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Se lo spirito restava nel mondo, pensò Luz, era là che era andato ormai, a nord, nella valle che aveva scoperto, sulle montagne di cui le aveva parlato, l’ultima sera prima della marcia sulla città, con tanta gioia e nostalgia: — Più alte di quanto tu possa immaginare, Luz, più alte e più bianche. Guardi in su e ci sono sempre altre vette al disopra delle vette.

Lui sarebbe stato là, ora, non qui. Era soltanto la propria solitudine quella che lei vedeva, anche se aveva il volto di Lev.

— Va’, Lev — mormorò. — Va’ sulle montagne, sempre più in alto…

"Ma io dove andrò? Dove andrò, sola?

"Senza Lev, senza la madre che non ho mai conosciuto, senza il padre che non potrò mai conoscere, senza la mia casa e la mia città, senza un amico… Oh, sì, gli amici: Vera, Southwind, Andre, tutti gli altri, sono tutti buoni con me, ma non sono la mia gente. Soltanto Lev, soltanto Lev lo era, e lui non ha potuto restare, non ha voluto attendere, doveva scalare la sua montagna e rimandare a dopo la vita. Era la mia occasione, la mia fortuna. E io ero la sua. Ma lui non è riuscito a vederla, non ha voluto fermarsi a guardare. Ha gettato via tutto.

"E ora io mi fermo qui, tra le valli, sotto gli alberi, e devo guardare. E vedo Lev morto, e la sua speranza perduta; mio padre, assassino e pazzo; e me stessa traditrice della città, estranea al paese.

"Che altro c’è?

"Tutto il resto del mondo. Il fiume, là, e le colline, e la luce sulla baia. Tutto il resto di questo mondo vivo e silenzioso, disabitato. E io, sola."

Quando scese dalla collina vide Andre che usciva dalla casa di Southwind e si voltava a parlare con Vera, sulla soglia. Si chiamarono attraverso i campi, e lui l’attese alla svolta del viottolo che portava a Shantih.

— Dov’eri, Luz? — le chiese, con quel suo fare timido e preoccupato. Diversamente dagli altri, non cercava mai di coinvolgerla: era semplicemente lì, pronto, fidato. Dopo la morte di Lev, per lui non c’erano state gioie ma soltanto ansie. Adesso stava lì, solido, un po’ curvo, paziente.

— In nessun posto — rispose Luz, sinceramente. — Passeggiavo. Pensavo. Andre, dimmi. Non volevo chiedertelo in presenza di Vera, non voglio turbarla. Cosa succederà, adesso, fra la città e Shantih? Non ne so abbastanza per capire quello che dice Elia. Continuerà… come prima?

Dopo un indugio piuttosto lungo, Andre annuì. Il suo volto scuro, con gli zigomi sporgenti, come di legno scolpito, era chiuso. — O peggio — disse. Poi, desideroso di mostrarsi giusto verso Elia, aggiunse: — Certe cose vanno meglio. L’accordo sugli scambi… se lo rispetteranno. E l’espansione nella Valle Sud. Non ci saranno lavori forzati, o «tenute». Questo posso sperarlo. Là potremo lavorare insieme, per una volta.

— Tu ci andrai?

— Non lo so. Credo di sì. Dovrei andare.

— E la colonia a nord? La valle che avete scoperto, le montagne?

Andre la guardò. Scrollò la testa.

— In nessun modo…?

— Soltanto se andassimo come loro servitori.

— Marquez non lascerà che andiate da soli, senza quelli della città?

Lui scosse il capo.

— E se andaste comunque?

— Cosa credi che io sogni, ogni notte? — disse Andre, e per la prima volta c’era amarezza nella sua voce. — Dopo essere stato con Elia e Jewel e Marquez e il Consiglio, a parlare di compromessi, a parlare di collaborazione, a parlare di ragionevolezza… Ma se noi andassimo, ci seguirebbero.

— Allora andate dove non possano seguirvi.

— E dove? — disse Andre; e la sua voce era di nuovo paziente, ironica e mesta.

— Dovunque! Più a est, nelle foreste. O a sudest. O a sud, lungo la costa, oltre il punto dove si spingono i pescherecci… Devono pur esserci altre baie, altri posti adatti a una città! È un continente, un mondo intero. Perché dobbiamo restare qui, qui, ammucchiati qui a distruggerci a vicenda? Tu sei stato nelle terre disabitate, tu e Lev e gli altri: sai come sono…

— Sì, lo so.

