La notizia di cronaca a pagina sette era il primo resoconto sulla morte di sua moglie che aveva occasione di vedere. Laura Moon, ventisette anni, secondo il giornale, e Robbie Burton, trentanove, si trovavano sull’Interstate a bordo dell’automobile di Robbie quand’erano finiti sotto le ruote di un tir che aveva scaraventato la macchina sul ciglio della strada.
La squadra di soccorso aveva estratto i corpi di Robbie e Laura dai rottami. Erano morti prima di arrivare in ospedale.
Shadow ripiegò il giornale e lo spinse sul tavolo, verso Wednesday, intento a ingozzarsi con una bistecca talmente cruda da far sospettare che il fuoco non l’avesse mai nemmeno sfiorata.
«Tieni. Riprenditelo.»
Al volante c’era Robbie. Doveva essere ubriaco, anche se l’articolo non ne parlava. Shadow immaginò l’espressione di Laura quando si era resa conto che Robbie era troppo ubriaco per guidare. La scena si svolgeva nella sua mente senza che lui potesse fare niente per fermarla: Laura che urlava… che urlava a Robbie di fermarsi, poi il tonfo contro il camion, il botto e lo strappo…
… la loro macchina capovolta sul ciglio della strada, vetri in frantumi, come ghiaccio e diamanti scintillanti alla luce dei fanali, pozze di sangue rosso rubino sull’asfalto. Due corpi estratti dai rottami, ordinatamente adagiati uno accanto all’altro.
«Allora?» chiese Wednesday. Aveva divorato la bistecca come se stesse morendo di fame. Adesso stava attaccando le patatine con grandi forchettate.
«Hai ragione» disse Shadow. «Non ce l’ho più un lavoro.»
Prese dalla tasca una moneta da venticinque centesimi. La gettò in aria sfiorandola con un dito mentre si staccava dalla mano, facendola esitare come se stesse per girarsi, poi l’afferrò e la schiacciò sul dorso della mano.
«Testa o croce?» disse.
«Perché?»
«Non voglio lavorare per qualcuno più sfortunato di me. Avanti.»
«Testa» disse Wednesday.
«Mi dispiace» rispose Shadow senza nemmeno guardare la moneta. «È croce. Era un tiro truccato.»
«Sono i più facili da battere» disse Wednesday agitando un dito tozzo. «Da’ un’occhiata.»
Shadow guardò la moneta. La faccia rivolta verso l’alto era testa.
«Devo aver sbagliato» disse perplesso.
«Non buttarti giù così» ribatté Wednesday con un sorriso. «Tieni conto che io sono un tipo molto, molto fortunato.» Poi alzò lo sguardo. «Ma chi l’avrebbe mai detto, Mad Sweeney. Bevi qualcosa con noi?»
«Southern Comfort e Coca, liscio» disse una voce alle spalle di Shadow.
«Vado a ordinare.» Wednesday si alzò e partì diretto verso il bancone.
«A me non chiedi cosa bevo?» gli gridò Shadow.
«Lo so che cosa bevi» rispose, ed era già al bar. Patsy Cline ricominciò a cantare Walking After Midnight.
L’uomo del Southern Comfort e Coca sedette accanto a Shadow. Aveva una corta barba rossiccia. Indossava una giacca di jeans coperta di toppe colorate sopra una maglietta sporca. Sul davanti c’era scritto:
SE NON PUOI FUMARLO, NÉ BERLO O MANGIARLO… SCOPATELO!
Portava un berretto da baseball su cui era stampato:
L’UNICA DONNA CHE ABBIA MAI AMATO
ERA LA MOGLIE DI UN ALTRO… MIA MADRE!
Aprì un pacchetto di Lucky Strike morbide con un’unghia sporca, prese una sigaretta per sé e ne offrì una a Shadow che fu sul punto di accettare, automaticamente. Non fumava — ma una sigaretta è pur sempre un’ottima merce di scambio — poi si ricordò che non era più in galera. Fece segno di no con la testa.
«Lavori per il nostro amico, allora?» domandò l’uomo barbuto. Non era del tutto sobrio, ma nemmeno ubriaco, per il momento.
«Pare di sì. E tu cosa fai?»
L’uomo barbuto accese la sigaretta. «Io sono un leprecauno» disse con una smorfia.
Shadow non sorrise. «Veramente? Allora dovresti bere Guinness.»
«Stereotipi. Bisogna iniziare a pensare fuori dagli schemi. In Irlanda c’è molto di più della Guinness.»
«Non hai un accento irlandese.»
«Sono in questo cazzo di posto da troppo tempo.»
«Ma sei irlandese, d’origine?»
«Te l’ho detto. Sono un leprecauno. I leprecauni non vengono da Mosca.»
«No, non mi pare.»
