Adesso non restava più niente altro che un'ultima, breve attesa… attendere dopo tutta quella fretta. Miles si accorse ben presto che aspettare aveva un effetto deleterio su di lui perché permetteva all'adrenalina prodotta dal suo organismo di disperdersi, dandogli modo di avvertire quanto fosse effettivamente stanco e dolorante. Intorno, i bagliori che rischiaravano il buio si stavano riducendo a vaghi chiarori rossastri.
In effetti l'intervallo di tempo che passò fra il dissolversi dell'affaticato rombo dell'ultima navetta della terza ondata che lasciava il suolo e l'echeggiare del sibilo stridente della prima navetta della quarta ondata che tornava indietro fu molto breve, anche se purtroppo questo dipese più dal fatto che erano nei guai che da una calcolata rapidità di manovra. A terra, i prigionieri aspettavano ancora suddivisi nelle squadre studiate per la distribuzione del cibo e conservavano la disciplina, ma naturalmente nessuno aveva spiegato loro il piccolo problema di tempi a cui si trovavano di fronte, anche se i nervosi soldati dendarii che li spingevano su per le rampe li obbligavano a tenere un passo adeguato alle esigenze di Miles. Del resto, quello di restare alla retroguardia non era mai un incarico popolare, neppure fra quella minoranza di lunatici che segnavano tacche sul calcio delle loro armi e ridacchiavano nel discutere fra loro di modi nuovi e più grotteschi per fare a pezzi i nemici.
Miles vide Suegar che veniva portato per primo su per la rampa in stato di semincoscienza, e calcolò che imbarcandosi con lui su questa navetta diretta Suegar sarebbe in effetti arrivato all'infermeria della Triumph prima di come vi sarebbe giunto se fosse stato inviato in precedenza su uno dei due trasporti per poi essere trasferito sull'ammiraglia in un momento meno rischioso.
L'arena che stavano per lasciare si era fatta intanto silenziosa e buia, bagnata, spettrale e triste. Infrangerò le porte dell'inferno e risusciterò i morti… c'era qualcosa di sbagliato nel modo in cui aveva ricordato quella citazione, ma non aveva importanza.
La pattuglia in tuta corazzata di questa navetta, l'ultima, emerse dal buio e dalla nebbia richiamata da un segnale elettronico di Murka come un branco di cani da pastore; il tenente era fermo ai piedi della rampa per fungere da collegamento fra la pattuglia e il pilota, che stava esprimendo la propria impazienza di decollare con piccoli sibili acuti dei motori.
Poi dall'oscurità scaturirono scariche al plasma che sfrigolarono nell'aria intrisa di pioggia. Qualche eroe cetagandano… un ufficiale, un soldato, un tecnico, chi poteva dirlo?… era strisciato fuori delle macerie ed aveva trovato un'arma… e un nemico contro cui usarla. Schegge di bagliori rossi e verdi continuarono a danzare per qualche secondo sulla retina di Miles, mentre un soldato dendarii rotolava fuori dal buio con il dorso dell'armatura segnato da una linea incandescente che continuò a sfrigolare e a fumare fino a quando non fu estinta dal contatto con il fango. Le gambe della corazza erano però state danneggiate e l'uomo rimase a contorcersi al suolo come un pesce in secca nel frenetico sforzo di liberarsene; intanto una seconda e mal diretta scarica di plasma trasformò qualche chilometro di nebbia e di pioggia in vapore surriscaldato lungo una linea retta che si perdeva in un ignoto infinito.
Proprio ciò di cui avevano bisogno… essere bloccati adesso dal fuoco di un cecchino. Un paio di Dendarii della retroguardia si avviarono per rientrare nella nebbia ed un prigioniero eccitato… oh, Dio, si trattava di nuovo del luogotenente di Pitt… afferrò l'arma del soldato bloccato dalla corazza danneggiata e accennò a seguirli.
– No, razza di idiota, tornerai un'altra volta quando verrà il tuo momento di combattere! – gridò Miles, dirigendosi verso Murka. – Indietreggiate, caricate e decollate! Non vi fermate a combattere, non ce n'è il tempo!
