Vorneen non aveva nulla da obbiettare. I criteri in base ai quali Glair aveva disegnato il suo corpo non corrispondevano ai suoi criteri di bellezza femminile; i terrestri erano così estranei, come forma, che lui non aveva criteri di sorta in proposito. Per lui Kathryn era bellissima come Glair. Forse più, poiché Kathryn era autentica, e Glair soltanto una replica, sia pure ben riuscita.
Desiderava che Kathryn fosse meno pudica per quanto riguardava il suo corpo.
Desiderava che lei si infilasse nel letto, una notte, splendidamente nuda, e si concedesse a lui.
Successe, come era naturale. Ma successe in modo del tutto imprevisto e senza che lui dovesse ricorrere ad alcuno degli espedienti del suo repertorio.
La sua gamba rotta stava guarendo rapidamente, e lui capì che era venuto il momento di saggiarne la resistenza. Aveva oziato abbastanza a letto. Dal momento che il comunicatore della sua tuta si era fracassato nell’impatto, doveva alzarsi e muoversi se voleva sperare di essere rintracciato da una squadra di soccorso, e gli sembrava che la sua gamba fosse già abbastanza resistente da sopportare il peso del suo corpo. Una notte, dopo che Kathryn era andata a dormire, allontanò da sé le coperte e fece penzolare tutte e due le gambe dal bordo del letto.
Fu colto da un momento di vertigine. Era la prima volta che cercava di mettersi in posizione seduta sul letto. Annaspò e si afferrò per un attimo al materasso, aspettando che il suo corpo si riprendesse.
Poi, delicatamente, posò le piante dei piedi sul pavimento.
Vorneen rimase seduto, immobile, e rifletté. Si immaginò la gamba (rotta) che cadeva e si spezzava nel momento in cui esercitava pressione su di essa. Il suo corpo esteriore poteva anche essere artificiale, ma era collegato per via neurale con quello interno Dirnano; e, come aveva già avuto l’opportunità di scoprire, provava un dolore autentico quando il suo irreale involucro subiva qualche lesione. Forse sarebbe stato meglio attendere ancora un paio di giorni?
No.
Spostò in avanti il baricentro, sostenendosi al comodino accanto al letto, e si mise in piedi. Piano, piano, piano… Come andava la gamba? Lo sosteneva? Sì!
Un attimo dopo, un attacco di vertigini lo colpì con la violenza di una bufera invernale.
Il suo corpo sembrò spaccarsi in due, ciascun arto staccarsi dal nucleo. Vorneen gridò e fece di scatto un passo in avanti sulla gamba buona, poi un altro esitante su quella ferita, ed infine concluse la sua manovra rimanendo in piedi in mezzo alla stanza, scosso dai brividi ed aggrappato allo schienale di una sedia che gli era capitata a portata di mano. Pensò che il pavimento si sarebbe spalancato e lo avrebbe inghiottito. Era talmente stordito da non vedere più nulla. Spostò tutto il suo peso sulla gamba sana, al punto da suscitare fiere proteste da parte del suo sistema nervoso centrale, costretto a sostenere un corpo debilitato da una lunga inattività. La sua gamba infortunata era nuovamente sana, ma lui non aveva tenuto conto della debolezza dei muscoli, e del suo sistema nervoso scombussolato, dopo tanti giorni di immobilità a letto. Momentaneamente disorientato, non ebbe nemmeno la presenza di spirito di disinserire i gangli.
— Che cosa sta facendo?
Kathryn era in piedi sulla soglia. Indossava una camicia da notte leggerissima che le arrivava alle cosce e non nascondeva nulla del suo corpo. Aveva un’espressione di rimprovero sul volto. Vorneen dovette lottare per mettere a fuoco la mente.
— La mia gamba… la stavo provando…
La donna si precipitò verso Vorneen, che se ne stava immobile in mezzo alla stanza, a poco più di due metri di distanza dal letto, incapace di andare avanti e di andare indietro, mentre le forze pian piano lo abbandonavano, anche quelle poche che gli occorrevano per rimanere in piedi. Kathryn lo circondò con le braccia e lo sostenne. Un’ondata di sollievo attraversò tutto il suo sistema nervoso. Lei lo afferrò con decisione, e nello stesso momento Vorneen perse la presa sulla sedia e cominciò a cadere. In qualche modo Kathryn resistette a quella pressione improvvisa e riuscì a sorreggerlo quel tanto che bastava a percorrere incespicando i tre passi che li separavano dal letto, e crollarvi sopra insieme a lui.