Wednesday tornò al tavolo con tre bicchieri tenuti disinvoltamente in una mano sola grande come una zampa. «Southern Comfort e Coca per te, Mad Sweeney, amico mio, e un Jack Daniell per me. E per te questo, Shadow.»
«Che cos’è?»
«Assaggialo.»
Aveva un colore bruno dorato e quando ne prese un sorso Shadow sentì sulla lingua un sapore agrodolce. Un retrogusto alcolico con una strana miscela di sapori. Gli ricordava un po’ il liquore che qualche detenuto distillava clandestinamente dentro un sacco dell’immondizia usando frutta marcia, pane, zucchero e acqua, però era più dolce e molto più esotico.
«Va bene» disse. «L’ho assaggiato. Che cos’è?»
«Idromele» rispose Wednesday. «Alcol e miele. La bevanda degli eroi. La bevanda degli dèi.»
Shadow ne prese un altro sorso. Sì, il miele c’era, decise. Era uno dei sapori. «Assomiglia un po’ ai cetrioli in salamoia» disse. «Sì, sembra salamoia dolce.»
«Sembra piscio di ubriaco diabetico» convenne Wednesday. «Io lo detesto.»
«Perché vuoi farlo bere a me, allora?» domandò Shadow, non a torto.
Wednesday lo fissò con i suoi occhi così male assortiti. Shadow stabilì che uno dei due era di vetro, ma non riusciva a capire quale. «Ti ho portato l’idromele da bere perché così vuole la tradizione. E in questo preciso momento abbiamo bisogno di tutte le tradizioni che riusciamo a mettere assieme per suggellare il nostro accordo.»
«Non abbiamo fatto nessun accordo.»
«Certo che l’abbiamo fatto. Adesso tu lavori per me. Mi proteggi. Mi trasporti da un posto all’altro. Fai le commissioni. In caso di emergenza, ma solo in caso di vera emergenza, fai del male a quelli a cui devi fare del male. Nell’improbabile ipotesi della mia morte farai la mia veglia funebre. E in cambio io provvederò a soddisfare tutte le tue necessità.»
«Ti sta imbrogliando» disse Mad Sweeney grattandosi la barba ispida. «È un imbroglione.»
«Certo che sono un imbroglione» disse Wednesday. «È per questo che ho bisogno di qualcuno che mi protegga.»
La canzone nel jukebox arrivò alla fine e per un attimo il locale rimase silenzioso, ogni conversazione sospesa.
«Una volta qualcuno mi ha detto che questi momenti in cui tutti tacciono insieme si verificano sempre a un’ora e venti o meno venti» disse Shadow.
Sweeney indicò l’orologio appeso sopra il banco del bar, stretto tra le mascelle enormi e indifferenti di una testa imbalsamata di alligatore. Erano le undici e venti.
«Ecco» disse Shadow. «Chissà perché succede.»
«Io lo so» rispose Wednesday. «Bevi il tuo idromele.»
Shadow trangugiò il resto del liquore in un sorso. «Forse col ghiaccio starebbe meglio.»
«Non è detto» rispose Wednesday. «È sempre tremendo.»
«Proprio così» convenne Mad Sweeney. «Mi scuso per un attimo, signori, ma mi trovo nell’impellente necessità di una lunga pisciata.» Si alzò e si allontanò, alto in maniera impossibile. Doveva essere più di due metri e dieci, stabilì Shadow.
Una cameriera passò lo strofinaccio sul tavolo e portò via i piatti vuoti. Wednesday le chiese un secondo giro per tutti, anche se questa volta l’idromele di Shadow doveva essere con ghiaccio.
«Comunque» riprese, «ti ho detto cosa voglio da te.»
«Ti piacerebbe sapere che cosa voglio io?» chiese Shadow.
«Niente mi renderebbe più felice.»
La cameriera portò da bere. Shadow sorseggiò l’idromele con ghiaccio. Non era migliorato, anzi, il ghiaccio ne accentuava l’asprezza e tratteneva il sapore più a lungo sulla lingua. Comunque, cercò di consolarsi, non sembrava particolarmente alcolico. Non era pronto per ubriacarsi. Non ancora.
Fece un respiro profondo.
«Va bene» disse. «La mia vita, che negli ultimi tre anni è stata tutt’altro che della migliore qualità, ha preso improvvisamente una bruttissima piega. Ho alcune cose da fare. Voglio andare al funerale di Laura. Voglio dirle addio. Dovrò occuparmi della sua roba. Se dopo mi vuoi ancora comincio a lavorare per te a cinquecento dollari la settimana.» Aveva sparato la cifra a caso. Gli occhi di Wednesday non lasciavano trasparire niente. «Se andiamo d’accordo, dopo sei mesi me ne dai mille la settimana.»