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Dopo aver visto decine di morti ammazzati, imbrattati del loro sangue che si mescola allo sporco, esalanti odori nauseabondi, guardati con curiosità o indifferenza professionale, scansati come rifiuti pericolosi o commentati da urla convulse, ne ho ricavato una sola certezza, un pensiero tanto elementare che rasenta l'idiozia: la morte fa schifo.

A Secondigliano i ragazzi, i ragazzini, i bambini hanno perfettamente idea di come si muore e di come è meglio morire. Stavo per andarmene dal luogo dell'agguato a Carmela Attrice quando sentii parlare un ragazzino con un suo compagno. I toni erano serissimi:

"Io voglio morire come la signora. In testa, pam pam… e finisce tutto."

"Ma in faccia, l'hanno colpita in faccia, in faccia è peggio!"

"No, non è peggio, è un attimo comunque. Avanti o dietro, sempre testa è!"

Mi intrufolai nei discorsi cercando di dire la mia e facendo domande. E così chiesi ai ragazzini:

"Meglio essere colpito al petto, no? Un colpo al cuore ed è finita…"

Ma il ragazzino conosceva molto meglio di me le dinamiche del dolore e iniziò a raccontare nel dettaglio i dolori della botta, ossia il colpo d'arma da fuoco, con una professionalità da esperto.

"No, al petto fa male, malissimo e muori dopo dieci minuti. Si devono riempire i polmoni di sangue e poi la botta è come uno spillo di fuoco che entra e te lo girano dentro. Fa male pure sulle braccia e le gambe. Ma lì è come un morso fortissimo di un serpente. Un morso che non lascia mai la carne. Invece la testa è meglio, così non ti pisci sotto, non ti esce la merda per fuori. Non sparpetei per mezz'ora a terra…"

Aveva visto. E ben più di un corpo. Essere colpiti alla testa evita di tremare dalla paura, pisciarsi sotto e far uscire la puzza, la puzza delle interiora dai buchi nella pancia. Continuai a fargli domande sui dettagli della morte, sugli agguati. Tutte le domande possibili tranne l'unica che avrei dovuto fare, ossia chiedergli perché a quattordici anni pensava a come morire. Ma questo pensiero non mi sfiorò neanche per un momento. Il ragazzino si presentò col soprannome. Gli veniva dai Pokemon, i cartoni animati giapponesi. Il ragazzino era biondo e chiatto, quanto bastava per ribattezzarlo Pika-chu. Mi indicò due tizi, tra la folla che si era creata intorno al corpo della donna uccisa, si erano messi a guardare il cadavere. Pikachu abbassò la voce:

"Ecco quelli, li vedi, sono quelli che hanno ammazzato Pupetta…"

Carmela Attrice era chiamata Pupetta. Cercai di fissare in volto i ragazzi che Pikachu mi aveva indicato. Avevano un'aria emozionata, palpitante, spostavano teste e spalle per meglio vedere i poliziotti che coprivano il corpo. Avevano ucciso la donna a viso scoperto, poi si erano seduti nelle vicinanze, sotto la statua di Padre Pio e appena un po' di folla si era raccolta intorno al cadavere erano andati a vedere. Qualche giorno dopo li beccarono. Un gruppo nutrito per un agguato a una donna inoffensiva, uccisa in pantofole e pigiama. Un gruppo al battesimo del fuoco, l'indotto dello spaccio al dettaglio che si muta in braccio armato. Il più giovane aveva sedici anni, il più vecchio ventotto. Il presunto assassino ventidue. Quando li arrestarono, uno di loro vedendo i flash e le telecamere iniziò a ridere e a fare l'occhiolino ai giornalisti. Arrestarono anche la presunta esca, il sedicenne che aveva citofonato per far scendere la donna. Sedici anni, gli stessi della figlia di Carmela Attrice, che quando sente i colpi si affaccia al balcone e inizia a piangere perché ha capito subito. Anche secondo le indagini gli esecutori erano tornati sul luogo del delitto. Troppa curiosità. Come partecipare al proprio film. Prima nel ruolo dell'attore e poi in quello dello spettatore, ma all'interno della stessa pellicola. Dev'essere vero che chi spara non riesce ad avere preciso ricordo del gesto che compie perché quei ragazzi sono tornati curiosissimi a vedere cos'avevano combinato e che faccia aveva la loro vittima. Chiesi a Pikachu se quei tìzi erano una paranza dei Di Lauro, o almeno ne volevano costituire una. Il ragazzino iniziò a ridere:

