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Tutto l'assetto economico finanziario ha il suo team militare: un feroce gruppo di fuoco e una capillare rete di fiancheggiatori. Nel manipolo di killer figuravano Emanuele D'Ambra, Ugo De Lucia, detto "Ugariello", Nando Emolo, detto "'o schizzato", Antonio Ferrara, detto "'o tavano", Salvatore Tamburino, Salvatore Petriccione, Umberto La Monica, Antonio Mennetta. Al di sotto, i fiancheggiatori, cioè i capizona: Gennaro Aruta, Ciro Saggese, Fulvio Montanino, Antonio Galeota, Giuseppe Prezioso, guardaspalle personale di Cosimo, e Costantino Sorrentino. Un'organizzazione che complessivamente contava su almeno trecento persone, tutte tenute a stipendio. Una struttura complessa, dove tutto era inserito in un ordine preciso. C'era il parco macchine e moto, enorme, sempre disponibile, come una struttura d'emergenza. C'era l'armeria, nascosta e collegata a una rete di fabbri pronti a distruggere le armi appena usate per gli omicidi. C'era una rete logistica che consentiva ai killer di andare, subito dopo l'agguato, ad allenarsi in un regolare poligono di tiro dove venivano registrati gli ingressi, in modo da confondere le tracce di polvere da sparo e costruirsi un alibi per eventuali prove da stub. Lo stub è ciò che ogni killer teme di più; la polvere da sparo che non viene mai via e che è la prova più schiacciante. C'era addirittura una rete che forniva l'abbigliamento ai gruppi di fuoco: tute da ginnastica anonime e casco integrale da motociclista, da distruggere subito dopo. Un'azienda inattaccabile, dai congegni perfetti o quasi. Non si tenta di occultare un'azione, un omicidio, un investimento ma semplicemente di non renderlo dimostrabile in tribunale.

Frequentavo Secondigliano da tempo. Da quando aveva smesso di fare il sarto, Pasquale mi aggiornava sull'aria che tirava nella zona, un'aria che andava mutandosi velocemente, alla stessa velocità con cui si trasformano i capitali e le direzioni finanziarie.

Giravo nell'area nord di Napoli in Vespa. È la luce quello che più mi piace quando giro per Secondigliano e Scampia.

Le strade enormi, larghe, ossigenate rispetto ai grovigli del centro storico di Napoli, come se sotto il catrame, a fianco dei palazzoni, ci fosse ancora viva la campagna aperta. D'altronde Scampia possiede nel nome il suo spazio. Scampia, parola di un dialetto napoletano scomparso, definiva la terra aperta, zona d'erbacce, su cui poi a metà degli anni '60 hanno tirato su il quartiere e le famose Vele. Il simbolo marcio del delirio architettonico o forse più semplicemente un'utopia di cemento che nulla ha potuto opporre alla costruzione della macchina del narcotraffico che si è innervata sul tessuto sociale di questa parte di terra. Una disoccupazione cronica e un'assenza totale di progetti di crescita sociale hanno fatto sì che divenisse luogo capace di stoccare quintali di droga, e laboratorio per la trasformazione del danaro fatturato con lo spaccio in economia viva e legale. Secondigliano è lo scalino in discesa che dal gradino del mercato illegale porta forze ossigenate all'imprenditoria legittima. Nel 1989 l'Osservatorio sulla Camorra scriveva in una sua pubblicazione che nell'area nord di Napoli si registrava uno dei rapporti spacciatori-numero abitanti più alto d'Italia. Quindici anni dopo questo rapporto è divenuto il più alto d'Europa e tra i primi cinque al mondo.

La mia faccia era diventata conosciuta col tempo, una conoscenza che per le sentinelle del clan, i pali, significava valore neutro. In un territorio controllato a vista ogni secondo v'è un valore negativo — poliziotti, carabinieri, infiltrati di famiglie rivali — e un valore positivo: gli acquirenti. Tutto ciò che non è sgradito, che non è intralcio è neutro, inutile. Entrare in questa categoria significa non esistere. Le piazze dello spaccio mi hanno sempre affascinato per la perfetta organizzazione che contraddice una lettura di puro degrado. Il meccanismo di spaccio è quello di un orologio. È come se gli individui si muovessero identici agli ingranaggi che mettono in moto il tempo. Non c'è movimento di qualcuno che non faccia scattare qualcun altro. Ogni volta che lo osservavo ne rimanevo incantato. Gli stipendi sono distribuiti settimanalmente, cento euro per le vedette, cinquecento al coordinatore e cassiere degli spacciatori di una piazza, ottocento ai singoli pusher e mille a chi si occupa dei magazzini e nasconde la droga in casa. I turni vanno dalle tre del pomeriggio a mezzanotte e da mezzanotte alle quattro del mattino, la mattina difficilmente si spaccia perché c'è in giro troppa polizia. Tutti hanno un giorno di riposo e se si presentano in ritardo sulla piazza di spaccio per ogni ora gli vengono sottratti cinquanta euro dalla paga settimanale.

