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Le ville sparse a Quindici, i nascondigli segreti, le strade asfaltate e la pubblica illuminazione erano opera del comune che con i soldi pubblici aiutava i Graziano e li rendeva immuni da attentati e agguati. Gli esponenti delle due famiglie vivevano barricati dietro cancelli invalicabili e sorvegliati ventiquattro ore su ventiquattro da telecamere a circuito chiuso.

Il boss Biagio Cava venne arrestato all'aeroporto di Nizza mentre stava imbarcandosi per New York. Una volta in carcere tutto il potere andò nelle mani della figlia, della moglie, delle donne del clan. Solo le donne si fecero vedere in paese, non erano soltanto le amministratrici occulte, le menti, ma divennero anche il simbolo ufficiale delle famiglie, le facce e gli occhi del potere. Per strada quando si incontravano le famiglie rivali si scambiavano occhiate feroci, sguardi alti, che si appiccicano sugli zigomi in un gioco assurdo che vede perdenti gli occhi che si abbassano. La tensione in paese era altissima quando le donne dei Cava compresero che era giunto il tempo di imbracciare le armi. Da imprenditrici dovevano divenire killer. Si addestrarono negli androni di casa, musica alta per coprire i rumori delle pistole scaricate contro i sacchi di nocciole provenienti dai loro latifondi. Mentre si svolgevano le elezioni comunali del 2002 iniziarono a girare armate per il paese nella loro Audi 80. Erano Maria Scibelli, Michelina Cava e le ragazzine Clarissa e Felicetta Cava di sedici e diciannove anni. In via Cassese l'auto delle donne dei Cava incrociò l'auto delle Graziano, c'erano Stefania e Chiara Graziano di venti e ventuno anni. Dall'auto delle Cava iniziarono a sparare ma le donne dei Graziano, come se si aspettassero l'agguato, inchiodarono la loro macchina e riuscirono a sterzare. Accelerarono, fecero inversione, scapparono. I colpi avevano rotto finestrini e bucato lamiere, ma non colpito la carne. Le due ragazze tornarono in villa gridando. Decisero di scendere a vendicare l'affronto direttamente la madre delle due ragazze, Anna Scibelli e il boss Luigi Salvatore Graziano, il settantenne patriarca della famiglia. Partirono tutti sulla sua Alfa, dietro di loro un'auto blindata con quattro persone armate di mitra e fucili. Intercettaronono l'Audi delle Cava e la tamponarono ripetutamente. L'auto di appoggio bloccava ogni via d'uscita laterale, poi sorpassò l'auto inseguita e le si inchiodò davanti ostruendo ogni altra via di fuga. Le donne dei Cava dopo il primo scontro a fuoco andato a vuoto, temendo di essere fermate dai carabinieri, si erano liberate delle armi. Così trovandosi dinanzi l'auto sterzarono e aprirono gli sportelli e si catapultarono fuori cercando di scappare a piedi. I Graziano scesero dalle auto e iniziarono a sparare contro le donne. Una pioggia di piombo investì gambe, teste, spalle, seni, guance, occhi. Caddero tutte a terra in pochi secondi, sparpagliando le scarpe e rimanendo con i piedi all'aria. Pare che i Graziano infierissero sui corpi, ma non si accorsero che una era ancora viva. Felicetta Cava infatti si salvò. Nella borsa di una delle Cava trovarono una boccetta di acido, forse oltre a sparare avrebbero voluto persino sfregiare le nemiche gettando acido sul viso.

Le donne sono maggiormente capaci di affrontare il crimine come se fosse soltanto lo spazio di un momento, il giudizio di qualcuno, uno scalino toccato e subito superato. Questo le donne dei clan lo mostrano con maggiore evidenza. Si sentono offese, vilipese quando vengono definite camorriste, criminali. Come se criminale fosse solo un giudizio su un operato, non un gesto oggettivo, un comportamento. Ma solo un'accusa. Sino a oggi del resto, a differenza degli uomini, nessuna donna, boss di camorra, si è pentita. Mai.

Ferocemente a difesa dei beni della famiglia, si è sempre adoperata Erminia Giuliano, detta Celeste per il colore dei suoi occhi, la bella e appariscente sorella di Carmine e Luigi, i boss di Forcella, che — secondo le indagini — è il riferimento assoluto nel clan circa la gestione dei beni immobili e dei capitali investiti nel settore commerciale. Celeste ha l'immagine della napoletana classica, della guappa del centro storico, i capelli tinti biondo platino, gli occhi chiari gelidi sempre affogati in tuorli di ombretto nero. Lei gestiva gli indotti economici e legali del clan. Nel 2004 furono confiscati ai Giuliano i beni nati dall'attività imprenditoriale, ventotto milioni di euro, il vero polmone economico del clan. Avevano un insieme di catene di negozi, a Napoli e provincia, e un'azienda

titolare di un marchio divenuto notissimo, attraverso l'abilità d'impresa e la protezione militare ed economica del clan.