— Siete ritornati. Perché dovete ritornare? Perché la gente non potrebbe semplicemente andarsene? Non troppi tutti insieme: ma andare, di notte, e proseguire; forse alcuni dovrebbero precedere gli altri, e preparare i posti per sostare, con le provviste; ma senza lasciare tracce. Andare… lontano! E poi, dopo cento chilometri, o cinquecento, o mille, quando trovate un luogo adatto, vi fermate e create una colonia. Un nuovo insediamento. Soli.

— Non è… Disgregherebbe la comunità, Luz — disse Andre. — Sarebbe… una fuga.

— Oh, — fece Luz, e gli occhi le brillarono di collera. — Una fuga! Vi cacciate nella trappola di Marquez, nella Valle Sud, e parlate di fermezza! Parlate di scelte e di libertà… Il mondo, il mondo intero è là, perché possiate vivere liberi: e questa sarebbe una fuga? Da cosa? Verso cosa? Forse noi non possiamo essere liberi, forse ognuno porta sempre se stesso con sé, ma almeno potete tentare. Che scopo aveva la vostra Lunga Marcia? Cosa ti fa pensare che abbia mai fine?

XI

Vera aveva deciso di rimanere sveglia per vederli partire: ma si era addormentata accanto al fuoco, e il discreto bussare alla porta non la destò. Southwind e Luz si guardarono: Southwind scosse la testa. Luz s’inginocchiò e in fretta, cercando di non far rumore, aggiunse un altro pezzo di torba alle braci, perché la casa restasse calda durante la notte. Southwind, impacciata dalla giacca pesante e dallo zaino, si chinò e sfiorò con le labbra i grigi capelli di Vera; poi girò uno sguardo sulla casa, uno sguardo affrettato e quasi stupito, e uscì. Luz la seguì.

La notte era nuvolosa ma asciutta, molto buia. Il freddo destò Luz dalla lunga trance dell’attesa. Trattenne il respiro. C’era gente intorno a lei nel buio, alcune voci basse. — Ci siete tutt’e due? Bene, venite. — Si avviarono oltre la casa, attraverso il campo di patate, verso la cresta a est. Luz, quando gli occhi le si furono abituati all’oscurità, vide che chi camminava accanto a lei era il padre di Lev, Sasha. Quest’ultimo, sentendo il suo sguardo nel buio, le chiese: — Come va lo zaino?

— Tutto a posto — rispose lei, in un bisbiglio. Non dovevano parlare, non dovevano far rumore, pensò, non ancora, non fino a quando non fossero stati più lontano, aldilà dell’ultimo villaggio e dell’ultima fattoria, oltre il Fiume del Mulino, molto lontano. Dovevano procedere in fretta e in silenzio, e nessuno doveva fermarli : "oh signore Iddio, ti prego fa’ che non ci fermino!".

— Il mio è fatto di lingotti di ferro, o di peccati imperdonabili — mormorò Sasha; e proseguirono in silenzio, dodici ombre nell’ombra del mondo.

Era ancora buio quando raggiunsero il Fiume del Mulino, pochi chilometri più a sud del punto in cui si gettava nel Songe. La barca li aspettava, e li aspettavano Andre e Holdfast. Hari ne traghettò sei, poi gli altri sei. Luz era nel secondo gruppo. Quando si avvicinarono alla sponda orientale, la compatta oscurità del mondo notturno stava diventando inconsistente: un velo di luce sbiadiva tutte le cose, la nebbia si addensava sull’acqua. Rabbrividendo, lei mise piede sull’altra riva. Rimasto solo nella barca, che Andre e gli altri avevano già spinto via, Hari disse, a mezza voce: — Buona fortuna, buona fortuna! La pace sia con voi! — E la barca si dileguò nella nebbia come uno spettro, e i dodici rimasero sull’evanescente sabbia spettrale.

— Da questa parte — disse la voce di Andre, nella nebbia e nel pallore. — Ci staranno aspettando con la colazione.

Il loro era l’ultimo e il più piccolo dei tre gruppi partiti, uno per notte: gli altri attendevano più avanti, tra le colline accidentate a est del Fiume del Mulino, in un territorio dove andavano soltanto i cacciatori di conigli. In fila, seguendo Andre e Holdfast, lasciarono la riva e si addentrarono nel territorio selvaggio.

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