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— Alt! — disse una delle guardie.

— Eh? — fece Hari. La gente di Shantih aveva adottato molto presto la lingua parlata a Victoria, perché era gente di molte lingue diverse e aveva bisogno di un linguaggio comune da usare nell’insediamento e anche nei contatti con la città; ma alcuni dei più anziani non avevano mai imparato certe usanze cittadine. Hari non aveva mai udito la parola «alt».

— Fermi — disse la guardia.

— Va bene — replicò Hari. — Dobbiamo aspettare qui — spiegò agli altri.

Dalla porta chiusa della sala del Consiglio filtravano voci, discorsi. Gl’invitati di Shantih si sparpagliarono lungo l’atrio per guardare gli affreschi durante l’attesa: le guardie ordinarono di attendere in gruppo, e loro tornarono accanto alla porta. Finalmente i battenti si aprirono, e la delegazione di Shantih venne scortata dalle guardie nella sala del Consiglio del governo di Victoria: era una grande stanza, piena di luce grigia che filtrava dalle alte finestre. In fondo c’era un podio, dove stavano dieci sedie disposte a semicerchio; sulla parete, dietro, era appeso un drappo rosso, con un disco azzurro al centro e dieci stelle gialle che lo circondavano. Venti o venticinque uomini stavano seduti qua e là nelle file di banchi, di fronte al podio. Solo tre delle dieci sedie sulla piattaforma erano occupate.

Un uomo dai capelli ricciuti, seduto a un tavolino sotto il podio, si alzò e annunciò che una delegazione di Shantih aveva chiesto il permesso di parlare all’assemblea plenaria del Congresso e del Consiglio di Victoria.

— Permesso accordato — disse uno degli uomini sul podio.

— Venite avanti. No, non là: dall’altra parte. — L’uomo ricciuto bisbigliò e si agitò fino a quando la delegazione si fu sistemata dove voleva lui, vicino al podio. — Chi è il portavoce?

— Lei — disse Hari, indicando Vera.

— Dica il suo nome com’è indicato nel registro nazionale. Deve rivolgersi ai membri del Congresso chiamandoli «signori» e ai consiglieri chiamandoli «eccellenze» — bisbigliò il cancelliere, aggrottando la fronte. Hari lo guardò con benevolo divertimento, come se fosse stato un pipistrello marsupiale. — Avanti, avanti! — mormorò il cancelliere, sudando.

Vera avanzò di un passo, staccandosi dal gruppo.

— Sono Vera Adelson. Siamo venuti a discutere con voi i nostri piani per inviare un gruppo a nord, a fondare un nuovo insediamento. L’altro giorno non avevamo avuto il tempo di parlarne in modo approfondito, perciò c’è stato qualche equivoco. Ora è tutto risolto. Jan ha la carta geografica chiesta dal consigliere Falco: siamo lieti di consegnare questa copia per gli archivi. Gli esploratori ci hanno detto che non è molto precisa, ma dà un’idea generale del territorio a nord e ad est della baia di Songe e comprende i percorsi transitabili e i guadi. Ci auguriamo che possa essere utile alla nostra comunità. — Uno degli uomini porse un rotolo di cartafoglia, e il cancelliere lo prese dopo averne chiesto il permesso ai consiglieri con un’occhiata.

Vera, nella tuta bianca di seta arborea, era immobile come una statua nella luce grigia. La sua voce era calma.

— Centodieci anni fa, il governo di Brasil-America ha mandato su questo mondo varie migliaia di persone. Cinquantasei anni orsono, il governo di Canamerica ne ha mandate altre duemila. I due gruppi non si sono fusi, ma hanno collaborato; e oggi la città e il paese, sebbene ancora distinti, sono interdipendenti. I primi decenni, per ognuno dei gruppi, sono stati molto duri; si sono verificati numerosi casi di morte, poi diminuiti quando abbiamo imparato a vivere qui. Il registro nazionale non viene più aggiornato da anni, ma stimiamo che la popolazione della città conti circa ottomila persone: e la popolazione di Shantih, al nostro ultimo conteggio, era di 4320 unità.

Sui banchi ci fu un moto di sorpresa.

— Dodicimila individui, nella regione della baia di Songe, è il massimo che la zona possa sfamare, secondo noi, senza un’agricoltura superintensiva e un continuo rischio di carestie. Quindi riteniamo che sia ora che alcuni di noi si trasferiscano e creino un nuovo insediamento. Dopotutto, lo spazio non manca.