Via Baku è un ininterrotto via vai di commerci. I clienti arrivano, pagano, prelevano e vanno via. A volte ci sono persino file di auto in coda dietro la schiena degli spacciatori. H sabato sera soprattutto. E allora da altre piazze vengono dislocati nuovi pusher in questa zona. In via Baku si fattura mezzo milione di euro al mese, la Narcotici segnala che mediamente si smerciano quattrocento dosi di marijuana e quattrocento di cocaina, ogni giorno. Quando arrivano i poliziotti gli spacciatori sanno in quali case andare e in che posti nascondere la merce. Dinanzi alle auto della polizia, quando stanno per entrare in una piazza di spaccio si posiziona quasi sempre una macchina o un motorino per rallentare la corsa e permettere ai pali di caricarsi gli spacciatori in moto e portarli via. Spesso i pali sono incensurati e disarmati, così anche se fermati corrono un bassissimo rischio di incriminazione. Quando scattano gli arresti dei pusher vengono chiamate le riserve, ossia persone spesso tossicodipendenti o consumatori abituali della zona che danno la loro disponibilità a lavorare come spacciatori in casi di emergenza. Per un pusher arrestato un altro viene avvertito e si farà trovare sul posto. Il commercio deve continuare. Anche nei momenti critici.

Via Dante è un'altra zona di fatturazione di grossi capitali. Qui i pusher sono tutti ragazzi giovanissimi, è una piazza florida di distribuzione, una delle più recenti piazze messe su dai Di Lauro e poi viale della Resistenza, vecchia piazza di eroina ma anche di kobret e cocaina. I responsabili della piazza hanno vere e proprie sedi operative in cui organizzano il presidio del territorio. I pali comunicano con i cellulari quello che sta accadendo. Il coordinatore della piazza, ascoltandoli tutti in viva voce con dinanzi la cartina, riesce ad avere sotto i suoi occhi in tempo reale gli spostamenti della polizia e i movimenti dei clienti.

Una delle novità che il clan Di Lauro ha introdotto a Se-condigliano è la tutela dell'acquirente. Prima della loro gestione come organizzatori di piazze, i pali proteggevano solo i pusher da arresti e identificazioni. Negli anni passati, gli acquirenti potevano essere fermati, identificati, portati in commissariato. Di Lauro invece ha messo i pali per proteggere anche gli acquirenti, così chiunque avrebbe potuto accedere con sicurezza alle piazze gestite dai suoi uomini. Il massimo grado di comodità per i piccoli consumatori che sono una delle anime prime del commercio di droga secondiglia-nese. Nella zona del rione Berlingieri, se telefoni, ti fanno trovare direttamente la merce pronta. E poi via Ghisleri, Parco Ises, tutto il rione don Guanella, il comparto H di via Labriola, i Sette Palazzi. Territori trasformati in mercati redditizi, in strade presidiate, in luoghi dove le persone che ci abitano hanno imparato ad avere uno sguardo selettivo, come se gli occhi, quando capitano su qualcosa d'orrendo, oscurassero l'oggetto o la situazione. Un'abitudine a prescegliere cosa vedere, un modo per continuare a vivere. Il supermarket immenso della droga. Tutta, ogni tipo. Non c'è stupefacente che venga introdotto in Europa che non passi prima dalla piazza di Secondigliano. Se la droga fosse solo per i napoletani e i campani, le statistiche darebbero risultati deliranti. Praticamente in ogni famiglia napoletana almeno due membri dovrebbero essere cocainomani e uno eroinomane. Senza contare l'hashish e la marijuana. Eroina, kobret, le droghe leggere e poi le pasticche, quelle che qualcuno chiama ancora ecstasy quando in realtà dell'ecstasy esistono centosettantanove varianti. Qui a Secondigliano sono stra-vendute, le chiamano X file, o il gettone o la caramella. Sulle pasticche c'è un guadagno enorme. Un euro per produrle, tre-cinque euro il costo all'ingrosso, poi rivendute a Milano, Roma o altre zone di Napoli a cinquanta-sessanta euro. A Scampia a quindici euro.

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