Alcuni fra gli ultimi prigionieri si erano gettati proni al suolo appiattendosi nel fango, una reazione logica e sensata in qualsiasi altra circostanza ma non ora, e Miles prese a correre in mezzo a loro assestando pacche sul posteriore per farli sollevare.
– Salite a bordo, su per la rampa, avanti, avanti!
Beatrice saltò fuori dal nulla e si mise ad imitarlo, sospingendo i compagni davanti a sé, mentre Miles si arrestava accanto al Dendarii caduto e gli apriva con la sinistra gli agganci dell'armatura; il soldato si liberò scalciando della protezione che quasi gli era stata fatale e si sollevò in piedi, zoppicando in direzione della sicurezza della navetta con Miles che lo seguiva da presso.
Murka e un altro soldato attendevano ai piedi della scaletta.
– Tenetevi pronti a sollevare la rampa e a decollare al mio segnale – cominciò Murka, rivolto al pilota della navetta. – Pronti…
Le sue parole furono troncate e soffocate dallo schiocco esplosivo di un raggio al plasma che gli attraversò il collo; Miles, che era fermo accanto al tenente, ne poté sentire il calore che passava a qualche centimetro dalla sua testa.
Il corpo di Murka cominciò ad accasciarsi e Miles lo schivò, indugiando il tempo necessario a sfilargli la cuffia di comunicazione… a cui però rimase attaccata anche la testa, cosa che lo costrinse a bloccarla con il braccio leso e anestetizzato per poter liberare la cuffia. Il peso, la rotondità e la densità di quella testa furono informazioni che gli martellarono i sensi e nel lasciarla cadere accanto al corpo del tenente lui seppe che le avrebbe ricordate con precisione fino al giorno della sua morte.
Barcollando risalì la rampa, aiutato da un ultimo Dendarii in armatura che lo tirò per un braccio, e nel percorrerla la sentì infossarsi in modo strano sotto i suoi piedi; questo lo indusse a lanciare un'occhiata verso l'alto e verso la striscia di metallo semifuso lasciata dall'arco al plasma che aveva ucciso Murka e poi proseguito la sua corsa fino a quel punto.
Infine si lasciò cadere oltre il portello, tenendo stretta la cuffia e urlando ordini in essa.
– Decollare! Decollare! Decollo immediato! Andiamo!
– Chi parla? – domandò di rimando la voce del pilota.
– Naismith.
– Sì, signore.
La navetta si sollevò pesantemente da terra fra il ruggire dei motori prima ancora che la rampa venisse ritirata; intanto il meccanismo che doveva richiuderla cominciò ad operare faticosamente fra uno stridere di metallo e di plastica… soltanto per bloccarsi all'altezza della contorta linea lasciata dall'arco al plasma.
– Sigillate quel portello laggiù! – ululò la voce del pilota, attraverso la cuffia di comunicazione.
– La rampa è bloccata! – gridò Miles, di rimando. – Bisogna sganciarla!
Il meccanismo lanciò acuti stridii nell'operare in senso inverso, la rampa vibrò e tornò a bloccarsi, mentre parecchie mani si protendevano a picchiare freneticamente contro di essa.
– In quel modo non ce la farete mai! – gridò Beatrice, che si trovava dalla parte opposta del portello rispetto a Miles, e si girò in modo da poter scalciare con entrambi i piedi nudi, incurante del vento di corsa che penetrava dall'apertura e che faceva vibrare e ondeggiare la navetta come una bottiglia sulla cui sommità un gigante stesse soffiando con forza.
Fra un coro di grida, di imprecazioni e di colpi la navetta s'inclinò con improvvisa violenza su un fianco, facendo scivolare sul ponte uomini, donne e tutti i pezzi d'equipaggiamento non fissati. In quel momento un ennesimo calcio assestato da Beatrice con i piedi ormai sanguinanti ebbe ragione di un ultimo bullone distorto: la rampa finalmente si staccò, ma Beatrice scivolò e cadde nel vuoto con essa.
Miles si tuffò di traverso verso di lei, ma non seppe mai se riuscì anche soltanto a sfiorarla, perché la sua mano destra era una massa priva di sensibilità: ciò che vide fu soltanto la bianca chiazza indistinta del volto di lei che svaniva nell'oscurità sottostante.