Un marchio che ha una rete in franchising composta da cinquantasei punti vendita in Italia e a Tokyo, Bucarest, Lisbona e Tunisi.

Il clan Giuliano, egemone negli anni '80 e '90, nasce nel ventre molle di Napoli, a Forcella, il quartiere che attira su di sé ogni mitologia da casba, ogni leggenda di ombelico marcio del centro storico. I Giuliano sembrano un clan giunto al capolinea, lentamente emerso dalla miseria, dal contrabbando alle puttane, dalla gestione dell'estorsione porta a porta ai rapimenti. Una dinastia enorme basata su cugini, nipoti, zii, parenti. L'acme del potere lo raggiunsero alla fine degli anni '80 e ora sono portatori di una sorta di carisma che non può scomparire. Ancora oggi chi vuol comandare nel centro storico deve vedersela con i Giuliano. Un clan con il fiato sul collo della miseria e del terrore di ritornare miserabili. Una delle affermazioni di Luigi Giuliano, il re di Forcella, che più mostrava il suo disgusto per la miseria l'aveva raccolta il cronista Enzo Perez: "Io non sono d'accordo con Tommasi-no, a me il presepe mi piace, sono i pastori che mi fanno schifo!".

Il volto del potere assoluto del sistema camorristico assume sempre più i tratti femminili, ma anche gli esseri stritolati, schiacciati dai cingolati del potere sono donne. Annalisa Durante, uccisa a Forcella il 27 marzo 2004 dal fuoco incrociato, a quattordici anni. Quattordici anni. Quattordici anni. Ripeterselo è come passarsi una spugna d'acqua gelata lungo la schiena. Sono stato al funerale di Annalisa Durante. Sono arrivato presto nei pressi della chiesa di Forcella. I fiori non erano ancora giunti, manifesti affissi ovunque, messaggi di cordoglio, lacrime, strazianti ricordi delle compagne di classe. Annalisa è stata uccisa. La serata calda, forse la prima serata realmente calda di questa stagione terribilmente piovosa, Annalisa aveva deciso di trascorrerla giù al palazzo d'una amica. Indossava un vestitino bello e suadente. Aderiva al suo corpo teso e tonico, già abbronzato. Queste serate sembrano nascere apposta per incontrare ragazzi, e quattordici anni per una ragazza di Forcella è l'età propizia per iniziare a scegliersi un possibile fidanzato da traghettare sino al matrimonio. Le ragazze dei quartieri popolari di Napoli a quattordici anni sembrano già donne vissute. I volti sono abbondantemente dipinti, i seni sono mutati in turgidissimi meloncini dai push-up, portano stivali appuntiti con tacchi che mettono a repentaglio l'incolumità delle caviglie. Devono essere equilibriste provette per reggere il vertiginoso camminare sul basalto, pietra lavica che riveste le strade di Napoli, da sempre nemica d'ogni scarpa fernminile. Annalisa era bella. Parecchio bella. Con l'amica e una cugina stava ascoltando musica, tutte e tre lanciavano sguardi ai ragazzetti che passavano sui motorini, impennando, sgommando, impegnandosi in gincane rischiosissime tra auto e persone. È un gioco al corteggiamento. Atavico, sempre identico. La musica preferita dalle ragazze di Forcella è quella dei neomelodici, cantanti popolari di un circuito che vende moltissimo nei quartieri popolari napoletani, ma anche palermitani e baresi. Gigi D'Alessio è il mito assoluto. Colui che ce l'ha fatta a uscire dal microcircuito imponendosi in tutt'Italia, gli altri, centinaia di altri, sono rimasti invece piccoli idoli di quartiere, divisi per zona, per palazzo, per vicolo. Ognuno ha il suo cantante. D'improvviso però, mentre lo stereo spedisce in aria un acuto gracchiante del neomelodico, due motorini, tirati al massimo, rincorrono qualcuno. Questo scappa, divora la strada con i piedi. Annalisa, sua cugina e l'amica non capiscono, pensano che stanno scherzando, forse si sfidano. Poi gli spari. Le pallottole rimbalzano ovunque. Annalisa è a terra, due pallottole l'hanno raggiunta. Tutti fuggono, le prime teste iniziano ad affacciarsi ai balconi sempre aperti per auscultare i vicoli. Le urla, l'ambulanza, la corsa in ospedale, l'intero quartiere riempie le strade di curiosità e ansia.

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