— Questo è un punto che merita di essere approfondito — precisò il professore. — Seriamente approfondito. Per esempio, e scusatemi se vi faccio la domanda, dalla vostra passata esperienza risulta che vostro fratello e vostra sorella siano tipi credibili? Voglio dire, chi vi sembra più sincero?
— Ho pensato anch’io qualcosa del genere, signore — intervenne Peter. — Fino a ora, avrei risposto senz’altro che Lucy è la più sincera.
— E tu cosa ne pensi, cara? — fece il professore rivolto a Susan.
— Be’, in linea generale — cominciò Susan — sarei della stessa opinione di Peter. Ma ora questa faccenda del bosco e del fauno…
— Capisco — mormorò il professore. E aggiunse: — Io non oserei pronunciarmi contro Lucy. Accusare di falsità una persona che è sempre stata sincera è una cosa molto grave, cara. Una cosa molto grave.
— È per questo che siamo venuti da lei — disse Susan. — Ci è venuto il sospetto… La paura che Lucy non stia mentendo, ma che le sia successo qualcosa di brutto.
— Che sia impazzita? — chiese il professore, freddamente. — Se è per questo, potete vedere da voi che Lucy non è matta. Basta guardarla e sentire come parla.
— Ma allora… — e qui Susan si fermò di nuovo.
Non avrebbe mai immaginato che un adulto potesse parlare come il professore. Non sapeva cosa pensare.
— La logica! — esclamò il professore, rivolto quasi a se stesso. — Ma perché non insegnano un po’ di logica a questi poveri ragazzi? Esistono solo tre possibilità: la vostra sorellina mente, è impazzita oppure dice la verità. Voi stessi riconoscete che è una bambina sincera, che non dice mai bugie. E non è matta. Allora, e fino a prova contraria, dobbiamo pensare che dica la verità.
Susan tornò a guardare in faccia il professore: dalla sua espressione si convinse che non stava prendendoli in giro. Parlava seriamente.
— Ma come può esser vera, una storia così? — chiese Peter.
— Perché me lo chiedi? — ribatté il professore.
— Prima di tutto — cominciò Peter — come mai, se il bosco esiste veramente, non lo abbiamo trovato? Abbiamo guardato nell’armadio e non c’era proprio niente, signore.
— E con questo? — ribatté il professore.
— Ma… se le cose esistono realmente, ci sono sempre.
— Davvero? — commentò l’anziano signore.
Peter non seppe cosa rispondergli.
— E il tempo? — intervenne Susan. — Non c’è stato tempo per tutte le cose che dice Lucy. Anche se il regno di Narnia esistesse veramente, non potrebbe esserci andata. Eravamo appena usciti dalla stanza, quel giorno, che già ci correva dietro raccontandoci tutta la storia. Ha detto di essere stata via delle ore, invece era meno di un minuto.
— È proprio questo che rende verosimile il racconto — affermò il professore. — Se in questa casa c’è una porta che dà su un altro mondo (e devo avvertirvi che è una casa molto, molto strana… non la conosco bene neppure io), se questa porta esiste, dicevo, e Lucy è passata in un mondo diverso dal nostro, non mi sorprende affatto che abbia vissuto in un tempo diverso e tutto suo. Staccato, capite? Puoi stare là delle ore e intanto occupi "quel" tempo, ma non occupi il "nostro". Lucy è troppo piccola per aver capito questo particolare, non può esserselo inventato, dunque vuol dire che non mente. Se avesse voluto inventare una fandonia, sarebbe rimasta nascosta per parecchie ore.
— Ma lei pensa che ci sia davvero quest’altro paese? — chiese Peter, che non era del tutto sicuro di aver capito. — Ci sarebbero davvero altri mondi, accanto al nostro?
— Niente di più probabile — rispose il professore, e, toltisi gli occhiali, cominciò a pulirli borbottando: — Ma cosa diavolo insegnano, dico io, nelle scuole?