Insieme.
Vorneen era nudo, e lei indossava solo un indumento praticamente inesistente. Atterrarono in un mucchio confuso, ridendo ed ansimando, Kathryn sopra di lui. Più per caso che per altro le loro labbra si toccarono ed all’improvviso, come se lui avesse aperto qualche condotto sensorio ad azione immediata tra i loro corpi, Vorneen sentì il fuoco avvampare dentro di lei e seppe che ormai era sua.
Come si faceva a fare l’amore con una femmina terrestre? Dove si trovavano le zone erogene?
Vorneen chiamò a raccolta freneticamente tutto ciò che ricordava del suo insegnamento teorico.
Ma fu inutile; veterano di mille battaglie amorose qual’era, fu però travolto e sconcertato da quell’inatteso incontro. Le sue mani si tesero verso di lei. Ma dove? Gomiti, seni, spalle, ginocchia, natiche? Scoprì che non aveva importanza. Kathryn si era ridestata. Si sfilò la camicia da notte. Aveva la pelle calda come il fuoco. Il suo corpo rispose, il che bastò a risolvere il problema che lo aveva angosciato.
Kathryn lo ricoprì con il suo calore.
Vorneen conosceva l’anatomia, ma non i metodi per consumare l’atto sessuale. Apprese in fretta. Un’altra cosa che non sapeva riguardava la crescente intensità del piacere: quando avrebbe dovuto fermarsi? Apprese anche quello, allorché Kathryn gridò la sua estasi, ed i suoi riflessi provvidero alla risposta finale.
Alla fine lei gli si accasciò sopra, sudata, e gli baciò la pelle gelida.
Poi Kathryn si fece indietro e lo rimproverò per essersi alzato dal letto. — Avresti potuto ferirti! Che ti è saltato in testa?
— Volevo mettere alla prova la mia gamba.
— Non avresti dovuto camminare ancora per qualche settimana.
— Non ne sono sicuro. L’osso si è saldato. Ho avuto dei problemi perché sono stato colto dalie vertigini.
— È guarito così presto?
— Proprio così.
— Ma è impossibile! Non avrebbe potuto… nessun osso fratturato può…
— Nessun osso umano.
— Ma tu non sei…
— No.
— Dillo.
— Io non sono umano, Kathryn.
— Sì. Volevo sentirtelo dire.
— E se io non avessi lasciato il letto, tu non saresti venuta a sorreggermi, e noi non avremmo…
— No.
— Sono contento, Kathryn. Non ho nessun rimpianto.
— Neanch’io. — Il tono era di sfida. — Solo che… ho paura, Vorneen.
— Di che cosa?
— Non lo so. — Gli prese la mano e se la pose su! seno. — Ciò che noi abbiamo fatto… quello che sei… se non sei umano, come puoi fare l’amore?
— Coloro che hanno costruito il mio corpo sapevano quello che facevano, immagino.
— Che hanno costruito il tuo corpo?
— Il mio corpo esteriore. Il mio camuffamento. Dentro è diverso.
— Vorneen, non capisco. Dimmi…
— Più tardi. Abbiamo un sacco di tempo per parlare. Non adesso.
— Mi sento così strana, Vorneen. Come se avessi attraversato un fiume e mi ritrovassi in un paese straniero, un posto in cui non sono mai stata… io non so dov’è, né dove mi trovo.
— Ti piace dove ti trovi adesso, qualunque posto sia?
— Credo di sì — rispose lei.
— E allora perché preoccuparsi? La prossima volta ti porterai appresso la mappa della regione.
Lei rise, poi lo abbracciò.
— Hai ancora le vertigini? — gli chiese.
— Per un altro motivo, ora.
— E la gamba? Non l’hai danneggiata di nuovo mentre eri in piedi?
— No.
— Nemmeno mentre noi stavamo…
— No. Men che meno allora.
Vorneen la strinse a sé. Si sentiva molto più rilassato che in qualsiasi altro momento, dopo l’incidente a bordo della nave. E aveva avuto risposta alla maggior parte delle sue domande sul corpo che portava addosso. Rispondeva, poteva dare piacere. Funzionalmente era abbastanza terrestre da poter soddisfare le attuali necessità. La cosa gli sembrò notevole. E ancora più notevole gli parve la veemenza di Kathryn, quando finalmente consentiva alle sue emozioni di liberarsi.