessantadue anni, nato a Mondragone. E suo vero nome forse l'ha dimenticato persino lui. Moglie olandese, fino alla fine degli anni '80 gestiva affari in Olanda dove possedeva due casinò frequentati da clienti di calibro internazionale, dal fratello di Bob Cellino, fondatore delle case da gioco di Las Vegas, a importanti mafiosi slavi con basi a Miami. I suoi soci erano un tal Liborio, siciliano con entrature in Cosa Nostra, e un altro, Emi, olandese poi trasferitosi in Spagna dove ha aperto hotel, residence e discoteche. Ed è stato Rockefeller una delle menti — secondo le dichiarazioni dei pentiti Mario Sperlongaro, Stefano Piccirillo e Girolamo Rozzera — che progettò assieme ad Augusto La Torre di andare a Caracas per cercare di incontrare gruppi di narcotrafficanti venezuelani che vendevano coca a un prezzo concorrenziale rispetto ai colombiani, fornitori dei napoletani e Casalesi. Molto probabilmente sulla questione droga Augusto era riuscito ad avere un'autonomia, raramente concessa dai Casalesi. Sempre Rockefeller aveva trovato un posto dove far dormire e stare comodo Augusto durante la sua latitanza in Olanda. Lo aveva sistemato al circolo di tiro a volo. Così seppur lontano dalle campagne mondragonesi il boss poteva sparare ai piattelli volanti per tenersi in esercizio. Rockefeller aveva una rete di relazioni enorme, era uno dei business man più noti non solo in Europa, ma anche negli USA per il suo essere gestore di case da gioco che l'aveva messo in contatto con mafiosi italoamericani che sempre di più guardavano all'Europa come mercato per investire, scacciati com'erano lentamente e progressivamente dai clan albanesi sempre più egemoni a New York, e sempre più alleati alle famiglie camorriste campane. Persone capaci di trafficare droga e di investire il loro danaro in ristoranti e alberghi, attraverso la porta aperta dei mondragonesi. Rockefeller è il titolare del lido Adamo ed Eva, ribattezzato La Playa, un bel villaggio turistico sulla costa mondragonese dove — secondo le accuse della magistratura — molti affiliati amavano trascorrere la latitanza. Più comodo è il rifugio, meno sopraggiungeranno le tentazioni di pentimento per sottrarsi alla continua fuga. E con i pentiti, i La Torre erano stati feroci. Francesco Tiberio, il cugino di Augusto, aveva telefonato a Domenico Pensa che aveva testimoniato contro il clan Stolder e chiaramente l'aveva invitato ad andare via dal paese.

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