— E noi cosa dobbiamo fare? — domandò Susan, che in qualche modo sentiva che la conversazione stava diventando difficile.
— Giusto, cara signorina — esclamò il professore, e alzò gli occhi a osservare prima l’uno e poi l’altra con sguardo penetrante. — Non avevamo preso in considerazione l’unica cosa che valga la pena fare.
— E cioè? — chiesero insieme Peter e Susan.
— Pensare ai fatti nostri. E che Lucy pensi ai suoi.
Con questa stupefacente affermazione il colloquio ebbe fine, ma da quel momento in poi le cose andarono assai meglio. Peter si premurò che Edmund non si azzardasse più a sbeffeggiare la piccola Lucy, la quale, dal canto suo, non parlò più dell’armadio e nessuno si sentì in dovere di farlo. Per un pezzo sembrò che la faccenda fosse finita: ma era destino che non fosse così.
La casa del professore (che lui stesso non conosceva completamente) era così antica e famosa che venivano a visitarla da ogni parte dell’Inghilterra. Tanto per intenderci, il tipo di vecchia magione citata sulle guide e nei libri di storia. Sulla villa si raccontavano tante strane storie, forse anche più strane di questa. Quando arrivavano le comitive di turisti che chiedevano il permesso di visitarla, il professore diceva sempre di sì e incaricava la signora Macready, la governante, di portare i visitatori nelle diverse sale. La signora Macready non aveva pazienza con i bambini ed esigeva che non le venissero tra i piedi: soprattutto, non tollerava di essere interrotta quando faceva da guida ai turisti, indicando i quadri più belli e i libri più rari, e dicendo tutte le cose che meritavano di essere dette. A questo proposito aveva parlato chiaro, stabilendo con Susan e Peter, fin dal primo giorno, la lista delle cose proibite.
— E ricordatevi, per favore — aveva concluso — di non disturbarmi quando sono occupata con i turisti. Statemi alla larga.
— Figurarsi — aveva commentato poi Edmund. — Come se avessimo voglia di perdere una mattinata insieme a un branco di adulti col naso in aria.
Una bella mattina Edmund e Peter si trovavano nella sala dell’armatura e discutevano animatamente sulla difficoltà di smontarla e rimontarla o di entrarci dentro, quand’ecco sopraggiungere di corsa Lucy e Susan.
— Arriva la Macready — gridarono con il fiato grosso. — È in giro con un codazzo di visitatori che non finisce più.
— Filiamo alla svelta — ordinò Peter.
Veloce come il lampo, fuggì verso il fondo della sala seguito dagli altri tre. Attraversarono una sala verde (quella di musica) e poi, sempre di corsa, le diverse stanze della biblioteca. Ma forse quel giorno la Macready aveva scelto un itinerario diverso dal solito, perché di nuovo i ragazzi sentirono la sua voce e lo scalpiccio dei passi di molte persone che venivano verso di loro. Fecero un rapido dietrofront e ripresero a fuggire. Forse persero l’orientamento; forse la Macready si era accorta della loro presenza e voleva coglierli di sorpresa. E se una particolare magia li avesse spinti nella misteriosa Narnia? In ogni caso si trovavano sempre nelle vicinanze della signora Macready ed erano costretti a continuare a correre.
Alla fine Susan disse: — Oh, insomma, che noia questi gitanti. Su, entriamo nella stanza vuota e restiamoci finché non se ne sono andati. Lì non verranno di sicuro.
Ma appena furono entrati nella stanza deserta, sentirono delle voci in corridoio e qualcuno che girava la maniglia della porta, come se volesse aprirla ed entrare.
— Presto — bisbigliò Peter. — Non c’è altro da fare. — Spalancò l’armadio e ci saltò dentro, seguito dagli altri tre. Restarono là, stretti l’uno all’altro, ansando nel buio. Peter teneva l’anta dell’armadio accostata, badando bene di non chiuderla perché sapeva che chi ha un po’ di sale in zucca mai e poi mai si chiuderebbe in un armadio, magico oppure no.