Falco, dal suo seggio di consigliere, sorrise lievemente.

— Poiché il paese e la città non si sono fusi e formano tuttora due gruppi separati, riteniamo che un tentativo congiunto di creare un nuovo insediamento sarebbe poco opportuno. I pionieri dovranno vivere insieme, lavorare insieme, dipendere gli uni dagli altri, e ovviamente sposarsi tra loro. In una simile situazione, la tensione causata dal tentativo di mantenere due caste sociali sarebbe intollerabile. Comunque, coloro che vogliono fondare un nuovo insediamento sono tutti abitanti di Shantih. Circa duecentocinquanta famiglie, circa mille persone, stanno pensando di andare al nord. Non partiranno tutti insieme: circa duecento per volta. I loro posti nelle fattorie verranno presi dai giovani che rimarranno; inoltre, dato che ormai la città è affollata, forse qualche famiglia cittadina vorrà trasferirsi in campagna. Saranno i benvenuti. Anche se un quinto dei nostri coltivatori andrà al nord, non dovrebbe esserci un calo nella produzione dei generi alimentari; e naturalmente ci saranno mille bocche in meno da sfamare. Questo è il nostro piano. Confidiamo che con la discussione, le critiche, e il comune impegno di tendere verso la verità, potremo pervenire a un pieno accordo su un problema che riguarda tutti.

Seguì un breve silenzio.

Un uomo nei banchi si alzò a parlare, ma tornò in fretta a sedersi quando vide che stava per intervenire il consigliere Falco.

— Grazie, senhora Adelson — disse Falco. — Verrete informati della decisione del Consiglio riguardo alla questione. Senhor Brown, qual’è il successivo punto all’ordine del giorno?

Il cancelliere riccioluto gesticolò freneticamente in direzione dei delegati di Shantih, agitando una mano, mentre con l’altra frugava tra le sue carte. Le due guardie si fecero avanti a passo deciso e si misero ai fianchi dei cinque inviati del paese. — Venite! — ordinò una.

— Scusatemi — disse Vera, gentilmente. — Consigliere Falco, temo che non ci siamo capiti. Noi abbiamo preso una decisione, in via provvisoria. Ora desideriamo, in collaborazione con voi, prenderne una definitiva. Né voi né noi possiamo decidere da soli su un problema che ci riguarda tutti.

— Ha frainteso — replicò Falco, guardando l’aria sopra la testa di Vera. — Voi avete fatto una proposta: la decisione spetta al governo di Victoria.

Vera sorrise. — So che non siete abituati a sentire le donne che parlano nelle vostre assemblee, quindi forse sarebbe meglio se per noi parlasse Jan Serov. — Indietreggiò di un passo, lasciando il posto a un uomo grande e grosso, dalla pelle chiara.

— Vedete — disse quello, come se continuasse il discorso di Vera, — prima dobbiamo chiarire cosa vogliamo e come possiamo farlo: poi, quando saremo d’accordo, lo faremo.

— La discussione è chiusa — dichiarò il calvo consigliere Helder, seduto alla sinistra di Falco. — Se continuerete a ostacolare l’attività dell’assemblea, verrete allontanati con la forza.

— Non ostacoliamo nessuna attività: stiamo solo cercando di facilitarla — ribatté Jan. Non sapeva dove mettere le grosse mani, che teneva abbandonate lungo i fianchi, semichiuse, come se sentisse la mancanza della sua zappa. — Dobbiamo discutere a fondo la cosa.

Senza alzare la voce, Falco disse: — Guardie.

Mentre le guardie avanzavano, Jan fissò sconcertato Vera, e Hari intervenne: — Oh, avanti, calmatevi, consigliere. Vogliamo solo parlare in modo ragionevole.

— Eccellenza! Faccia condurre fuori costoro! — gridò un uomo dai banchi. Altri cominciarono a urlare, come se tenessero a farsi sentire dai consiglieri. I delegati di Shantih rimasero in silenzio, anche se Jan Serov e il giovane King guardavano sbalorditi le facce rabbiose rivolte verso di loro. Falco confabulò un momento con Helder: poi fece un cenno a una guardia, che uscì di corsa dalla sala. Falco alzò la mano per imporre il silenzio.

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