"Ma quale paranza… vorrebbero essere 'na paranza… ma sono piscitielli di cannuccia, io l'ho vista una paranza…"

Non sapevo se Pikachu mi stesse raccontando balle o semplicemente avesse assemblato cose che sentiva in giro per Scampia, ma la sua narrazione era precisa. Un ragazzino pignolo nei suoi racconti, puntuale al punto da rendere irreale ogni dubbio. Era contento di vedere il mio viso stupito mentre raccontava. Pikachu mi raccontò che aveva un cane chiamato Careca, come l'attaccante brasiliano del Napoli campione d'Italia. Questo cane usciva spesso sul pianerottolo di casa. Un giorno sentendo qualcuno dietro la porta della casa di fronte, solitamente vuota, iniziò a grattarla con le unghie delle zampe. Dopo pochi secondi una raffica di mitra sputata da dietro la porta lo prese in pieno. Pikachu mi raccontava la cosa riproducendomi tutti i rumori:

"Tratratra… Careca morì subito subito… e la porta pam… si aprì… di botto."

Pikachu si mise per terra vicino a un muretto, seduto sul sedere con i piedi poggiati al muro e le braccia che mimavano il calcio di un mitra in mano. Mi fece vedere come era posizionata la sentinella che gli aveva ammazzato il cane. Sentinella sempre dietro la porta. Seduta, con dietro la schiena un cuscino e le piante dei piedi poggiate ai lati della porta. Una posizione scomoda per evitare che venga il sonno e soprattutto perché sparare dal basso verso l'alto avrebbe eliminato con certezza chiunque si fosse parato dinanzi alla porta, senza colpire la sentinella. Pikachu mi raccontò che quando avevano ucciso il cane, per scusarsi diedero dei soldi alla famiglia, e poi lo invitarono a entrare in casa. Nella casa dove un'intera paranza era nascosta. Ricordava tutto, le stanze vuote, solo con dei letti, un tavolo e la televisione.

Parlava veloce Pikachu, gesticolando forte e disegnandomi posizioni, movimenti dei membri della paranza. Nervosi, tesi, e con un personaggio che aveva "gli ananassi" al collo. Gli ananassi sono le bombe a mano che gli uomini delle paranze portano addosso. Pikachu raccontò che c'era un cesto vicino a una finestra, pieno di ananassi. I clan camorristici hanno sempre avuto una particolare predilezione per le bombe a mano. Ovunque gli arsenali dei clan erano colmi di bombe a mano e anticarro, tutte provenienti dall'est Europa. Pikachu raccontava che nella stanza passavano ore a giocare alla playstation e lui aveva sfidato e battuto tutti i membri della paranza. Vìnceva sempre e gli promettevano che "un giorno di questi mi portavano con loro a sparare veramente".

Una delle leggende del quartiere, una di quelle a cui crescono ancora i capelli, racconta infatti che Ugo De Lucia giocava ossessivamente a Winning Eleven, il videogioco del calcio più celebre della playstation. In quattro giorni avrebbe commesso — secondo le accuse — non solo tre omicidi, ma anche terminato un campionato di calcio al videogame.

Ciò che racconta il pentito Pietro Esposito detto "Kojak" invece non sembra essere una leggenda. Era entrato in una casa dove Ugo De Lucia stava disteso sul letto davanti alla televisione commentando le notizie:

"Abbiamo fatto altri due pezzi! E quegli altri hanno fatto un pezzo nel Terzo Mondo."

La televisione era il modo migliore per tenere il passo in tempo reale con la guerra senza dover fare telefonate compromettenti. Da questo punto di vista l'attenzione mediatica che la guerra aveva attirato su Scampia era un vantaggio strategico militare. Ciò che però mi aveva colpito di più era il termine "pezzo". Pezzo era il nuovo modo per definire un omicidio. Anche Pikachu quando parlava dei morti della guerra di Secondigliano parlava dei pezzi fatti dai Di Lauro e dei pezzi fatti dagli scissionisti. "Fare un pezzo": un'espressione mutuata dal lavoro a cottimo, l'uccisione di un uomo equiparata alla fabbricazione di una cosa, non importa quale. Un pezzo.

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